Vi è mai capitato di incontrare un vino e sentire che voi e quel liquido avevate qualcosa in comune? Uno di quegli assaggi che vanno oltre i meri tecnicismi e che definire “buoni” o “di qualità” vi parrebbe a dir poco riduttivo? Non lo nego, a me capita spesso di ritrovare parti, sfaccettature, peculiarità del mio carattere o aspetti della mia vita in un calice, sperimentando una sorta di empatia enoica che fa da viatico d’elezione per l’emozione.
Eppure, non sono molti i vini di cui scrivo, se paragonati ai vini che assaggio – la proporzione, per chi mi segue sui social, non è poi così difficile da fare ad occhio e croce – e non sono molti i vini capaci di mettermi completamente a mio agio, nel parlarne e nel rapportarmi a essi, nel personificarli e nello scorgere in ogni calice qualcosa di più delle semplici connotazioni organolettiche.
Esistono descrittori esaustivi, tecnicamente ineccepibili ed è divertente scovare aromi, sapori, sensazioni tattili e persino arrivare a essere in grado di percepire componenti chimiche/analitiche del vino stesso, come le acidità o la quantità approssimativa di solfiti in esso “disciolti”. E’ importante affinare la propria percezione e riuscire a comprendere il vino nella sua estrema bellezza, ma lo è allo stesso modo – se non maggiormente – elogiare la sua meravigliosa capacità di rendere ciò che è complesso e profondo per natura in qualcosa di estremamente semplice e diretto.
Scrivo questo pezzo, perché, mi rendo sempre più conto di quanto bello sia poter trasformare gli aspetti razionali della degustazione in emozione, ma al contempo mi chiedo se per emozionarsi assaggiando un vino ci sia davvero bisogno di conoscerne e riconoscerne così tante caratteristiche organolettiche e di vivisezionarlo a tal punto da snaturarne l’essenza. Credo che ancora una volta la risposta sia nel mezzo e che, se da un lato i rudimenti della tecnica di degustazione, le conoscenze enologiche e magari quelle agronomiche portano ad una consapevolezza tale da apprezzare il vino nel suo essere materiale ed immateriale, è pur vero che il 99% di chi beve o compra vino potrebbe non curarsi delle dogmatiche dinamiche degustazione, dei descrittori più particolari o delle nozioni di base di chimica del vino.
Quindi, dato per assunto questo, saremmo portati a pensare che le vere emozioni enoiche e la reale capacità di capire ed apprezzare il vino siano appannaggio esclusivo degli “esperti degustatori”, ma non credo sia così!
Quante volte, a te che sai di vino e assaggi con cognizione di causa, è capitato di trovarti a cena con amici enoicamente ignari? A me capita spesso e, ogni volta, mi sorprendo… mi sorprendo di quanto sia naturale per alcune persone percepire, sentire e capire il vino, magari esprimendolo con descrittori poco convenzionali o assaggiando con metodi poco ortodossi, ma andando più a fondo di chi è imbrigliato dalla tecnica e dai tecnicismi. Io credo che il vino abbia – come l’arte, come la musica e come tutto ciò che nella materia contempli l’emozione e la capacità di veicolare l’emozione stessa – la capacità di dialogare con l’assaggiatore, esperto o neofita esso sia, e di creare empatia con gli individui.
Quindi, se da un lato invito tutti ad affinare la tecnica e ad assaggiare il più possibile, magari in cantina, magari cercando di comprendere – prima ancora dell’aroma di carruba o di cardamomo – “come si fa il vino”, camminando per vigne e visitando cantine con chi il vino lo fa – in Italia non abbiamo scuse, in quanto potremmo puntare un compasso in un punto qualsiasi della penisola, tracciando un cerchio del raggio di pochi km, e troveremmo sempre almeno qualche filare -, dall’altro lato mi piacerebbe ci fosse meno elitarismo e più serenità intorno ad un calice e che tutti avessero il diritto di dire la propria durante una cena, o semplicemente di non sentirsi a disagio accanto ad un fantomatico esperto. Chi ama il vino, chi ha dedicato e dedica così tanto tempo, così tante energie alla sua conoscenza ha il compito di divulgarne la complessità, ma anche di avvicinare i potenziali winelovers – che ancora non sanno di esserlo! – in modo graduale, partendo con libertà e maggior leggerezza, per poi mettere a disposizione di tutti le proprie competenze, perché il vino torni ad essere di tutti e non solo di un’elite.
Questo, però, non deve portare all’appiattimento e alla superficialità, bensì alla capacità di tradurre le nozioni tecniche e le dinamiche più complesse in un idioma più accessibile, dalla cadenza più familiare e dal ritmo più dinamico.
Questo, però, non deve portare all’appiattimento e alla superficialità, bensì alla capacità di tradurre le nozioni tecniche e le dinamiche più complesse in un idioma più accessibile, dalla cadenza più familiare e dal ritmo più dinamico.
I social in questo sono un’arma a doppio taglio, in quanto focalizzano il target e sono in grado di escludere e tagliar fuori chiunque non appartenga ad una determinata “cerchia”, ma possono anche aggregare ed aprire mondi come quello del vino a molti, grazie alle potentissime leve della curiosità e dell’emozionalità. Credo sarebbe bello poter spingere neofiti, distanti anni luce dall’apprezzare il vino nella sua interezza, ad approfondire e ad amare questo meraviglioso mondo proprio grazie ad un approccio meno distaccato e contingentato. Magari sbaglio… ma credo che, chi entra in questo blog, lo faccia nella consapevolezza di non trovare solo tecnica o nozionismo, bensì un un mix di informazioni ed emozioni, grappoli di esperienze realmente vissute, pigiati e fermentati dalla voglia di condividere una passione e un sapere che non sono mai paghi.
Il tutto riversato in calici di vino condivisi e non imposti, suggeriti ma non promossi, non solo per le loro qualità organolettiche, ma anche per ciò che sta dietro ad ognuno di essi.
Il tutto riversato in calici di vino condivisi e non imposti, suggeriti ma non promossi, non solo per le loro qualità organolettiche, ma anche per ciò che sta dietro ad ognuno di essi.
F.S.R.
#WineIsSharing
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