Brachetto d’Acqui DOCG – Territorio e vini (non solo dolci!) da riscoprire.

Il Brachetto d’Acqui: storia e novità, tra corsi e ricorsi storici, di una denominazione unica nel suo genere

Il mio ultimo viaggio enoico dell’appena trascorso 2021 è stato quello nell’areale di una denominazione che proprio nel periodo natalizio gode di maggior attenzione ed esposizione ma che in questa condizione vede anche un limite, condiviso con tutti quei “vini dolci delle feste” relegati a momenti ed abbinamenti, nonché a posizionamenti commerciali, non sempre pienamente gratificanti e, spesso, fuorvianti. Sto parlando del Brachetto d’Acqui Docg, vino dal passato importante e dal futuro intrigante ma dal presente solo parzialmente percepibile.

Il Brachetto d’Acqui – Areale e Denominazione

Anche l’areale del Brachetto è stato inserito nella World Heritage List dell’Unesco nel 2014, insieme agli altri territori di Langhe, Roero e Monferrato contemplati nei paesaggi vitivinicoli insigniti del riconoscimento internazionale.

Mappa dei suoli e delle altimetrie dell'areale Brachetto d'Acqui Docg


Siamo a Sud-Est del Piemonte, sul 45° parallelo di latitudine Nord, dove si trovano le “colline degli aromatici”, in cui il Brachetto convive con il Moscato. Un areale in cui la biodiversità non è solo un espediente semantico da utilizzare nelle operazioni di marketing territoriale, bensì una concreta realtà, con una sana alternanza fra vigneto, boschi, seminativo e altre colture.
Il clima è pedemontano, caratterizzato da inverni piuttosto rigidi, estati calde, primavere e autunni solitamente miti con notevoli escursioni termiche giorno-notte che favoriscono un’equilibrata maturazione tecnologica e un ottimale sviluppo dei precursori aromatici.
L’orografia è molto complessa e, di conseguenza, avremo condizioni micro-climatiche differenti in base all’altitudine, l’esposizione, l’irraggiamento solare, il calore o la vicinanza ad un fiume.
Per quanto concerne l’ambito pedologico passiamo dalle terre bianche calcaree alle terre rosse ferrose fino a quelle con più alto contenuto di sabbie.
Parliamo di terreni formati nell’Era Terziaria con notevole presenza di sedimenti marini di varia tipologia e consistenza come le marne di Cessole, le marne di Sant’Agata Fossili e le argille di Lugagnano.

Produzione: “vigneto Brachetto” e rese

Mappa Brachetto d'Acqui Docg


La produzione di Brachetto d’Acqui Docg è delimitata a circa 1.000 ettari sulle colline dell’Alto Monferrato e che comprendono 26 comuni intorno ad Acqui Terme, 8 in provincia di Alessandria (Acqui Terme, Terzo, Bistagno, Alice Bel Colle, Strevi, Ricaldone, Cassine, Visone) e 18 in provincia di Asti (Vesime, Cessole, Loazzolo, Bubbio, Monastero Bormida, Rocchetta Palafea, Montabone, Fontanile, Mombaruzzo, Maranzana, Quaranti, Castelboglione, Castel Rocchero, Sessame, Castelletto Molina, Calamandrana, Cassinasco, Nizza Monferrato).
Una zona circoscritta e un ettaraggio contenuto che ha segnato un calo negli ultimi anni ma che, grazie al lavoro degli oltre 750 viticoltori (media di circa 1.8ha di Brachetto ad azienda) e alle recenti novità presentate dal Consorzio di Tutala sta cercando di trovare una propria ideale dimensione sia in termini di produzione che e a livello commerciale.
A differenza di ciò che si può pensare, paragonandolo ad altri vini spumante da metodo Martinotti, quelle del Brachetto d’Acqui Docg sono rese decisamente inferiori che con i suoi 50 quintali ad ettaro (seppur il disciplinare ponga come limite gli 80q/ha) lo avvicinano ai numeri dei grandi vini rossi fermi.

Varietale e interpretazioni tra corsi e ricorsi storici

Varietà uva Brachetto

Una varietà difficile, con rese basse e, per di più, un’aromatica a bacca rossa, tutte connotazioni che lo rendono unico ma che hanno anche portato molto vignaioli locali, dopo la fillossera, a preferire altri varietali al momento dei reimpianti. Solo negli anni ’50, grazie all’opera del lungimirante Arturo Bersano, il Brachetto torno a destare interesse, proprio grazie all’ideazione di un vino dolce prodotto con metodo Martinotti-Charmat (inventato alla fine del Diciannovesimo secolo da Federico Martinotti, direttore per l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti).

L’auspicio di un rosé-o futuro per il Brachetto nelle sue nuove tipologie

Brachetto d'Acqui Rosè spumante e fermo

Eppure, l’epopea di questo peculiare vino è simile alle curve di livello delle colline sulle quali viene coltivato, in quanto il mutare delle tendenze di gusto di molti mercati a livello globale e la crisi finanziaria vissuta non molti anni fa, hanno arrecato non pochi danni alla filiera del Brachetto. Serviva uno shock! Un’idea che riaccendesse e ripuntasse le luci dei riflettori sul Brachetto d’Acqui, senza snaturarne l’identità storica e territoriale ma, al contempo, andando incontro alle esigenze dei palati a livello nazionale e internazionale. Una new entry che doveva aggiungersi alle già presenti tipologie di Brachetto d’Acqui, ovvero il vino rosso (il “tappo raso” frizzante “dolce” e una piccolissima produzione di vino rosso secco fermo), lo spumante “dolce” e il passito.
E’ così che dalla vendemmia 2017 venne introdotta (tramite modifica al disciplinare del 1996) l’Acqui Rosè Docg nelle versioni spumante e vino fermo.

Parliamo di tipologie considerate “secche” (il “dosaggio” dello spumante va da extra brut a demi sec) che, pur rispecchiando le odierne tendenze di gusto e di mercato, affondano le proprie radici nella storia del Brachetto, che già nel 1873 e ancor più nei primi del ‘900 vedeva affermarsi con successo una versione secca, ideale come aperitivo o come vino a tutto pasto.

La produzione di vini secchi, o con residuo zuccherino molto basso (anche maggiormente alcolici e mossi o frizzanti) da uve aromatiche Brachetto è, quindi, una tecnica che appartiene alla tradizione enologica del territorio e conferma la versatile attitudine del varietale e la vocazione di queste terre.

Versioni, quelle secche, che hanno dato e stanno dando nuova linfa alla produzione e alla reputazione del Brachetto che ha riconquistato quote di mercati perdute negli anni e ne ha conquistate di nuove in aree del globo, fermo restando che gli spumanti e frizzanti dolci sono e saranno sempre il cuore della denominazione. Non mi meraviglierei se, nei prossimi anni, alcuni virtuosi e lungimiranti produttori, iniziassero a presentarsi sul mercato con delle interpretazioni Metodo Classico del Brachetto che, per quanto più complesse da gestire, potrebbero rappresentare un ulteriore balzo in avanti nella valorizzazione del varietale e del suo territorio d’elezione.

L’abbinamento come chiave di volta per il Brachetto d’Acqui nelle versioni dolci

Abbinamento cibo vino Brachetto d'Acqui

Se è vero che gli spumanti e i frizzanti tappo raso dolci restano l’effervescente cuore pulsante della denominazione, è altrettanto vero che il mercato di queste tipologie di vini ha subito negli ultimi anni un calo importante. Il Brachetto, però, rappresenta una nicchia e un unicum che va valorizzato attraverso la comunicazione territoriale e cercando di liberarlo dalle briglie di ridondanti e noiosi abbinamenti “dolce con dolce” e dai condizionamenti temporali e “tradizionali” che ne limitano il consumo al fine pasto e/o alle festività. E’ proprio nelle potenzialità in termini di abbinamento che il Brachetto, in tutte le sue versioni, può ritagliarsi ben più che delle semplici nicchie di mercato, stupendo per versatilità e capacità di tener testa a cucine speziate e piccanti, piuttosto che a crudi di mare e a primi piatti con formaggi saporiti, magari piemontesi come il Castelmagno. Abbinamenti in contrasto ma in perfetto equilibrio che possono trasformare il sorso in un’esperienza da ricordare e da raccontare, ergo da ripetere.

I delicati ma fondamentali equilibri fra le diverse cantine

Brachetto d'Acqui vino tipologia docg

Alla luce delle tappe del mio ultimo tour è palese che la denominazione del Brachetto d’Acqui vive di una sana alternanza fra note aziende spumantiere, piccole aziende agricole e cantine cooperative, in cui i ruoli sembrano essere definiti dagli ambiti tecnico-produttivi e dalle prospettive di mercato, con le versioni spumante più appannaggio delle grandi realtà (che dispongono di cantine con dotazioni tecnologiche e impianti all’avanguardia) e quelle “tappo raso” a contraddistinguere il lavoro delle aziende agricole. Per quanto riguarda il Rosè potrà crescere anche tra le piccole realtà con una prospettiva ancora solo parzialmente esplorata sia degli spumanti che dei fermi.

Il potenziale solo parzialmente espresso dai contemporanei vini Brachetto fermi rosè e rossi

Fermi che potrebbero rappresentare un volano interessante per le aziende agricole e per l’intera denominazione aprendo le porte ai vini secchi con un’interpretazione in linea con l’escalation nazionale e globale dei vini rosati, facendo così da apripista per quella che, a mio parere, dovrà essere la versione da implementare nelle prossime annate: il vino rosso fermo. E’ chiaro, con un ettaraggio in calo e una produzione così risicata, che viene assorbita in gran parte dalle versioni “classiche”, e con una forma mentis delle cantine non è orientata, comprensibilmente, a percepire il Brachetto come un’uva da grandi rossi (ricordiamoci che molte delle realtà che producono Brachetto vedono nella Barbera, nei Nebbioli o nel sempre più interessante incrocio Albarossa le proprie eccellenze a bacca rossa) non è facile pensare all’aumento esponenziale della produzione di vini rossi fermi secchi prodotti con questa varietà, ma le referenze degustate fanno ben sperare. Sì, perché il Brachetto, per quanto complesso da gestire se orientato a questo tipo di produzione (specie per le bucce molto sottili), si dimostra un vitigno dal quale trarre vini di grande contemporaneità: intrigante aromaticità (fiore e spezia donano al frutto una complessità importante anche nelle versioni fresche, ergo, nella sola dotazione aromatica primaria) e buona freschezza, per vini bilanciati in termini di struttura alcolica e acidità, con una dinamica di beva agile e finali non ostacolati da particolari grip tannici neanche in gioventù. In alcune interpretazioni è notevole la chiusura saporita, fra ferro e sale, che da abbrivio all’inerzia di beva. Vini freschi, agili, saporiti e carichi di identità varietale e territoriale, ovvero la combinazione perfetta per rientrare in quella crescente fascia di mercato in cui la “bevibilità” (gli anglosassoni la definiscono “drinkability” con accezione qualitativamente positiva), purché non scontata e/o esile, diviene indice di qualità e duttilità. Uno strumento in più per produttori e sommelier della ristorazione nazionale e internazionale per stupire ma, soprattutto, per far comprendere le potenzialità e la vera identità varietale del Brachetto nella sua interpretazione più nitida. Per assurdo, sono proprio le versioni secche ferme (sia rosato che rosso) a poter elevare la percezione, anche, dei vini spumante e frizzante.

Dulcis in fundo: l’Acqui Docg Passito

Brachetto passito

Non vanno dimenticati, poi, i passiti che in questo territorio (noti anche quelli da Moscato di Strevi) rappresentano il connubio più alto fra tradizione ed eccellenza. Una produzione in calo e a rischio (per le dinamiche di cui sopra e per le difficoltà e i costi di produzione) che merita, però, grande attenzione, in quanto forte di caratteristiche molto peculiari. Nella già nota rarità dei vini passiti rossi, il Brachetto d’Acqui passito o Acqui Passito Docg è l’unico prodotto con una varietà a bacca rossa aromatica e questo comporta un plus in termini di complessità, suadenza e, con qualche anno di affinamento, eleganza per quanto concerne lo spettro olfattivo. Il sorso gode, nella maggior parte dei casi, di un residuo zuccherino ben equilibrato dall’acidità e dalla componente tannica che riescono a tenere alla larga la stucchevolezza.

Una denominazione che può e, sono certo, saprà dire la sua nei prossimi anni grazie alle molteplici frecce al proprio arco. Io, da par mio, continuerò a seguirne le evoluzioni con estrema curiosità, confidando che sull’onda del crescente interesse nei confronti delle “nuove” tipologie gli ettari di Brachetto smettano di diminuire e la sua produzione venga preservata e valorizzata anche in termini di posizionamento, in quanto varietale in grado di dar vita a vini di grande identità e personalità, magari lontani dai paradigmi e dagli stereotipi dei “grandi vini italiani” ma capaci di inserirsi con notevole coerenza nel novero dei vini tipici e contemporanei.

F.S.R.

#WineIsSharing

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