“Molti ricordano con onore in Friuli, e nelle provincie vicine, il vino Piccolit, mentre pochissimi sono colore che oggi ne coltivano il vitigno, e più rari ancora, quelli che lo vinificano da solo. Eppure, in un’epoca da noi non molto lontana, doveva essere coltivato in larga scala…”
Inizio il mio pezzo dedicato ad uno dei vini più identitari e preziosi dell’Italia tutta con queste parole tratte dalla pubblicazione “Il Piccolit” di G. Perusini del 1906. Parole che rendono l’idea e che potrebbero essere state scritte ben più recentemente visto che il Picolit è, oggi, ancor più raro di allora.
Fu di certo il conte Fabio Asquini di Fagagna a renderlo noto e apprezzato in Italia e, soprattutto, all’estero oltre 250 anni fa, facendone un vero e proprio fenomeno commerciale dedicato ad un target molto alto di nobili e ricchi dell’epoca. Alla sua morte, purtroppo, il Picolit subì un netto declino, fino all’avvento della Famiglia Perusini che possedevano la Rocca Bernarda di Ipplis di Premariacco, nei Colli Orientali del Friuli, e dedicarono risorse, tempo e attenzioni alla riscoperta di questo straordinario vitigno.
L’indimenticato Luigi Veronelli nel 1959 venne per la prima volta in Friuli, proprio per assaggiare il “Picolit” della Contessa Giuseppina Perusini. Dopo averlo assaggiato scrisse: “Non credo vi sia in Italia vino più nobile di questo, è stato autentica gemma dell’enologia friulana…; potrebbe essere l’orgoglio di tutta la nostra enologia solo se si riuscisse a stabilizzarne la coltura e la vinificazione. Le sue qualità lo renderebbero in Italia, ciò che per la Francia è lo Chateau d’Yquem”.
Per chi non lo conoscesse, il Picolit è un vitigno autoctono friulano, indubbiamente antichissimo, già coltivato in epoca romana, amato e apprezzato da illustri personaggi storici.
A renderlo speciale è un “difetto genetico” chiamato acinellatura o aborto floreale, che lascia il grappolo spargolo con acini più piccoli ma anche più dolci, in quanto più concentrati in termini di zuccheri. Rese bassissime che rendono ancor più raro e pregiato il vino prodotto da grappoli che più maturano più assumo il colore dell’oro rosa.
I pochi ettari di Picolit rimasti sono adagiati nella fascia collinare del Friuli, nelle province di Udine e Gorizia. La Doc nasce nel 1970 ma solo nel 2006 gli viene riconosciuta la D.O.C.G. “Colli Orientali del Friuli Picolit”, che ne fa la seconda DOCG regionale.
L’areale della D.O.C.G. “Colli Orientali del Friuli Picolit” comprende vigneti situati in diciannove comuni, nella fascia centro orientale della Provincia di Udine, vicino al confine con la Slovenia: Attimis, Buttrio, Cividale del Friuli, Corno di Rosazzo, Faedis, Magnano in Riviera, Manzano, Moimacco, Nimis, Povoletto, Premariacco, Prepotto, Reana del Rojale, Remanzacco, San Giovanni al Natisone, Tarcento, Tricesimo e Torreano.
Il territorio si estrinseca in una variegata alternanza di colline e pianure che si sviluppano ininterrottamente lungo la direttrice nord-ovest sud-est, creando delle ampie superfici che possono godere di un’esposizione ottimale per la coltivazione della vite. La sottozona “Cialla” contemplata nel disciplinare di produzione, si sviluppa invece in un territorio molto più limitato, ricadendo nella parte nord del comune di Prepotto al confine con Cividale del Friuli (può essere rivendicata in etichetta anche nella menzione Riserva).
I terreni sono quelli tipici della zona con il “Flysch di Cormòns” (un’alternanza di strati di marne e arenarie, anche detta “ponca”.
I vigneti coltivati si collocano tra i 100 ed i 400 m slm, la maggior parte si trova su colline terrazzate, alcuni occupano delle porzioni pianeggianti o con un leggera pendenza, le zone preferite dai vignaioli sono nei punti più alti delle colline dov’è più semplice raggiungere una maturazione ottimale.
Fatta questa doverosa premessa “didattica” ciò che vorrei condividere con voi è il mio punto di vista riguardo quella che qualcuno chiama “crisi dei passiti” che vede molti produttori sostenere (conti alla mano) che la loro vendita è diventata così complessa da non giustificarne la produzione.
Eppure, il Picolit sembra essere, tra tutti i “vini dolci” italiani, quello con più chance di trascendere questa crisi grazie al suo grande equilibrio fra acidità e dolcezza, dinamica di beva e complessità. A conferma della sua unicità, io stesso ho potuto affrontare, senza ostacoli dovuti a ingenti residui zuccherini e strutture eccessive, una degustazione di 36 diversi Picolit che hanno mostrato e dimostrato una qualità media altissima.
Nel corso dei prossimi mesi troverete alcuni di essi segnalati nelle mie selezioni, ma in questo articolo vorrei focalizzarmi su alcune peculiarità emerse dalla degustazione che potrebbero tornare utili al Picolit e a chi ne farà “buon uso”.
Dato per assunto che il servizio al calice può e deve essere la “salvezza” dei vini “dolci”, è anche vero che il posizionamento del calice lungo il percorso di degustazione rappresenta un fattore determinante nell’esaltazione e nella valorizzazione del vino in questione.
Sì, perché credo che uno dei “problemi” fondamentali dei passiti in generale e del Picolit nello specifico sia quello degli abbinamenti per concordanza “dolce su dolce” che li relega al fine pasto. Sia chiaro, il Picolit sta benissimo con dolci al miele, pasticceria secca o biscotti a base di mandorle o noci, ma questa tipologia di abbinamento lo rischia di enfatizzarne la dolcezza e di rendere più “monotona” la dinamica di beva. I formaggi erborinati, saporiti e/o piccanti restano un must per l’abbinamento in “contrasto” ma anche in questo caso il posizionamento del calice resterà a fine corsa. Poi ci sono abbinamenti filo francesi, come quello con il foie gras o con il piccione, che io amo particolarmente e che rendono più libera la proposizione del calice di Picolit nell’ambito del percorso di degustazione.
Eppure, io penso che il miglior modo per dar spazio a vini come il Picolit e per far sì che il commensale “subisca” uno shock palatale nella miglior accezione del termine è quello con il “mare”, ovvero con tutto ciò che può contrastare in sapidità marina la lieve dolcezza del Picolit, senza sfociare in sensazioni amarotiche o eccessivamente ferrose come può accadere con il fegato. Anche abbinamenti con la cucina asiatica a tendenza “umami” si sono dimostrati interessanti. In realtà, anche in questo caso i cugini francesi insegnano, in quanto non sono nuovi ad accostamenti fra ostriche e sauternes.

Per quanto riguarda i campioni degustati sono stati quelli più giovani (entro i 5 anni) a farmi riflettere maggiormente su questa tipologia di abbinamento, pensando a quanto la loro freschezza floreale e agrumata (nonostante le ovvie sensazioni candite e di miele), resa più complessa ed intrigante dalle fini note speziate, possa sposarsi al meglio con l’idea di servire un calice di Picolit all’inizio di un percorso di degustazione e non alla fine. Qualcuno opinerà il fatto di non poter “andare avanti”, ma la realtà è che il palato può essere terso e resettato con un semplice calice d’acqua, tanto moderato è il residuo del Picolit. In fondo, vengono serviti cocktail, vermouth e sherry durante alcuni dei più validi percorsi di abbinamento al calice, quindi non vedo il problema nel tentare di stupire con un vino dolce di tale caratura e piacevolezza?!

Ai Picolit più evoluti e complessi lascerei il ruolo di vini da meditazione o da fine pasto, in quanto capaci di chiudere una pranzo o una cena con eleganza ed equilibrio, nonché alcol moderato.
Queste idee vengono da esperienze dirette e da discussioni costruttive con alcuni dei sommelier dei migliori ristoranti italiani (e non solo) e sono volte ad aumentare le possibilità di servizio di vini dall’indiscussa unicità e piacevolezza dei quali il Picolit rappresenta la punta di diamante italiana. Ciò che conta, però, non è replicare in maniera pedissequa un abbinamento o prendere questi concetti come degli assunti, bensì è sentirsi più liberi nel proporre vini che meritano di essere proposti in maniera tale da provocare in chi avrà modo di degustarli sensazioni ed emozioni che, spesso, assurgeranno a ricordo indelebile di quella determinata esperienza degustativa.
Mi piace pensare, quindi, che i passiti e i vini dolci italiani abbiano nei sommelier i loro potenziali salvatori, ancor più che in chi – come me – ne comunica peculiarità, storia e qualità. E’ proprio grazie ad abbinamenti più dinamici e “divertenti” che si potrà valorizzare ancor di più vini dallo straordinario potenziale come il Picolit e far sì che la classica frase “è buonissimo, ma i passiti si vendono sempre meno” venga ribaltata.
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