Parker, il padre della critica enoica e dei punteggi del vino, ha appena lasciato la più autorevole guida vini al mondo: The Wine Advocate.
La notizia sta girando il mondo e in molti si stanno chiedendo cosa ne sarà di The Wine Advocate, del suo team, ma soprattutto cosa cambierà nel mondo delle guide del vino a livello globale. Parker lascia tutto nelle mani del suo team di esperti degustatori sparsi per il globo, ma non avendo abdicato in favore di un singolo erede il trono del più influente wine critic mondiale resterà vacante, anche se con buone probabilità sarà l'”omino” Michelin a reclamarlo quanto prima. In questo momento di stallo è palese che sia Antonio Galloni a gioire, in quanto è proprio l’ex membro del panel di degustazione di The Wine Advocate, poi fondatore e CEO di Vinous, a rappresentare la prima “alternativa” a Robert Parker in termini di influenza di un singolo individuo.
Di certo, questo accadimento sta innescando e stimolando molte riflessioni sul tema ma, a prescindere dagli esiti della possibile acquisizione totale della testata da parte della Michelin, io prendo spunto dal “pensionamento” di Parker per condividere con voi qualche considerazione riguardo i punteggi e le classifiche enoiche.
La notizia sta girando il mondo e in molti si stanno chiedendo cosa ne sarà di The Wine Advocate, del suo team, ma soprattutto cosa cambierà nel mondo delle guide del vino a livello globale. Parker lascia tutto nelle mani del suo team di esperti degustatori sparsi per il globo, ma non avendo abdicato in favore di un singolo erede il trono del più influente wine critic mondiale resterà vacante, anche se con buone probabilità sarà l'”omino” Michelin a reclamarlo quanto prima. In questo momento di stallo è palese che sia Antonio Galloni a gioire, in quanto è proprio l’ex membro del panel di degustazione di The Wine Advocate, poi fondatore e CEO di Vinous, a rappresentare la prima “alternativa” a Robert Parker in termini di influenza di un singolo individuo.
Di certo, questo accadimento sta innescando e stimolando molte riflessioni sul tema ma, a prescindere dagli esiti della possibile acquisizione totale della testata da parte della Michelin, io prendo spunto dal “pensionamento” di Parker per condividere con voi qualche considerazione riguardo i punteggi e le classifiche enoiche.
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Illustrazione di Jeannie Phan |
Inizio col dirvi che il vino più buono del mondo per me è… suvvìa, ma secondo voi potrei mai definire un vino come “il più buono”? Giammai!
Non vi nego, però, che come tutti anch’io sono attratto e incuriosito dalle classifiche dei vini, dalle votazioni, dalle valutazioni enoiche perché sono subitanee, dirette, semplici da assimilare ed è proprio per questo che r-esisteranno sempre. D’altra parte, se è vero che il gusto del vino e l’apprezzamento che ognuno ha di questa sostanza così viva e mutevole, siano materie tra le più soggettive, chi potrebbe mai giudicare come “errata” una classifica? Chi potrebbe definire una palese menzogna un “parkeriano” voto troppo alto per un vino che a nostro parere non merita una così buona valutazione? Forse con l’ausilio di schede tecniche è possibile valutare il vino attraverso parametri tecnici al fine di determinarne alcuni aspetti oggettivi, ma in termini di qualità generale la somma di tali parametri può risultare minore, uguale o superiore alla somma “matematica” delle valutazioni.
Quando ordiniamo un vino al ristorante e scegliamo quella bottiglia di quella cantina, stiamo già operando una valutazione razionale, no?
Forse sì e non si può non rispettare l’approccio di chi valuta e condivide le proprie valutazioni esprimendo gli esiti di un assaggio tramite un punteggio ma, semplicemente, non fa per me!
Non fa per me perché assaggiando tanto l’unica cosa che ho capito è che lo stesso vino riassaggiato più volte, in contesti diversi e/o con uno stato d’animo differente, meriterebbe un voto diverso e, nonostante non mi si reputi uno “scarso” degustatore, non potrei mai sentirmi così sicuro del mio palato sino ad elevarlo a giudice enoico assoluto.
Nonostante l’esperienza maturata in degustazione e gli studi portati avanti negli ultimi 13 anni, non ho mai vacillato rispetto alle mie scelte e all’idea di non cedere alle lusinghe di chi avrebbe preferito trovare contenuti più snelli e diretti che potessero rendere questo wine blog qualcosa di più simile a una guida.
Di guide ce ne sono già molte e sono del parere che ogni tipo di comunicazione, purché trasparente e eticamente corretta, possa convivere senza pestarsi i piedi. Semplicemente, parliamo due idiomi differenti che possono convergere su alcuni punti e divergere sotto altri aspetti, ma sono consapevole che non esista un solo modo di comunicare il vino… un modo più o meno giusto… esistono modi differenti e la diversità va a favore di chi è interessato all’argomento e ha una vasta scelta di contenitori e contenuti alla quale attingere. Probabilmente il web ha portato all’aumento dei contenitori e dei contenuti e quindi a tanta difformità e confusione, ma confido in chi ama il vino e nella capacità di discernere di ognuno.
Io, da par mio, ho scelto ho scelto di raccontare storie di luoghi e persone, cerco di portarvi col pensiero attraverso le vigne e dentro le cantine, parlandovi delle personalità e delle scelte più o meno opinabili dei vignaioli che incontro nel mio perpetuo girovagar nell’Italia del vino, senza scindere tutto ciò dalle qualità e le peculiarità specifiche di ogni vino.
Evito di ricondurre tutto alla valutazione di un singolo assaggio, ma questo non significa non essere “critico” o non scegliere. Negli anni credo di aver scritto di meno del 10% delle realtà che ho visitato e di meno del 5% dei vini che ho avuto modo di assaggiare e questo per me ha il valore di una valutazione, anche se preferisco lasciare le critiche e le opinioni più drastiche all’intimità rispettosa di un confronto de visu con il produttore. Non è forse più opportuno che spiattellare sulle pagine di un wine blog o sulle bacheche di un social critiche che potrebbero ledere quello che è, pur sempre, il lavoro di altri?
Penso che illustrare le peculiarità di un territorio, raccontare la storia di una cantina, condividere le scelte fatte da un produttore in termini agronomici ed enologici, per poi passare alle mie impressioni sui vini degustati, permetta ad ognuno di farsi un’idea propria e possa spingere non solo all’acquisto di una bottiglia, bensì al raggiungere quei luoghi, bussare alla porta di quelle aziende e fare due chiacchiere con quei vignaioli, magari, camminando per quelle vigne.
Ma le guide hanno ragion d’essere – lo dicono i produttori stessi – e se questo influisce sulle dinamiche di vendita e quindi di gratificazione anche economica di chi lavora (perché fare vino è un lavoro, oltre che una meravigliosa passione, ricordiamolo!) sarebbe stupido cercare di negarlo e sarebbe altrettanto sciocco pensare che quel famoso 99% di “bevitori”, che di vino non sa e non vuole sapere più del prezzo e di un potenziale abbinamento con ciò che cucinerà la sera (ma già questo è uno step ulteriore) possa scegliere una bottiglia in base alle mie chiacchiere e/o allo storytelling enoico che ho scelto per il mio WineBlog. Io scrivo per chi ha già passione, per quella piccola nicchia di winelovers che vuole solo confermare o confutare un’impressione riguardo un assaggio già fatto o magari decidere quale sarà la prossima cantina da visitare, il prossimo areale da esplorare, il vitigno autoctono poco conosciuto da scoprire.
Mi hanno detto che scrivo anche per i produttori e per me è stato un complimento molto gradito e non di certo un’offesa! Sì, perché scrivere di agronomia, di piccole e grandi scoperte enoiche e soprattutto di sostenibilità e rispetto in vigna e in cantina è un piacere ma anche un dovere, nonché motivo di grande studio e confronto proprio con chi il vino lo fa (enologi, agronomi, vignaioli e produttori in generale). Mi metto nei panni di chi non ha modo di girare quanto me e di chi ha voglia di approvvigionarsi di informazioni tecniche già filtrate e sintetizzate in modo da poter ottimizzare il proprio tempo e, anche per questo, cerco di dare una risposta alla loro ricerca. Inoltre, scrivere di territori piuttosto che di singoli assaggi mi ha permesso di essere fautore più o meno diretto e più o meno consapevole di nuove sinergie fra vignaioli/e la soddisfazione non può che essere doppia in tal caso.
Mi hanno detto che dovremmo giudicare il prodotto finito, scisso dalle dinamiche legate al territorio e agli aspetti antropologici ed emozionali, in quanto chi ci legge dovrà scegliere cosa acquistare e cosa bere non tanto chi conoscere, ma per me non è mai stato così! Assaggiare alla cieca, imparare a discernere e a districarsi nei meandri della miriade di varietali, denominazioni e interpretazioni che l’enosfera e, in particolare, l’Italia del vino possono offrire è d’obbligo e serve, senza dubbio, ad accrescere la propria competenza e il proprio palato, ma il vino non può essere solo questo. Il vino deve, necessariamente, tornare ad essere un fattore culturale, umano e sempre più legato alla componente che può e deve fare la differenza: l’emozione.
Per emozione non parlo di atteggiamenti superficiali o di situazioni forzate, parlo di quanto l’emotività possa andare di pari passo alla conoscenza del vino in senso stretto e in senso lato e quanto l’aspetto umano influisca ma possa influire anche e in termini importanti la protagonista indiscussa di molti miei scritti: la vigna.
Credo che nella valutazione di un vino, oggi più che mai, si debba tornare a parlare di territori, vigne, approcci e pensieri di donne e uomini che ci fanno intingere la penna in calamai che hanno le sembianze di botti. Il prodotto finito resta la componente fondamentale dell’equazione e tutto ciò che gli gravita intorno presume un risultato qualitativamente e sensorialmente interessante, ma se davvero dovessi limitare ogni mio assaggio alla sola componente tecnica passerei, probabilmente, smetterei di scrivere molto presto. Contemplare i valori umani nella condivisione delle proprie impressioni riguardo l’operato di un produttore o di una azienda vitivinicola non significa accettare condizionamenti, anzi è l’esatto contrario! Imparare a valutare gli aspetti correlati ai vari ambiti legati alla produzione del vino dal sottosuolo al bicchiere, passando per le braccia, la mente e il cuore di tecnici e vignaioli è, a mio modo di vedere, il modo più trasparente e completo per permettere a chi legge di farsi un’idea riguardo una determinata realtà.
Mi hanno detto che scrivo anche per i produttori e per me è stato un complimento molto gradito e non di certo un’offesa! Sì, perché scrivere di agronomia, di piccole e grandi scoperte enoiche e soprattutto di sostenibilità e rispetto in vigna e in cantina è un piacere ma anche un dovere, nonché motivo di grande studio e confronto proprio con chi il vino lo fa (enologi, agronomi, vignaioli e produttori in generale). Mi metto nei panni di chi non ha modo di girare quanto me e di chi ha voglia di approvvigionarsi di informazioni tecniche già filtrate e sintetizzate in modo da poter ottimizzare il proprio tempo e, anche per questo, cerco di dare una risposta alla loro ricerca. Inoltre, scrivere di territori piuttosto che di singoli assaggi mi ha permesso di essere fautore più o meno diretto e più o meno consapevole di nuove sinergie fra vignaioli/e la soddisfazione non può che essere doppia in tal caso.
Mi hanno detto che dovremmo giudicare il prodotto finito, scisso dalle dinamiche legate al territorio e agli aspetti antropologici ed emozionali, in quanto chi ci legge dovrà scegliere cosa acquistare e cosa bere non tanto chi conoscere, ma per me non è mai stato così! Assaggiare alla cieca, imparare a discernere e a districarsi nei meandri della miriade di varietali, denominazioni e interpretazioni che l’enosfera e, in particolare, l’Italia del vino possono offrire è d’obbligo e serve, senza dubbio, ad accrescere la propria competenza e il proprio palato, ma il vino non può essere solo questo. Il vino deve, necessariamente, tornare ad essere un fattore culturale, umano e sempre più legato alla componente che può e deve fare la differenza: l’emozione.
Per emozione non parlo di atteggiamenti superficiali o di situazioni forzate, parlo di quanto l’emotività possa andare di pari passo alla conoscenza del vino in senso stretto e in senso lato e quanto l’aspetto umano influisca ma possa influire anche e in termini importanti la protagonista indiscussa di molti miei scritti: la vigna.
Credo che nella valutazione di un vino, oggi più che mai, si debba tornare a parlare di territori, vigne, approcci e pensieri di donne e uomini che ci fanno intingere la penna in calamai che hanno le sembianze di botti. Il prodotto finito resta la componente fondamentale dell’equazione e tutto ciò che gli gravita intorno presume un risultato qualitativamente e sensorialmente interessante, ma se davvero dovessi limitare ogni mio assaggio alla sola componente tecnica passerei, probabilmente, smetterei di scrivere molto presto. Contemplare i valori umani nella condivisione delle proprie impressioni riguardo l’operato di un produttore o di una azienda vitivinicola non significa accettare condizionamenti, anzi è l’esatto contrario! Imparare a valutare gli aspetti correlati ai vari ambiti legati alla produzione del vino dal sottosuolo al bicchiere, passando per le braccia, la mente e il cuore di tecnici e vignaioli è, a mio modo di vedere, il modo più trasparente e completo per permettere a chi legge di farsi un’idea riguardo una determinata realtà.
Mi piace pensare che, dopo anni da scribacchino enoico e da viaggiatore instancabile, tutti voi abbiate compreso la natura del mio pensare, del mio fare e, ancor più, del mio essere e per questo vi ringrazio per essere ancora qui nonostante la palese crisi dei blog e la preoccupante virata della comunicazione del vino verso la superficialità di alcuni social e dell’approccio di alcune “nuove” figure più vicine al marketing che all’informazione.
Proprio perché mi conoscete, immaginate se domani me ne uscissi tranquillo tranquillo con una classifica, scegliendo un vino tra quelli che amo, come il vino più buono del creato e come minchia me potrei tirarmene fuori?!? Scrivo questo perché non è raro che mi arrivino messaggi sui social o mail, piene di passione, ma che terminino con “mi consiglieresti il Vino più buono per te?” o “ma qual è il vino che ti è piaciuto di più?” e, che ci crediate o no, io non so mai cosa rispondere e me la svigno con la solita frase “il mio vino preferito è quello che ancora devo assaggiare”… finché funziona io me la gioco! Shhh!
Proprio perché mi conoscete, immaginate se domani me ne uscissi tranquillo tranquillo con una classifica, scegliendo un vino tra quelli che amo, come il vino più buono del creato e come minchia me potrei tirarmene fuori?!? Scrivo questo perché non è raro che mi arrivino messaggi sui social o mail, piene di passione, ma che terminino con “mi consiglieresti il Vino più buono per te?” o “ma qual è il vino che ti è piaciuto di più?” e, che ci crediate o no, io non so mai cosa rispondere e me la svigno con la solita frase “il mio vino preferito è quello che ancora devo assaggiare”… finché funziona io me la gioco! Shhh!
Magari un giorno assaggerò un vino così memorabile e così sconvolgente da aver voglia di dichiarare il mio amore folle per quell’assaggio qui e tramite i social, ma ad oggi ciò che so è che di emozioni enoiche meravigliose ne ho provate tante, al punto di commuovermi o di ritrovarmi con un incontrollabile sorrisetto da ebete godurioso sul viso; so che ho conosciuto vignaioli e produttori che hanno cambiato il mio modo di vedere le cose, a volte sul vino altre sulla vita e sul lavoro; so che ho visto luoghi dei quali mi sono infatuato e dei quali mi ri-innamoro ogni volta ho modo di rimettervi piede. Ogni vino fa storia a sé e farli competere in qualsivoglia tenzone implica una certa dose di agonismo ed edonismo enoici che non sono propri di chi fa il vino con passione, amore e rispetto, per quanto poi – non neghiamolo…- la soddisfazione di un premio possa e debba esserci sia per mero orgoglio personale che per prospettive d’immagine e di mercato.
Con questo wineblog sto cercando da un po’ di portare avanti quella che non è una contrapposizione a guide, classifiche o ad altri approcci comunicativi del vino, bensì è un’alternativa, basata sullo storytelling e sull’aspetto prettamente emozionale di questo meraviglioso mondo che voglio continuare a guardare non solo sotto forma di etichette, prezzi, numeri ed aspetti commerciali ma anche e soprattutto come un settore fatto di persone, intriso di lavoro, basato su valori, inebriato dalla meraviglia.
Mi rincuora molto aver appreso che anche penne molto più qualificate e stimate di me e che io apprezzo fortemente, concordino con questo tipo di comunicazione enoica, tanto da aver notato, ultimamente, numerose pubblicazioni più orientate sull’aspetto umano e umanistico che “guidarolo”. D’altronde, oggi, l’accesso alle informazioni generiche ed enoiche, la possibilità di riferirsi a svariati esperti e wine writer (con i dovuti distinguo) e la maggior esposizione mediatica dei vignaioli/produttori stessi hanno portato gli appassionati e gli addetti ai lavori a poter maturare le proprie scelte in maniera più dinamica e scevra dall’egemonia di pochi. O almeno mi piace pensare sia così perché è proprio questo cambiamento che può portare alla crescita del numero di appassionati che non approcciano più il momento della scelta del vino in maniera passiva, affidandosi a dei “guru” o a delle “guide”, bensì creano una propria opinione basata su una quantità maggiore di informazioni reperite da più fonti, con grande agilità. E’ pur vero che districarsi in questo marasma di contenuti non è facile in quanto a divenire semplice non è stato solo l’accesso alle informazioni ma anche la possibilità di pubblicare impressioni enoiche e valutazioni spesso fuorviate da dinamiche poco etiche e/o fuorvianti per via dell’improvvisazione e della superficialità imperanti sui social.
Credo, però, che si stia già verificando una sorta di selezione naturale che, in breve tempo, porterà alla distinzione fra qualità e fuffa, fra comunicazione e “marketta”.
Credo, però, che si stia già verificando una sorta di selezione naturale che, in breve tempo, porterà alla distinzione fra qualità e fuffa, fra comunicazione e “marketta”.
Quando ho deciso di scegliere questa strada in molti pensavano sarebbe stato solo uno stadio di passaggio, una fase che mi avrebbe portato ad avvicinarmi a contesti più appaganti e remunerativi, ma non è stato così e, dopo qualche annetto, posso esprimere con fierezza la gioia nel non aver mai ceduto ai richiami delle sirene.
Scegliere questa strada non significa non saper prendere una posizione, perché è proprio nello scegliere di non pubblicare articoli che – so bene – avrebbero un potenziale in termini di visite madornalmente superiore, come quelli contenenti punteggi e classifiche, che risiede la mia posizione, ma il rispetto è fondamentale e credo che ognuno sia libero di fare e scrivere ciò che ritiene più opportuno, chi per lavoro chi per passione, chi per business chi per gratificazione personale, perché ciò che conta è che chi ama il vino possa scegliere da quali fonti attingere o su che basi formare la propria opinione enoica.
Scegliere questa strada non significa non saper prendere una posizione, perché è proprio nello scegliere di non pubblicare articoli che – so bene – avrebbero un potenziale in termini di visite madornalmente superiore, come quelli contenenti punteggi e classifiche, che risiede la mia posizione, ma il rispetto è fondamentale e credo che ognuno sia libero di fare e scrivere ciò che ritiene più opportuno, chi per lavoro chi per passione, chi per business chi per gratificazione personale, perché ciò che conta è che chi ama il vino possa scegliere da quali fonti attingere o su che basi formare la propria opinione enoica.
F.S.R.
#WineIsSharing
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