La Vernaccia di San Gimignano del Colombaio di Santa Chiara non è vino da “turisti”!

C’è un luogo magico in Toscana… un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato al medioevo, almeno ad alzar lo sguardo verso il cielo a cui anelano le sue imponenti torri. Parlo, ovviamente, di San Gimignano, città di rara suggestione in cui l’atmosfera senza tempo è scalfita “solo” dall’imperterrito via vai di turisti “mordi e fuggi” che affollano la città in quasi ogni periodo dell’anno. Apro questo pezzo con una premessa che tornerà utile nel proseguo, in quanto il mordi e fuggi si fa “bevi e fuggi” quando si tratta di vino. Sì, una dinamica che incide fortemente nell’approccio produttivo delle cantine locali, che in molte privilegiano la quantità alla qualità, cercando di livellare il prodotto su uno standard idoneo alla vendita in loco, che copre una fetta importante del mercato della Vernaccia di San Gimignano e degli altri vini ivi prodotti.
colombaio di santa chiara cantina san gimignano
Sono poche e rare le realtà che si sono poste in antitesi a questo trend e tra tutte spicca, senza tema di smentita, il Colombaio di Santa Chiara della famiglia Logi da oltre 50 anni.
vernaccia di san gimignano
L’azienda agricola Il Colombaio di Santa Chiara è una realtà che nasce dal sacrificio e dalla fatica ma anche e soprattutto dalla lungimiranza e dal rispetto che hanno spinto, dapprima, il mezzadro Mario a affrancarsi acquistando i primi ettari di vigna e, poi, i suoi tre figli Alessio, Stefano e Giampiero a proseguire e tutelare il lavoro del padre, che ancora oggi, a più di 80 anni è il riferimento per quanto concerne il lavoro nei campi.
Oggi, la famiglia Logi alleva circa 20 ettari (raggiunti negli ultimi anni con cognizione di causa) di cui la maggior parte coltivati a Vernaccia e i restanti a vitigni autoctoni classici del chiantigiano, con qualche piccola divagazione sul tema come il recente impianto di Cabernet Franc che sembra voler fare il pari con l’esperienza del giovane Filippo, figlio di Giampiero e laureando in enologia, che si affaccia in cantina fresco fresco di uno stage in una realtà che rappresenta un riferimento nella coltivazione e nella vinificazione di questo varietale. Sempre a Filippo è toccato l’onere di gestire e concretizzare l’idea di Alessio di produrre il primo metodo ancestrale base Vernaccia dell’azienda che è in bottiglia da pochissimo, ma già fa bene sperare.
Come avrete capito, l’approccio dei Logi in vigna verte, da sempre, sul rispetto della grande biodiversità di cui godono i contesti in cui sono incastonati i vari “cru” e da qui la scelta di attuare una conduzione agronomica rigorosamente biologica. Il sistema di allevamento è principalmente quello del cordone speronato, capace di tarare l’equilibrio produttivo di un vitigno naturalmente vigoroso come la Vernaccia, verso rese più contenute.
I terreni nei quali affondano le proprie radici viti che arrivano a superare i 30 anni sono differenti di vigna in vigna e persino all’interno della stessa particella, passando da marne argillose a suoli ricchi di scheletro tufaceo, con grande presenza di calcare a poche decine di cm dal suolo.
E’ Alessio a mostrarmi vigne e cantina e dalle sue parole trasuda ogni goccia di sacrificio che padre e figli hanno sostenuto per arrivare ad essere ciò che sono oggi, una cantina affermata e compresa, in un contesto in cui fare qualità e mirare in alto rinunciando volutamente alla facilità di vendere principalmente in loco sono scelte rare se non uniche. Nelle parole di Alessio è facile scorgere un sentimento di insofferenza nei confronti di una realtà che sembra voler assecondare dinamiche dettate dal turismo e da un mercato che vorrebbe la Vernaccia “più facile”, “più ruffiana”, “dal costo contenuto” che fa sorridere gli imbottigliatori e i commercianti, ma meno chi lavora da sempre con ben altri valori e obiettivi.
locanda dei logi san gimignano
Al contempo, però, è forte il sentimento di rivalsa e di amore per la propria città, il bello di guardarla di notte e ritrovare la pace di un tempo, ma ancor più la volontà di tutelare e preservare la bellezza che circonda le mura di San Gimignano, sentendosi custodi e non proprietari di una terra che ha permesso loro di crescere e di vivere dei suoi frutti. Una famiglia, quelle dei Logi, in cui umiltà e dedizione si fondono con la tradizione e con la necessità atavica di restare fedeli alla purezza di uno stile di vita che non cambierebbero per nulla al mondo… quello delle vere famiglie contadine, nell’accezione più nobile del termine.
Eppure, ciò che ho apprezzato nei vini del Colombaio di Santa Chiara assaggiati da vasca, da botte e in bottiglia è stata questa sana commistione tra saggezza tradizionale e consapevolezza contemporanea in cui l’attenzione al dettaglio permette, di annata in annata, il miglioramento e la crescita.
cantina san gimignano colombaio santa chiara
Ora passiamo alle mie impressioni sui vini che ho avuto modo di degustare presso i locali di quella che è stata la prima cantina del Colombaio (oggi è diventata una suggestiva struttura ricettiva restaurata con profondo rispetto e chiamata Locanda dei Logi) che oggi, invece, ha trovato sede più consona per le attività di vinificazione, imbottigliamento e di stoccaggio grazie ad un luogo più idoneo e dalle dimensioni più agevoli.
vernaccia colombaio santa chiara
Selvabianca Vernaccia di San Gimignano Docg 2017 – Il Colombaio di Santa Chiara: è quello che dovremmo chiamare “vino d’entrata”, ma in realtà preferirei definirlo “vino di avviamento”. Sì, avviamento alla conoscenza delle potenzialità del varietale che qui si esprime nelle sue note più fresche e dirette. Il sorso non è per nulla scontato, grazie alla grassezza ben dosata donata dalla sosta sulle fecce fini che si pone in equilibrio con il buono slancio e la notevole agilità di beva che gode della classica chiosa salina, comun denominatore di tutti i vini bianchi dell’azienda. Un ingresso preferenziale nel mondo della Vernaccia vera. A conferma della volontà dell’azienda di ricercare grande qualità anche in questo vino c’è l’assaggio di due “vecchie” annate come la 2011 e la 2007 ancora capaci di esprimere la propria identità e un’inattesa vitalità.
Campo della Pieve Vernaccia di San Gimignano Docg 2017 – Il Colombaio di Santa Chiara: di certo un riferimento assoluto per la denominazione, in quanto capace di esprimere al meglio le doti di un varietale come la Vernaccia che, non potendo contare sull’effetto “wow” di vitigni più aromatici, gioca tutto su tonalità sfumate, rese complesse e identitarie dalla fermentazione spontanea e dal prolungato contatto con le fecce nobili e dall’oculata attenzione in ogni fase della vinificazione. E’ solo così che si ottiene uno spettro aromatico fine ma netto di fiori d’arancio e accenni iodati, minerali. Il sorso è la giusta evoluzione del vino sopracitato, con maggior materia e uno slancio ancor più profondo che accompagna verso una sapidità capace di rendere la beva inerziale. La forza di questo vino, dimostrata anche da annate come la 2013 e la 2011, risiede tutta nell’armonia delle parti che evolvono di pari passo in un crescendo minerale, senza perdere nerbo e struttura. Erano più di 70 le torri di San Gimignano, oggi sono poco più di una dozzina, ma di certo questo vino potrebbe rappresentarne una.
L’Albereta Vernaccia di San Gimignano Riserva Docg 2012 – Il Colombaio di Santa Chiara: gestire l’incidenza del legno con varietali delicati come la Vernaccia non è di certo semplice, ma la scelta di botti grandi prodotte dai fratelli Mittelberger a Bolzano ha di certo aiutato nel mantenere integra l’espressività di questo “cru” aziendale andando ad arricchire il quadro aromatico varietale di sfumate pennellate balsamiche. Il sorso entra equamente morbido, pieno, per poi distendersi con incedere deciso e sicuro, andando a compensare le dolcezze con un’ottima percezione di freschezza e una chiusura sapida.
Colombaio Rosso di San Gimignano 2014 – Il Colombaio di Santa Chiara: un’espressione di Sangiovese che vuole ricordare che anche questa era una zona a forte vocazione rossista, in cui il Sangiovese nello specifico e il classico uvaggio chiantigiano in generale, rappresentavano fonte di grande soddisfazione in bottiglia e nel bicchiere per i vignaioli locali. La famiglia Logi ha voluto rendere onore a questo grande vitigno ricavandone un’espressione intensa, forte e dal grande potenziale di longevità, che persino in un’annata complessa e tendenzialmente scarica come la 2014 ha saputo mettere ciccia attorno allo scheletro e al nerbo che mi aspettavo di trovare. Un vino che ha bisogno di vetro per raccontare al meglio la sua storia, ma che già fa percepire nitidamente la sua indole virtuosa.
Ottimi anche i due Chianti Colli Senesi Docg classico e Riserva, capaci di esprimere buona armonia e grande piacevolezza.
Il mio plauso alla famiglia Logi e a Il Colombaio di Santa Chiara, però, non può che riferirsi al lavoro fatto nella tutela e nella valorizzazione di un vino come la Vernaccia di San Gimignano, che ha dissetato regnanti e ispirato sommi poeti del calibro di Cecco Angiolieri e Dante e che oggi deve necessariamente puntare alla qualità dalla vigna al bicchiere per tornare ai fasti che le competono. Di certo, cantine come questa hanno fatto e continuano a fare il possibile per tracciare “la diritta via” che è stata smarrita. Che il suo nome derivi da Vernaculum (del posto), Vernum (inverno) o Vernazza (dal toponimo della nota cittadina delle Cinque Terre) poco importa, ciò che conta è che la Vernaccia ha ancora dei depositari del suo potenziale. A me, che credo nella forza dei territori, non resta che confidare che in molti intraprendano la medesima strada, con rispetto, qualità e costanza.
 
F.S.R.
#WineIsSharing

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