LO STUDIO SULLA MINERALITA’ NEI VINI
Le percezioni minerali quando si degusta un vino sembrerebbero essere dovute a dei composti chimici volatili derivanti dal metabolismo della vite, dalla fermentazione dei lieviti e dall’azione di particolari batteri, nonché dalle tecniche applicate nella vinificazione e nell’affinamento.
Quindi i responsabili della mineralità nel vino non sarebbero i minerali disciolti nel terreno e assorbiti dall’apparato radicale della vite o la vicinanza dal mare (una mera, per quanto romantica, suggestione che ancora riecheggia in qualche racconto enoico di produttori con vigne a ridosso della costa), bensì sarebbero tioli volatili e/o esteri e/o altre componenti chimiche sviluppate in vinificazione.
ALTRE TESI SULLA MINERALITA’ ENOICA
Poi c’è una terza versione, ovvero la predisposizione varietale di alcune uve a sviluppare sensazioni minerali, chi al naso chi al gusto, ad esempio il Riesling Renano sembra avere una predisposizione intrinseca a sviluppare sensazioni ed aromi che in gergo vengono definiti di “idrocarburo” e il Verdicchio pare avere una potenziale nota salina al palato più spiccata e diffusa di altri varietali. Qui si aprirebbe un altro capitolo interessante, ma senza via d’uscita, ovvero quello riguardante la nostra individuale percezione dell’amore e del gusto “minerale”: la “famosissima” pietra focaia? L’appena citato idrocarburo? Le note vulcaniche e/o sulfuree? Il gesso? La Grafite? La sapidità? Il salmastro? Il “marino”?
Piccola digressione: alcuni scindono il concetto di mineralità da quello di sapidità legando il secondo – un tempo anch’esso motivo di discussioni per via della convinzione che i vini sapidi fossero necessariamente quelli prodotti vicino al mare – alla presenza, in soluzione, di sali di potassio, magnesio e calcio in quantità “considerevoli” nel vino.
EMILE PEYNAUD E IL DESCRITTORE MINERALE NE “IL GUSTO DEL VINO”
Al di là delle elucubrazioni, dentro e intorno al concetto di mineralità, la cosa fondamentale credo sia non prendere lo studio dell’Excell come la negazione della sensazione minerale, anzi, credo vada presa come una testimonianza ancor più importante di quanto la mineralità sia diventata argomento di discussione e della continua ricerca da parte dei palati odierni di questa connotazione, tanto da spingere ad uno studio durato ben due anni per cercare di dipanare i dubbi destati da un termine relativamente nuovo per il mondo del vino. Sì, perché non si hanno tracce del descrittore “minerale” in alcun testo fino all’utilizzo di questo termine da parte dell’indimenticato enologo francese Emile Peynaud nel suo “il gusto del vino” (1983).
Da quel momento in poi la mineralità è stata sdoganata e in molti, tra degustatori, professori di enologia, sommelier di fama mondiale e media hanno inserito questo descrittore nel proprio vocabolario enoico.
Ad oggi la dialettica intorno a questo concetto non si è conclusa e le correnti di pensiero sono ancora divergenti, tanto che molti produttori non rinunciano a considerare come derivanti dalle proprie terre le sensazioni minerali dei propri vini e gli studi anche in favore di questa convinzione si susseguono.
IL MIO CONCETTO DI MINERALITA’ NEL VINO
Personalmente penso che la mineralità possa essere correlata e legata indissolubilmente al concetto più ampio di terroir (altro termine di complessa natura e concezione, ma che non si può non amare e non utilizzare) in cui ad essere abbracciate sono tutte le componenti e ad essere inclusi sono tutti i fattori riguardanti territorio, terreno (suolo e sottosuolo), utilizzo ed azione di lieviti (indigeni e non, con risultati molto differenti) e batteri, varietale ed età della pianta, nonché, ovviamente, l’azione del vignaiolo/produttore in vigna (trattamenti organici e non) ed in cantina (ad esempio, c’è chi sostiene che le lunghe macerazioni sia nei bianchi che nei rossi enfatizzino queste sensazioni minerali).
Inoltre, credo che tutta questa corsa alla razionalizzazione del vino, per quanto importante (lo sarebbe di più nelle analisi di altri composti, ben più nocivi…) tolga molto del suo fascino e del suo naturale romanticismo che mi fa spezzare una lancia in favore di quei vignaioli che continuano a voler credere in qualcosa che, magari non sarà scientificamente provato, ma che comunque fa parte, ormai, del rapporto fra l’uomo e la sua terra. E poi, diciamola tutta, sono appena tornato da un viaggio sull’Etna e sfido chiunque a non percepire la forza minerale di quelle terre e di quel vulcano in molti dei vini che in quel luogo vengono prodotti. Lo stesso vale per il Priorat con le sue note di grafite o per le ardesie della Mosella e potrei andare avanti all’infinito, ma non lo farò!
Sarà suggestione? Sarà condizionamento? Eppure è palese che un vino dell’Etna (a me è capitato spesso) sia spesso più riconoscibile e riconducibile al proprio territorio di riferimento di altri proprio grazie al suo spettro minerale, ma di certo nel vino, come nella vita, non c’è quasi nulla! Credo che la mineralità resterà uno dei temi più dibattuti e soggetti all’interpretazione personale di media, sommelier e produttori per sempre, anche dovessero trovare un modo per discernere in maniera inopinabile le sue dinamiche enoiche e, forse, va bene così! In fondo, quando si parla di gusto e di percezioni non si può prescindere dalla loro variabilità di individuo in individuo e non potrebbe essere altrimenti.