Se anche voi, come me, siete fra quelli che non amano parlare troppo appena svegli, comprenderete quanto eventuali interlocutori e/o argomenti debbano essere interessanti per attivare già di prima mattina le aree di Broca e di Wernicke del nostro cervello! Ironia a parte, è proprio durante una delle tante colazioni solitarie, in uno dei miei tanti viaggi, in una terra del vino che il mio interesse è stato destato da un dialogo tra la persona che ospiterò oggi in questo wine blog e una produttrice. Il dialogo in questione riguardava l’agronomia e in pochi istanti mi trovai a disquisire di biodiversità, sostenibilità, microbioma, cambiamenti climatici e tanti altri temi a me cari, con una giovane ma esperta professionista del settore. Parlo di Martina Broggio.
Martina, classe ’89, si è diplomata al Cerletti di Conegliano, dando subito prova della sua preparazione vincendo i campionati europei degli istituti enologici d’Europa (Europea Wine Championship) che le garantirono l’iscrizione al registro delle eccellenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Continua la sua carriera accademica laureandosi come Enologo all’Università di Udine, unendo agli studi il lavoro in cantina e l’assistenza tecnico/amministrativa alle aziende vitivinicole. Terminati gli studi diventa responsabile R&D per un’azienda con focus sulla microbiologia del suolo e dopo 7 anni di carriera in cui ha lavorato in centinaia di vigneti tra Italia, USA e Francia, sceglie la libera professione, diventando agronoma e lavorando come sustainable viticulture consultant.
Una figura sempre più importante per le aziende vitivinicole italiane e non solo! E’ proprio per questo che ho deciso di riprendere quella “chiacchierata”, tanto estemporanea quanto profonda e interessante, in un’intervista a Martina Broggio, che condivido con voi qui di seguito.
– La semantica enoica è fondamentale, tanto dal punto di vista della degustazione quanto – e soprattutto – sotto gli aspetti enologici e agronomici. Ci sono, infatti, termini molto utilizzati e, talvolta, abusati che possono risultare fuorvianti. Primo fra tutti “biodiversità”. Di cosa si tratta?
Biodiversità assieme a sostenibilità, sono dei termini purtroppo abusati e della quale molto spesso ci si dimentica il valore reale e concreto. La biodiversità è innanzitutto un patrimonio da tutelare, si pensi alle centinaia di varietà autoctone quasi dimenticate (ma per fortuna alcune riscoperte) che sono state letteralmente soppiantate dalle classiche varietà internazionali. Ma al di là di questo aspetto prettamente viticolo, se riflettessimo sulla biodiversità dal punto di vista ambientale ci renderemmo conto che è in corso una vera e propria catastrofe, questo per le migliaia di specie estinte o a rischio estinzione. Come dico spesso “la natura ci ha messo millenni per complessificare il sistema, mentre l’uomo sta facendo di tutto per semplificarlo” e questo purtroppo avrà delle conseguenze non proprio positive.
– La viticoltura “moderna” ha portato, in alcune aree, alla palese riduzione delle componente boschiva a causa di una imperante “monocoltura”. Quali sono i rischi sia in termini di sostenibilità ecologica che economica per la vitivinicoltura italiana?
Credo che in questo caso si debbano fare delle distinzioni: ci sono alcune realtà dove l’attività dell’uomo ha consentito a tutelare l’ambiente, grazie alle conoscenze sull’ecologia e sulla gestione del territorio.
Ho visto infatti alcune realtà dove il vigneto è stato perfettamente inglobato con il paesaggio, nel quale si sono tutelate essenze erbacee spontanee e dove credo la vite si inserisca alla perfezione. Ci sono invece delle situazioni dove purtroppo la richiesta del mercato ha portato ad espandere le superfici viticole anche in zone non vocate, e dove la gestione del vigneto, anche se sostenibile dal punto di vista economico, non lo è assolutamente dal punto di vista ambientale. Per quanto riguarda la sostenibilità sia ecologica che economica credo che la bellezza del nostro paese vada valorizzata proprio in questo senso: non è forse curando il paesaggio e l’ambiente che abbiamo creato alcune fra le zone viticole più belle e famose del mondo?
– Ho volutamente parlato di sostenibilità ecologica ed economica in quanto credo che azioni a breve termine possano inficiarle entrambe ma che una visione più ampia e lungimirante dell’approccio agronomico della singola azienda possa portare a un maggior equilibrio fra le due componenti e a risultati ottimali sia in termini di impatto ambientale che qualitativo, con i relativi benefici finanziari. Che ne pensi? Quali sono i consigli che daresti ai produttori italiani in merito a questo aspetto?
Hai utilizzato il termine giusto: lungimiranza. Mi piacerebbe riscoprire sempre più produttori che hanno a cuore la loro terra. Abbiamo un patrimonio inestimabile a livello mondiale e dobbiamo difenderlo in ogni modo. Cercare di curare il territorio per valorizzarne al massimo le caratteristiche peculiari, perché il tutto è estremamente semplice: abbiamo già la storia, il paesaggio, il clima, non ci resta che valorizzarli. Faccio un esempio del mio territorio: centinaia di vecchi vigneti di età tra i 60 e i 100 anni sono stati estirpati solo perché la forma di allevamento non era in stile francese. Per fortuna ci sono invece dei custodi del territorio che stanno reimpiantando questi vigneti facendo si che non venisse perso del tutto questo patrimonio storico.
– Microbioma e microbiota. Di cosa si tratta? Quanto contano per il vigneto e quali sono le pratiche consigliate per tutelarli e stimolarli?
Vengono a volte utilizzati come sinonimi ma il significato è differente: il microbioma è l’insieme dei geni, e quindi la genetica dei microorganismi, il microbiota invece è l’insieme delle specie appunto, di batteri, funghi, attinomiceti ecc…
Per la mia diretta esperienza in vigneto, dico con fermezza che sono la chiave per la viticoltura del futuro. La nostra stessa vita dipende dal nostro microbiota, basti pensare al sistema immunitario e alle allergie e intolleranze sempre più diffuse. Circa 2/3 kg del nostro peso corporeo sono dati da microorganismi e sono essenziali per la nostra vita: così per noi come per le piante, a seguito della completa sterilizzazione infatti la pianta muore. Tornando al vigneto si stimano dalle 4 alle 5 tonnellate/ettaro di microorganismi, i quali hanno un ruolo fondamentale nella nutrizione della pianta e nella crescita radicale: grazie a questo punto fondamentale infatti la gestione dell’acqua e la risposta stessa della vite allo stress idrico ne hanno dei benefici importanti.
La maggiore tolleranza della pianta allo stress idrico sarà essenziale per poter continuare a produrre vino e a tutelare l’acidità e la freschezza delle uve. Su questo punto abbiamo un breaking dogma: per fare qualità abbiamo bisogno di piante in equilibrio, non di piante sofferenti.
Per fare ciò dobbiamo cambiare alcuni aspetti della gestione del suolo: lavorazioni verticali che arieggino il suolo senza rimescolare lo strato fertile, tutelare il contenuto di sostanza organica per strutturare i suoli, seminare essenze erbacee funzionali per nutrire direttamente i microorganismi con il loro cibo preferito: gli essudati radicali, ovvero zuccheri, che nutrendo il microbiota ne aumentano la biomassa, e questo innesca un ciclo di nutrienti di fondamentale importanza per la pianta.
Un argomento che necessiterebbe di ulteriori approfondimenti.
– E’ possibile mappare e quantificare la reale biodiversità di un vigneto?
Certamente, esistono diversi indici in grado di farlo: analizzando diverse componenti dell’ecosistema come il suolo, le essenze erbacee presenti, l’entomofauna utile, si riesce a definire il livello di salubrità e di biodiversità presente in vigneto. Un esempio di questi indici è l’indice Bigot (** dimmi tu se vuoi citarne qualcuno o se restare sul generale).
Anche qui si potrebbe approfondire su quegli enti di certificazione che premiano biodiversità e sostenibilità.
– Cambiamenti climatici e sostenibilità. Come vedi il futuro della viticoltura italiana? Quali cambiamenti credi saranno indispensabili per affrontare il clima che cambia in un contesto sempre più esigente?
Penso all’annata 2017: in quell’anno abbiamo avuto una chiara panoramica di quale potrebbe essere l’impatto del CC sulla viticoltura. Inizialmente una severa gelata (come anche questa del 2021) che ha compromesso la produzione in migliaia di ettari, successivamente, bombe d’acqua intervallate da grandine, infine durante il periodo estivo la siccità, con zone in cui non si è visto 1 mm di acqua per mesi.
Questo ci fa capire che per continuare a produrre vini di qualità sarà essenziale avere viti resilienti, sane e in forze, con grandi quantità di sostanze di riserva stoccate nel legno, ma non solo: negli ultimi anni la viticoltura si è focalizzata sulla parte aerea della pianta, dimenticandosi quasi completamente del regista: le radici. (Mi viene in mente una bellissima immagine raffigurata sulla confezione di un noto produttore di Champagne).
Sono le radici infatti che regolano la crescita della pianta, e che le consentono di sopperire a questi importanti stress. Alcuni studi parlano del fatto che la viticoltura nel mediterraneo potrebbe cambiare drasticamente attorno al 2050, con importanti riduzioni sulle rese (basti pensare a come sta andando in alcune zone di Bordeaux o della Toscana).
La soluzione non sarà semplicemente dotarsi di un impianto di irrigazione: stiamo assistendo infatti non solo allo stress idrico, ma anche allo stress termico: scottature e danni ai grappoli anche in zone molto a nord come l’Alto Adige, dove le temperature dei grappoli e della chioma superano abbondantemente i 45 °C nel periodo estivo nonostante la disponibilità d’acqua.
La scelta di alcuni produttori di impiantare nuovi vigneti ad altitudini elevate è sicuramente lungimirante, ma assolutamente non fattibile per molte aziende. Per questo dobbiamo tutelare il suolo e lavorare sugli apparati radicali, per far sì che si possa continuare a far viticoltura nelle nostre terre ancora per molti anni.
Ringrazio Martina per la sua disponibilità e per avermi consentito di approfondire un dialogo lasciato aperto ormai mesi fa, al quale sono certo darò seguito trattando altri temi agronomici che da anni sono oggetto dei miei focus, ancor più delle dinamiche enologiche o di degustazione. Ovviamente, con il supporto di professionisti che – come nel caso di Martina – rappresentano le più affidabili sentinelle riguardo il futuro della viticoltura italiana e non solo.
F.S.R.
#WineIsSharing
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