La Sardegna è una delle regioni che, negli anni, ho avuto modo di visitare in maniera più assidua, sondandone e solcandone i vigneti da nord a sud, dalle coste all’entroterra, ma c’è un’area nella quale torno sempre con la curiosità di chi vi giunge per la prima volta e, al contempo, la fiducia e gli auspici di chi qui si sente, ormai, parte della comunità (tenete bene a mente il termine “comunità” perché a breve diventerà il soggetto del mio odierno condividere enoico).
Parlo dell’isola di Sant’Antioco, collegata all'”isola madre” da un istmo artificiale di rara suggestione, quasi adagiata sulla costa sud-occidentale della Sardegna, di fronte alla regione del Sulcis-Iglesiente. Si tratta dell’isola più vasta della Sardegna e la quarta d’Italia per estensione, e consta di due comuni: Sant’Antioco e Calasetta.
Un’isola, quindi, divisa in due comuni, due culture ma con un unico vitigno principe: il Carignano.



E’ proprio attorno al varietale più tipico del Sulcis e così radicato (nel senso più concreto, storico, sociale e agronomico del termine) in queste terre che si sono svolti i miei tour territoriali dal 2017 a a oggi, ma è solo con la mia ultima visita in loco che ho potuto comprendere a pieno quanto quest’isola, la sua viticoltura e i suoi vignaioli siano avulsi dalla maggior parte dei contesti vitivinicoli che ho avuto modo di conoscere e approfondire dacché ho impugnato penna e calice.
Una viticoltura che ha rischiato di scomparire in quanto qui dimoravano, negli anni ’80, oltre 2000ha di vigneto, mentre oggi ne vengono allevati meno di 300ha. La difficoltà della conduzione di vigneti quasi impossibili da meccanizzare, la parcellizzazione dei piccolissimi fazzoletti di vigna anche molto distanti l’uno dall’altro, l’impossibilità, per molti, di costruire una, seppur piccola, cantina per via dei vincoli edilizi che insistono sull’Isola, sono solo alcune delle motivazioni per le quali ogni singola vite di Carignano che affonda le proprie radici oggi, a Sant’Antioco e a Calasetta va preservata. Ne è consapevole un folto gruppo di vignaioli e produttori associatosi da circa un anno in quella che è stata definita la “Comunità del Carignano a Piede Franco”.


Parliamo di una comunità, fondata sotto l’egida di Slow Food, che mira a tutelare e valorizzare le peculiarità della viticoltura di questo areale vitivinicolo in cui ancora oggi gran parte degli impianti sono ad alberello franco di piede, ergo propagati di generazione in generazione senza l’ausilio di innesti su piede americano, selezionando in campo il solo materiale genetico locale.
Una ricchezza che è stata preservata solo grazie al contesto pedologico in cui è la sabbia a dominare (sapete tutti che la fillossera non ama questo tipo di terreni, anche se il particolare connubio fra propagazione di solo materiale interno all’isola e grande percentuale di vigneti su sabbia ha spinto alcuni a tentare l’impianto franco di piede anche nelle poche lenti meno ricche di sabbia con successo) e al contesto vitivinicolo in cui sono i vignaioli a prendersi cura dei propri piccoli appezzamenti di vigna come fossero giardini, dedicando ore delle proprie giornate alla conduzione agronomica, perlopiù manuale, nonostante – spesso – non possano permettersi di considerare la viticoltura la propria principale attività.
Una viticoltura a tutti gli effetti eroica sia per la difficoltà di lavorazione che per l’impeto dei venti (maestrale e scirocco in pianura e maestrale e tramontana salendo di quota) che sferzano i vigneti protetti da canneti, fichi d’india e siepi di macchia mediterranea che fanno da veri e propri frangivento naturali, impedendo di compromettere lo stato vegetativo e l’equilibrio fisiologico di parete fogliare e grappoli.
Ecco i nomi dei virtuosi ed eroici viticoltori e produttori che hanno aderito alla comunità del Carignano a piede franco dell’isola di Sant’Antioco: Roboamo Stefano Verona, Massimo Pusceddu e Tessa Gelisio, Mercenaro Luca, Caddeo Bettina, Agus Daniela, Rivano Angelo, Rivano Massimo, Mario selis, Basciu Giulio.



Tra questi solo alcuni dispongono di una cantina di proprietà e non tutti hanno ancora imbottigliato con una propria etichetta ma tutti questi nomi (spesso assecondati e accompagnati da altri membri della famiglia) sono accomunati dal valore primario di queste terre e dal concetto fondante della comunità, ovvero disporre di vigne di Carignano a piede franco.
Come premesso, seguo da diversi anni le evoluzioni della viticoltura locale (molti vigneti sono stati ripristinati, altri addirittura reimpiantati e alcuni vignaioli hanno deciso di portare in bottiglia parte del prodotto delle proprie vendemmie per arricchire di ulteriori interpretazioni la proposta enologica del territorio) e, per quanto per me la vigna possa già da sola rappresentare un motivo di interesse capace di attrarmi sull’isola senza altre particolari necessità, comprendo che il più concreto e apprezzabile biglietto da visita dell’areale è e deve necessariamente il vino!
Proprio per questo i miei tour attraverso i vigneti di Sant’Antioco e Calasetta non mancano mai di una sessione d’assaggio comparativa che raccoglie i vini prodotti da chi ha optato per la bottiglia emancipandosi totalmente o in parte dal conferimento, alla presenza dei produttori stessi. Queste degustazioni non servono solo al sottoscritto a comprendere lo stato dell’arte dei vini del territorio, bensì concorrono alla crescita della consapevolezza dei produttori e dei vignaioli locali che di vendemmia in vendemmia vogliono alzare l’asticella della qualità premettendo sempre la conditio sine qua non dell’identità.
Un’identità che non è solo quella varietale poiché il Carignano, allevato e prodotto anche altrove, qui assume connotazioni peculiari e fortemente riconoscibili per quel connubio fra profumi, materia, acidità e mineralità che in nessun altro contesto pedoclimatico potrebbero acquisire.
Tra i vini degustati vi segnalo queste referenze:

Xabarra Carignano del Sulcis Doc 2021 Xabarra: ricco nella sua esposizione varietale e nella solarità di un frutto tanto maturo quanto armonico nel suo gioco fra frutto, fiore e balsamicità mediterranea. Sorso pieno, fiero e saporito. Un vino dalla struttura importante ma che riesce, comunque, a mantenere una buona dinamica di beva.
Raije Carignano del Sulcis Doc 2021 Tenuta La Scogliera: un’altra interpretazione giovane che, nonostante la palese necessità di ulteriore affinamento in vetro, risponde in maniera nitida e, a suo modo, raffinata alle esigenze della mia ricerca in termini identitari e palatali. Vino più sul fiore che sul frutto, con un tocco di speziatura naturale a complessare il naso. Sorso tonico, longilineo, per nulla ridondante e decisamente saporito. Tra ferro e sale. Un buonissimo punto di partenza!
Intrigu Carignano del Sulcis Doc 2020 Az. Agr. Angelo Rivano: aderente al varietale e alla buona maturità del frutto, con accenni floreali e speziati freschi e intriganti. Sorso materico, profondo e saporito. Un vino già ben bilanciato ma che troverà ulteriore equilibrio acido-strutturale in bottiglia, con un’evoluzione che promette bene anche in termini di complessità aromatica.
Binuforti Carignano del Sulcis Doc 2020 Daniela Agus: il più fresco della batteria, con frutto, fiore e accenni vegetali e iodati che danno slancio e apertura al profilo olfattivo meno orientato all’energica maturità di cui molti dei vini locali fanno orgogliosamente sfoggio. Sorso che non manca di materia ma sa distendersi con notevole agilità. Tannini fini e chiusura sapida donano abbrivio all’inerzia di sorso.
Bentesali Carignano del Sulcis Doc 2019 Società Agricola Vigne Bentesali: varietale ancora ben distinguibile nella sua appena avviata evoluzione secondaria. Il frutto è maturo quanto basta e il fiore mantiene ancora buona fragranza, con le note balsamiche di liquirizia e menta a fondersi con quelle geolocalizzanti di mirto. Un sorso armonico, dal buon bilanciamento fra struttura e acidità e dall’incedere sicuro, spigliato, senza intoppi. Saporito e lungo il finale. L’azienda produce anche una Riserva affinata in legno che, degustata nell’annata 2018, vuole proporre un’interpretazione diversa (che cozza con il pensiero di molti produttori locali che non vedono nel legno un alleato del varietale) che, a mio modo di vedere, può essere funzionale all’elevazione della percezione dei vini di questa zona spingendosi dove i grandi vini si spingono (il legno non è un nemico se ben gestito e integrato, lo dimostra il semplice fatto che tutti i più grandi rossi del mondo fermentano e/o affinano in legno). Il vino in questione, al netto della necessità di affinamento in vetro, mostra già una buona amalgama e non pecca in espressività varietale e territoriale.
Carpante Carignano del Sulcis Doc 2019 Az. Agr. Carpante: intenso nel frutto, con un accenno di terziarizzazione che porta il Carignano ad assurgere ad un grado di complessità più alto nelle note di tabacco, torrefazione e cacao, nonché spezia nera e menta, senza necessità dell’apporto del legno. Sorso di buona avvolgenza, ancora tonico e dinamico. Chiusura tra terra, ferro e mare. Un vino che sa di territorio.
Il Doc “1” Carignano del Sulcis Doc 2016 Tenuta la Sabbiosa Biomar: una realtà fondata da Tessa Gelisio (fautrice della costituzione della Comunità) e il suo compagno Massimo al fine di valorizzare la terra natìa dello stesso Massimo e di dare a Tessa la possibilità di esprimere una visione della viticoltura tanto rispettosa e carica di valori quanto aperta verso l’esterno, grazie alle sue esperienze in giro per l’Italia e non solo. Avendo già assaggiato le annate più recenti ho accettato di buon grado la possibilità di fare un balzo indietro nel tempo fino alla 2016, annata di grande equilibrio e finezza anche in questo particolare contesto. Lo dimostra la tenuta di questo Carignano ancora integro, dalla salda spina dorsale acida. Il tannino è ormai adeguatamente polimerizzato e la chiusa è decisamente umami. Un esempio di quanto i vini dell’isola possano dare soddisfazione anche in termini di longevità, complessandosi in bottiglia, senza perdere nerbo acido e integrità strutturale.

Vini che mostrano passi avanti importanti in termini di nitidezza espressiva, piacevolezza di beva e, più in generale, di equilibrio.
E’ fondamentale che si tenga sempre presente quanto il difetto, l’incuria e l’eccesso siano nemici acerrimi di quell’identità della quale i viticoltori e i produttori di queste terre si pregiano con orgoglio e fierezza. Durante questo tour ho potuto, per la prima volta da quanto ho il piacere di frequentare l’isola di Sant’Antioco, assaggiare vini frutto di una consapevolezza tecnica maggior e di una visione più aperta e orientata a fare quel salto di qualità che dovrà necessariamente portare i vini di quest’isola nell’isola ad esplorare mercati, contesti e palati al di fuori dalle zone limitrofe e della sola Sardegna. Sono certo che con piccole accortezze (ritardare l’uscita e portarla almeno a 18 mesi dalla vendemmia sarebbe l’ideale per permettere a questi vini di trovare un primario equilibrio mantenendo fortemente percettibile il varietale nella sua freschezza) e con la nascita di altre piccole ma funzionali strutture di vinificazione queste micro realtà potranno togliersi macro soddisfazioni e regalare ad appassionati e operatori del settore vini intrisi di un territorio unico e di peculiarità organolettiche che solo i cloni e i biotipi locali abbinanti alla coltivazione a piede franco (se vinificati con garbo e rispetto) possono dare.
Se tanto mi da tanto, so già che alla prossima visita alla Comunità del Carignano a piede franco troverò ulteriori sorprese che non mancherò di condividere con estrema fiducia nei valori antropologici e agronomici di queste terre.
F.S.R.
#WineIsSharing
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