Dalla storia della famiglia di origini bulgare all’avvento di Chiara Ciavolich, passando per le evoluzioni della nota cantina abruzzese
Non tornavo da un po’ a Loreto Aprutino, ideale “Grand Cru” tra gli areali del vino d’Abruzzo. L’ho fatto nei giorni scorsi per andare a trovare Chiara Ciavolich erede di quella che è stata la terza cantina a vinificare, in ordine di tempo, in tutta la regione: Ciavolich 1853.

La famiglia di Chiara, attuale proprietaria dell’azienda vitivinicola, vanta origini bulgare e si occupava, storicamente, di commerciare lana, ma attorno al 1560 fuggì verso il nostro paese a causa dei Saraceni, trovando rifugio a Miglianico (CH). E’ proprio in Abruzzo che i Ciavolich passarono dal commercio all’agricoltura, aumentando gradualmente i propri possedimenti nel corso dei secoli avvenire. Nel 1853 la svolta, grazie a Francesco Ciavolich che, proprio a Miglianico, costruì la prima cantina di vinificazione.

Alla fine del 1800 Giuseppe Ciavolich sposa la nobildonna Ernestina Vicini di Loreto Aprutino. Nell’autunno del 1943, subito dopo la vendemmia, i tedeschi in ritirata stabilirono il loro quartier generale nei piani alti del palazzo di Miglianico, consentendo alla famiglia di sistemarsi nella cantina sotterranea. Negli anni ’60, dalla divisione ereditaria di Donna Ernestina, la famiglia ricevette la tenuta di Loreto Aprutino che disponeva di ca. 50 ha. Fu in quei terreni che vennero impiantati, da Giuseppe Ciavolich, i vigneti di Montepulciano, Trebbiano e Cococciola dai quali, in parte, oggi Chiara Ciavolich continua ad attingere per i propri vini, preservandone il valore storico, ampelografico e affettivo.

Per quanto riguarda la storia più recente dell’azienda, però, è solo nel 1987 che inizia una nuova era per la famiglia Ciavolich: quella della bottiglia. Scelta che, con il senno di poi, ha pagato conferendo a questa cantina un ruolo di prim’ordine in ambito regionale e non solo.
I 35 ha di vigneti sono per metà gestiti a pergola abruzzese (selezione massale) e per metà a spalliera (selezione clonale). Negli ultimi anni è stata avviata un’opera di valorizzazione del patrimonio genetico delle viti di oltre 60 anni.
Camminando fra i vecchi e i nuovi vigneti e girando per i vari ambienti della cantina tutto sembra gestito secondo un equilibrio acquisito nel tempo. Un’armonia sempre in divenire, mai in stasi, in cui chiunque si sia avvicendato alla guida di questa realtà ha contribuito a far evolvere l’azienda e a tracciare nuove strade senza timore ma, pur sempre, nel rispetto della storia e della tradizione della famiglia.
Ecco quindi che torna il cemento, ma in misure più piccole e idonee a vinificare masse separate con cognizione di causa, diminuisce l’uso del legno e arrivano le anfore di terracotta per sperimentare e caratterizzare alcune selezioni.

Avevo già avuto modo di apprezzare i vini di Chiara Ciavolich ma questa occasione di degustazione dedicata, in particolare, alla linea “artigianale” Fosso Cancelli mi ha dato ulteriori conferme riguardo i passi avanti fatti in termini di personalità e definizione dell’identità delle singole referenze:

Trebbiano d’Abruzzo Dop “Fosso Cancelli” 2019: vinificato in parte in acciaio, in parte in legno (rovere di Slavonia) e in parte in anfore di terracotta con fermentazione spontanea, nella sua terza annata di produzione (prima 2015 e 2018) si dimostra fiero della sua identità varietale e consapevole di poter contare su un profilo olfattivo più generoso, ampio e vitale di gran parte dei Trebbiano d’Abruzzo, che sta già virando verso una complessità tutta minerale. Sorso teso, vibrante e sapido. A tre anni dalla vendemmia vanta un’integrità non comune, con un evidente apporto materico e minerale delle fecce fini.

Pecorino Colline Pescaresi Igp “Fosso Cancelli” 2019: vinificato in grandi botti di rovere di Slavonia e anfore di terracotta, senza controllo della temperatura, con fermentazione spontanea (con un pied de cuve). Si presenta luminoso, netto nell’esposizione varietale molto mediterranea, con ginestra, salvia e spezia bianca a dare complessità e vivacità al naso. Il sorso è tonico, slanciato e lungamente salino. Intenso e saporito. Indubbiamente il vino che mi ha colpito di più di questa sessione di degustazione.

Cerasuolo d’Abruzzo Dop “Fosso Cancelli” 2021: un Cerasuolo classico, non troppo carico, fresco e intenso nel frutto e armonico e fine nelle note floreali. Sorso anch’esso dotato di grande freschezza, succoso e saporito. Un Cerasuolo contemporaneo negli equilibri a favore dell’agilità e della finezza e per nulle ridondante.

Montepulciano d’Abruzzo Dop “Fosso Cancelli” 2017″: un netto cambio di marcia nell’interpretazione del varietale principe di queste terre che, nonostante l’annata complessa, esprime nitidamente la volontà di coniugare il fare artigiano alla ricerca della massima identità con pulizia, anelando a picchi di armonia e finezza non comuni. Ecco quindi che le note terrose e umami del Montepulciano sono calmierate e ingentilite da frutto fresco e da note floreali e speziate fini e intriganti. Il sorso entra pieno per poi distendersi con grande disinvoltura. La trama tannica è fitta e in divenire, ma non rappresenta alcun ostacolo alla beva, anzi si fa strumento utile alla tavola. Chiude sanguigno. Struttura e acidità ben bilanciate per questo Montepulciano da vinificato e affinato in cemento. Già godibile ma di ottima prospettiva in termini di longevità.

Ho molto apprezzato la scelta di Chiara riguardo questa linea “Fosso Cancelli”, capace di andare a reinterpretare in maniera consapevole e contemporanea l’artigianalità più classica, preferendo la tecnica e l’esperienza alla chimica e alla tecnologia. Ciò che ne scaturisce è una linearità espressiva palese, data dall’estrema pulizia di ogni referenza, conditio sine qua non per evidenziare in maniera percettibile l’identità varietale e quella territoriale.
Una realtà che ha fatto la storia dei vini d’Abruzzo ma che non smette mai di mettersi in gioco e di alzare l’asticella. Ne continuerò a seguire le evoluzioni con grande curiosità e attenzione, in attesa di vini in grado di sorprendermi come il Pecorino 2019 di cui vi ho parlato poc’anzi.
F.S.R.
#WineIsSharing
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