Settembre è il mese in cui si compiono molte delle principali vendemmia in Italia e, anche un occhio poco esperto, lo può evincere dalla grande mole di foto e di video pubblicati sui social da cantine e vignaioli in questo periodo.
Foto che rappresentano, spesso, la luminosa e turgida bellezza dei grappoli maturi dei varietali più disparati, forbici che recidono tralci, cassette piene pronte per essere portate in cantina, botti vuote in attesa di un nuova fermentazione.
Ciò che non sempre è così facile scorgere però, è la fatica di un anno di lavoro, è l’incertezza di 12 lunghi mesi in cui è bastato un giorno di grandine, un attacco di peronospora mal gestito o l’invasione di cinghiali e caprioli che in una notte hanno banchettato con i frutti di un intera parcella di vigneto.
La vendemmia è, dunque, un momento bellissimo per noi amanti del vino, per chi occasionalmente si approcci al lavoro in vigna e vede la raccolta come il compimento di un ciclo naturale che si ripete ogni anno. Eppure, è anche sacrificio, ansia, preoccupazione e, soprattutto, sfida. Sì, perché è proprio dalla vendemmia che inizia un’altra sfida, stavolta non più con Madre Natura ma con il tempo e con sé stessi. E’ il momento in cui vignaioli ed enologi fanno la conta delle uve portate in cantina, valutano la qualità delle stesse selezionando e vivisezionando ogni grappolo e, in alcuni casi, ogni singolo acino al fine di trarre il meglio dell’annata da ogni particella di vigneto, da ogni cru, da ogni varietale e da ogni uvaggio.
La vendemmia è la fine di un ciclo ma è anche l’inizio di una metamorfosi che trasformerà quei frutti di tanta fatica nel liquido che tanto ci da da parlare, da scrivere, da gustare.
“Il vino si fa in vigna” è un mantra, ormai! Lo sentiamo ripetere da ogni produttore e da ogni comunicatore e di certo l’importanza del lavoro in vigna e, ancor più, il rispetto che si ha in materia agronomica sono due fattori fondamentali ai fini della produzione di vini di qualità, capaci di rispecchiare al meglio l’identità di un territorio e gli esiti dell’annata.
E’ anche vero, però, che in quest’equazione l’uomo è altrettanto fondamentale e le sue scelte sono imprescindibili nella valutazione dell’annata: attendere il momento giusto per la vendemmia sia in termini di maturazione fenolica e tecnologica – assaggiando gli acini e campionandoli per analizzarli – che rispetto al meteo cercando di scongiurare una raccolta “bagnata” o nei casi peggiori esplosione degli acini e marciumi; comprendere quali uve destinare ad ogni singolo vino e decidere, quindi, del futuro di un frutto del quale si può solo intuire le potenzialità; valutare investimenti in vasi vinari in cemento, acciaio o in tini e botti di legno che graveranno sulle casse delle realtà, specie se medio-piccole.
Nelle mie vendemmie passate ho avuto modo di vivere gli aspetti più esaltanti della vendemmia come la convivialità e la gioia per una raccolta all’altezza delle aspettative, ma anche quelli che fanno parte di un backstage di cui in pochi tengono conto quando stappano una bottiglia: il trattore che non va, la pressa che si inceppa proprio durante la pressatura delle uve che dovrebbero andare a produrre il vino più importante dell’azienda, giornate di lavoro che terminavano alle 4 del mattino e ricominciavano alle 6 e tanti piccoli incidenti di percorso che possono mettere a dura prova anche i vignaioli e gli enologi più esperti.
Va da sè che i miei riferimenti siano indirizzati principalmente verso le realtà virtuose che effettuano raccolta a mano, ancor meglio se in cassetta, in alcuni casi in vigneti considerati eroici per la conduzione agronomica e ancor più per le vendemmie che vengono gestite con modalità che sfociano, in alcuni areali, nell'”assurdo” (es: le monorotaie delle Cinque Terre o le altissime scale dell’Asprinio di Aversa).
La vendemmia resta uno dei momenti più affascinanti e suggestivi del percorso dell’uva e del vino dalla vigna al bicchiere ma è anche l’occasione ideale per ricordare l’incertezza di questo mestiere, le ansie e le preoccupazioni dei vignaioli e la fatica di ogni produttore nel portare, in ogni annata, i migliori frutti dei propri vigneti nella quantità più consona possibile in cantina e poi in bottiglia.
E dato che “repetita iuvant” anche quest’anno invito tutti gli amanti del vino a ricordarsi di quanto costi in termini di fatica e denaro produrre un vino, di quanto sia incerta ogni annata e di quanto la bellezza dei vigneti e della vendemmia racchiuda in sè anche tanto lavoro e altrettanto sacrificio, nonché dedizione e competenza.
Ai colleghi comunicatori chiedo, ancora una volta, di non giudicare un’annata in maniera prematura, ancor prima di averne assaggiato il frutto, perché annate come la 2014 insegnano che la differenza, nelle raccolte più complesse, la fa il manico!
Infine, auguro a tutti i vignaioli e i produttori di vivere questa vendemmia nelle migliori condizioni e di poter iniziare a lavorare ai vini che recheranno in etichetta l’annata 2019 con grande positività e una luminosa prospettiva.
F.S.R.
#WineIsSharing
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