Un tuffo nella storia e uno sguardo al futuro del vino ossidativo con flor sardo grazie ai produttori dell’Ecomuseo del Vernaccia di Oristano.
Quando qualcuno vi dice che il peggior nemico del vino è l’ossigeno sta compiendo un’opera di semplificazione a dir poco superficiale che esclude dalla complessa “equazione” della vinificazione e dell’evoluzione alcune fasi importanti che vedono l’ossigeno interagire positivamente con mosti e vini. Detto questo, l’ossidazione non voluta non può che rappresentare un problema in quanto difetto che tende a privare il vino della sua più nitida espressività varietale e/o territoriale.
Eppure, c’è una particolare tipologia di vino che sembra voler ribaltare le regole dell’enologia giocando con parte delle sue fondamenta, trasformando ciò che è usualmente lesivo in un valore aggiunto.
I vini ossidativi o con “flor”
Parlo, ovviamente, dei vini che in Italia definiamo “ossidativi”, in Spagna Rancio e in Francia vin de voile. Se la Francia e in particolare la regione vitivinicola dello Jura hanno visto crescere in modo esponenziale l’interesse nei confronti di questa categoria di vini negli ultimi anni, c’è una denominazione italiana che pur meritando le luci della ribalta per unicità, storicità e qualità dei vini prodotti sta ancora cercando di ritagliarsi uno spazio importante in un contesto enoico nazionale e internazionale che sembra sempre più interessato alla nicchia dei vini ossidativi: il Vernaccia di Oristano.
Da par mio, non ho mai celato l’amore spassionato nei confronti di questa denominazione tanto da averle dedicato tempo, spazio e parole durante degustazioni itineranti e nelle mie selezioni, ma pur avendo visitato più volte l’areale in cui insiste la denominazione Vernaccia di Oristano Doc è solo nel mio più recente viaggio che ho avuto modo di rendermi pienamente conto di quanto questo territorio, questo varietale e i vini che ne scaturiscono siano intrisi di storia e tipicità. Sì, perché quando si parla di vini “ossidativi” si da, comprensibilmente, più rilevanza al metodo che all’identità ampelografica, pedoclimatica e storica di quella specifica referenza ma così facendo si rischia di s-cadere nell’omologazione.
Sono stati i produttori dell’associazione culturale dell’Ecomuseo del Vernaccia di Oristano ad accompagnarmi in questa vera e propria full immersion nel mondo di uno dei vini più peculiari al mondo.
Il Territorio del Vernaccia di Oristano Doc

L’areale della denominazione Vernaccia di Oristano Doc consta di 17 comuni in provincia di Oristano: Cabras, Baratili S.Pietro, Milis, Narbolia, Ollastra, Nurachi, Oristano, Palmas Arborea, Riola Sardo, S.Vero Milis, Santa Giusta, Siamaggiore, Simaxis, Solarussa, Tramatza, Zeddiani e Zerfaliu. Siamo nella valle del Tirso, area che gode di particolari caratteristiche pedoclimatiche, sulle quali incidono i due fiumi che percorrono queste ampie aree pianeggianti: il Tirso, il più importante e il meno conosciuto Rio Mannu Cispiri/Riu di Mare Foghe. E’ proprio la presenza di questi fiumi a determinare la pedologia del territorio distinguendo la matrice dei suoli nelle seguenti tipologie: i “Bennaxi”, alluvionali, vicini al letto dei fiumi, profondi, freschi, a matrice limo-sabbiosa; i “Gregori”, di origine più antica, a matrice ciottolosa mista ad argilla tenace con conseguenti importanti problemi di ristagno idrico.
Non vi tedierò con le varie ipotesi riguardanti l’etimologia del nome Vernaccia che accomuna la varietà oristanese ad altri vitigni italiani e non solo, ma affascina la sempre più attendibile convinzione che la Vernaccia coltivata in Sardegna fosse un vitigno selvatico endemico, allevato sull’isola, con buone probabilità, sin dall’età protosarda, per poi essere definita dai Romani Vernaculo, prima di assumere l’appellativo attuale.

A supporto di tale convinzione e a togliere ogni dubbio riguardo lo sviluppo indipendente e avulso dalle colonizzazioni si Fenici e Romani della viticoltura sarda ci sono le scoperte fatte dall’équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB) di Cagliari.


“Gli archeobotanici hanno rinvenuto semi di vite di epoca Nuragica, risalenti a circa 3000 anni fa, avanzando l’ipotesi che in Sardegna la coltivazione della vite non sia stata un fenomeno d’importazione, bensì autoctono. Sino ad oggi, infatti, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici, che colonizzarono l’isola attorno all’800 a.C., e successivamente ai Romani, il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale. Ma la scoperta di un vitigno coltivato dalla civiltà Nuragica dimostra che la viticoltura in Sardegna era già conosciuta: probabilmente ebbe un’origine locale e non fu importata dall’Oriente.
Nel sito nuragico di Sa Osa, nell’Oristanese, sono stati rinvenuti oltre 15.000 semi di vite, perfettamente conservati in fondo a un pozzo che fungeva da “paleo-frigorifero” per gli alimenti. Si tratta di vinaccioli non carbonizzati, di consistenza molto vicina a quelli reperibili da acini raccolti da piante odierne. Grazie alla prova del Carbonio 14 i semi sono stati datati intorno a 3000 anni fa (all’incirca dal 1300 al 1100 a. C.), età del bronzo medio e periodo di massimo splendore della civiltà Nuragica. Gli archeosemi ritrovati e analizzati sono quelli della Vernaccia e della Malvasia, varietà a bacca bianca coltivate proprio nelle aree centro-occidentali della Sardegna. Quindi ad oggi è certo che la vite in Sardegna non è stata portata dai Fenici, che in Libano già la coltivavano ancor prima dell’età Nuragica. Più che un fenomeno di importazione, dunque, si pensa che in Sardegna si sia verificata quella che in gergo botanico si definisce “domesticazione” in loco di specie di vite selvatiche, che ancora oggi sono diffuse ampiamente in tutta la Sardegna.
Ora abbiamo la prova scientifica che i Nuragici conoscevano la vite domestica e la coltivavano.” Fonte ecomuseovernacciaoristano.it
I Lieviti Flor – Il Metodo di produzione e i relativi processi chimici


Come viene prodotto il vino Vernaccia di Oristano nella sua versione tradizionale, ergo ossidativa? Se per i vini “non ossidativi” tutto ha inizio con la fermentazione alcolica, per il Vernaccia di Oristano possiamo asserire che è proprio dopo di essa che la sua caratterizzazione ha inizio, grazie ai lieviti definiti “flor” appartenenti alla specie Saccharomyces cerevisiae. Tali lieviti sono capaci di risalire sino alla parte superficiale della massa del vino in botte nonostante un’importante concentrazione alcolica, che risulterebbe proibitiva per altri leviti. Una volta risaliti in superficie i lieviti flor formeranno un velo o biofilm più o meno spesso ed esteso. Il metabolismo dei lieviti “flor” andrà a produrre particolari composti chimici responsabili dello sviluppo del peculiare e sfaccettato spettro olfattivo/aromatico del Vernaccia di Oristano.
Il film resterà a contatto con l’aria attivando il metabolismo ossidativo dei lieviti flor trasformando l’etanolo in acetaldeide. Successivamente il contenuto di acetaldeide andrà a ridursi, con la formazione di composti fondamentali alla caratterizzazione olfattiva del vino, quali acetali ciclici. La lisi dei lieviti, inoltre, porterà al rilascio di molecole in grado di modificare il profilo sensoriale del vino sia a livello olfattivo che gustativo/tattile.


Tutto questo può accadere solo in cantine che seguono regole in contrasto con quelle dei vini non ossidativi, in quanto non hanno sistemi di controllo della temperatura e dell’umidità e le botti sono, quindi, volutamente esposte a temperature che variano dai 4 °C invernali agli oltre 40 °C estivi. Fondamentale sarà, però, il ricircolo dell’aria, ottenuto grazie all’ausilio di alte e ampie finestre. La costante circolazione dell’aria contribuirà, dunque, alla concentrazione delle componenti del vino (compreso l’alcol), “deumidificando” l’ambiente e favorendo l’evaporazione dell’acqua dalle botti. Condizioni che ridurranno la massa e aumenteranno il suo potenziale di longevità.
In sintesi, prendete molte delle basi dell’enologia “classica” relative alle vinificazioni di vini dal carattere non ossidativo e, ovviamente, senza velo/flor e ribaltatele! E’ più o meno così che otterrete il vedemecum enoico per la produzione del Vernaccia di Oristano Doc. Un vero e proprio “vino contrario”!


A prescindere da questi importanti dettagli storici ed enologici, il focus dei miei ultimi viaggi nella terra del Vernaccia di Oristano ha riguardato lo stato dell’arte di un vino e di una denominazione che dopo anni di successo hanno avuto un lungo stato di impasse dal quale, solo ora, grazie a virtuosi viticoltori e illuminati produttori potrà uscire.
Tra i produttori che ho avuto modo di incontrare e con cui ho avuto modo di confrontarmi riguardo le tematiche relative alla situazione odierna e al futuro del VdO figurano Davide Orro, Contini, la Cantina della Vernaccia e un extra, appena fuori dall’areale di produzione della DOC ma assolutamente “dentro” al tema della valorizzazione del varietale e dei vini di questo territorio, Quartomoro.

Visitando i vigneti, le cantine e assaggiando i vini ma ancor più interloquendo con vignaioli, enologi e commerciali è stato sin da subito palese che all’amore incondizionato nei confronti del territorio e del varietale si contrappone la delusione per la mancanza di comprensione generale nei confronti delle versioni “classiche” del Vernaccia di Oristano, ovvero quelle ossidative. Mancanza di comprensione che si traduce in un ridotto appeal commerciale sia a livello locale che nazionale e internazionale, nonostante si tratti di una delle massime espressioni della categoria dei vini ossidativi al mondo. Questo perché in tempi non sospetti, in cui le cose andavano più che bene in termini commerciali, si è puntato alla quantità senza ponderare le prospettive future di una produzione che può e deve puntare all’eccellenza che le compete, in quanto rappresentante di una nicchia che può tornare a dare grandi soddisfazioni ai produttori locali.
Produttori che non hanno mai smesso di credere nelle versioni ossidative ma che hanno sperimentato anche altre strade, affiancando al Vernaccia di Oristano “classico” versioni fresche non florizzate, altre leggermente caratterizzate da un piccolo tocco ossidativo, altre ancora macerate sulle bucce. La Vernaccia è stata utilizzata anche per la spumantizzazione e in taglio con il Vermentino per la produzione di vini di più ampio respiro. Queste interpretazioni non hanno nulla di sbagliato, anzi sono comprensibili e apprezzabili vista la crisi che ha vissuto la versione “ossidativa”, più complessa da commercializzare e da raccontare a un pubblico più ampio. Eppure, continuo a pensare che la valorizzazione delle versioni più radicate nella cultura locale e nella tradizione enologica di queste terre sia fondamentale per elevare la percezione dell’intera denominazione e preservare quello che è, a tutti gli effetti, un unicum a livello nazionale e internazionale.
Come?!? Sicuramente l’opera di divulgazione in loco di entità come quella dell’Ecomuseo potranno rappresentare un veicolo di primaria importanza per la diffusione della conoscenza delle peculiarità di questo complesso vino, ma fondamentale sarà la creazione di un consorzio di tutela che lavori per promuovere anche fuori dall’isola la Vernaccia di Oristano. Intanto, ciò che i produttori possono e devono portare avanti con orgoglio e rinnovata consapevolezza (molti lo stanno già facendo) è una visione più contemporanea di un vino così carico di storia che rischia di essere imbrigliato dalla sua stessa “tradizione”. Per visione contemporanea non intendo cambiamento alcuno nella sua interpretazione di vigna e di cantina, bensì un’emancipazione dai paradigmi di degustazione e dagli stilemi di abbinamento andando a decontestualizzare il Vernaccia di Oristano ossidativo, comprendendone e divulgandone la versatilità nel servizio al calice (unica via percorribile per un vino che grazie e a causa delle sua specifiche caratteristiche difficilmente verrà ordinato in bottiglia). Sì, perché nonostante la sua complessità in termini di wine pairing, la concentrazione delle sue componenti e la spiccata personalità in termini organolettici è proprio nella possibilità di utilizzare questi vini come “strumenti” per stupire e meravigliare i clienti di enoteche, wine bar e, ancor più, ristoranti che risiede la chiave di lettura più opportuna per la valorizzazione e il riposizionamento del Vernaccia. Via libera quindi alla decontestualizzazione temporale, andando a proporre vini di diversi gradi di “invecchiamento” dall’aperitivo al fine pasto passando per abbinamenti meno scontati e percorsi di degustazione che vedano il Vernaccia protagonista anche a metà corsa. Bottiglie che possono essere stappate e ritappate per poi essere servite nell’arco di più giorni o persino settimane senza alcuna variazione in termini di qualità, in quanto non temono il contatto con quell’ossigeno che ne ha plasmato il contenuto in ogni sua sfaccettatura. Interessante anche giocare con la temperatura di servizio che può rendere più o meno percettibile il sostenuto tenore e il calore alcolico.
Per entrare nello specifico del mio ultimo tour vorrei segnalarvi 4 realtà aderenti all’Ecomuseo che ho avuto modo di incontrare, conoscere e approfondire dalla vigna al bicchiere.
Famiglia Orro








Siamo a Tramatza, piccolo borgo a ca. 15km da Oristano, ed è qui che la famiglia Orro porta avanti con dedizione e passione la propria Fattoria Didattica. Una realtà a conduzione rigorosamente familiare che dispone di 20 ettari di terreno in cui si alternano vite, olivo e ortaggi. Non solo vino quindi, ma una serie di produzioni agroalimentari che hanno come comun denominatore il rispetto e la sostenibilità, con una rinnovata consapevolezza tecnica, la doverosa tecnologia ma un profondo attaccamento alla saggezza tradizionale. sale. A guidarmi alla scoperta delle vigne e dei vini dell’azienda è Davide Orro grande conoscitore del territorio e dei processi di vinificazione del Vernaccia di Oristano, nonché abile innovatore là dove l’innovazione non si ponga in contrasto con il rispetto dell’identità territoriale. Ecco quindi che Davide ha sperimentato con successo interpretazioni della Vernaccia più orientate alla dinamica di beva e a esaltare le caratteristiche di freschezza e spigliatezza del varietale vinificato sia in metodo ancestrale (Bebé) che in una versione ferma, secca senza ossidazione (Tzinnigas Igt Valle del Tirso Vernaccia) che mostra uno spettro olfattivo fresco nel frutto, fragrante nel fiore e iodato nella sua innata mineralità, con un sorso teso e sapido. Eppure, sono le versioni ossidative ad attirare, ancora una volta, la mia attenzione e tra esse spicca, senza tema di smentita, la Vernaccia di Oristano 2011 che si pone nel perfetto centro fra le versioni più giovani e quelle più mature, raggiungendo comunque un grado di complessità impensabile per altre tipologie di vino: etereo, armonico, per nulla aggressivo con una serie di sfaccettature aromatiche che spaziano dal mallo di noce al caffè, passando per la zagara e il mandorlo in fiore, per poi richiamare note di miele di castagno, pesca sciroppata in un gioco fra profondità e freschezza che, unitamente al sorso ampio e lungo, donano a questo vino una peculiare eleganza.
Contini 1898







Come potrete intuire dalla data in etichetta Contini nasce nel 1898, grazie alla lungimiranza di Salvatore Contini, a Cabras. E’ negli anni ’80, però, che l’azienda inizia una storia nuova, di rinnovamento continuo che la accompagna fino all’ultimo “restyling” della cantina, avvenuto di recente e che fa il pari con un approccio di continua sperimentazione e innovazione in termini vitivinicoli ed enologici, mantenendo sempre saldo il rispetto per le proprie radici e le proprie terre. Contini, oggi, gestisce ca. 100 ettari di vigneti nell’area della penisola del Sinis e della valle del Tirso, in cui troverete prevalentemente Vernaccia e Nieddera, varietà tipica quasi del tutto perduta, riscoperta proprio da questa realtà.
Focalizzandoci sul Vernaccia la Cantina Contini è un vero e proprio tempio del vino ossidativo italiano per eccellenza e, nonostante mirevoli intuizioni nell’utilizzo del varietale in vini decisamente più contemporanei, freschi e agili, il fascino che le versioni “tradizionali” hanno non può che meritare la centralità della mia condivisione enoica. Ecco quindi che si parte con una Vernaccia di Oristano Doc 2018 ancora integra nei sentori più fruttati e ben dosata nell’alcol, con una concentrazione non eccessiva e una freschezza floreale e balsamica tipica delle versioni più giovani. Si prosegue, poi, con una Vernaccia di Oristano Doc Riserva 1997 maturata per almeno 20 anni nei tipici caratelli di rovere e di castagno dando origine a un vino di rara complessità connotato da una sinestesia, forse solo mia e relativa al momento, che mi ha riportato agli aromi di croccante di nocciole, ancora caldo, appena steso sul piano di lavoro in attesa di solidificare. Poi fichi disidratati, albicocche candite, sciroppo di dattero e lievi note speziate, abbracciate da toni boisé che riscaldano il cuore. Sorso intenso, profondo e saporito. Per chiudere l’Antico Gregori, una sorta di solera su base d’annata (in questo caso il 1979), rabboccata con piccoli saldi di annate più giovani, in modo da ravvivare i lieviti Flor. Segue un lunghissimo affinamento ossidativo in botti scolme che accompagnerà le piccole e molto ridotte masse di vino all’ultimo passaggio, ovvero quello che va a riequilibrare in una sorta di bilanciamento temporale l’aggiunta delle annate “fresche”, attraverso l’addizione di vernacce vecchissime che si spingono fino ai primi decenni del ‘900. Inutile dire che l’intensità e la complessità di questo fino sono tali da inebriare l’intera sala degustazione con note di melassa, arachide tostata, mandorla, vaniglia, tabacco bianco e lievi folate mentolate. Un sorso di interminabile lunghezza e profonda gradevolezza.
Cantina della Vernaccia







Tappa imprescindibile del mio tour dell’oristanese è, ovviamente, la Cantina Sociale della Vernaccia di Oristano, capace di assorbire, dal 1953, le uve dei viticoltori dell’areale che fa riferimento alle zone del Sinis e della bassa valle del Tirso. Una realtà che ha vissuto una vera e propria epopea fino agli anni ’80, epoca in cui si passò dall’enorme richiesta di Vernaccia giovane da vendere sfusa in bar e ristoranti in grande quantità al calo drastico della richiesta. Oggi, anche alla luce del momento difficile vissuto dal Vernaccia di Oristano in termini commerciali, l’azienda sta portando avanti con successo un processo di profondo rinnovamento volto alla produzione di una molteplicità di tipologie di vini, dai fermi agli spumanti, senza mai dimenticare l’importanza delle versioni tradizionali/ossidative che rappresentano l’eccellenza e lo specchio più fedele dell’identità della Cantina e del territorio in cui insistono i vigneti dei suoi viticoltori. Tra gli assaggi che vi segnalo la Vernaccia di Oristano Doc Superiore Juighissa 2013 calda e dolce al naso, con acacia, miele, mela cotogna, mandorla dolce e tabacco da pipa Burley. Il sorso è ampio ma secco, asciutto e lungo nella sua saporita persistenza; la Vernaccia di Oristano Doc Riserva Judikes 2008 è palesemente più complessa, orientata a note più scure ma capace di mantenere tratti di freschezza quali l’agrume e il mentolato. Sorso di grande ampiezza e profondità che chiude lungamente salmastro nella miglior accezione del termine.
Quartomoro







L’azienda Quartomodo del noto enologo sardo Piero Cella, sita a Murrubio, rappresenta un doveroso extra nel compendio delle realtà visitate in questo tour dedicato alla Vernaccia di Oristano nella sua versione storica. Questo perché, nonostante si tratti di una realtà di poco al di fuori dell’areale della denominazione, l’azienda Quartomoro ha voluto appoggiare con partecipata fiducia l’iniziativa dell’Ecomuseo, forte della grande conoscenza del territorio e del varietale Vernaccia di Piero Cella, coadiuvato dalla moglie Luciana e dal giovane figlio Alberto. L’enologo, cresciuto professionalmente come figlio putativo l’indimenticato Giacomo Tachis, ha creato Quartomoro con l’idea di farne una sorta di cantina didattica, che vuole fungere da luogo di aggregazione enoica e di sperimentazione, dando nuovi spunti di riflessione e rinnovato slancio al fare vino nell’intera Sardegna. E’ proprio per offrire una visione più ampia e differente, ma non in contrapposizione, della Vernaccia che ha deciso di optare per una vinificazione in riduzione, con un avvio di fermentazione a contatto con le bucce (ca. 36 ore) in serbatoi d’acciaio. Ne scaturisce un’interpretazione che richiama a sé le peculiarità varietali nella loro interezza, capace di evolvere nel calice in maniera cangiante. Capacità evolutiva che sfocia, ovviamente, nel potenziale di longevità in bottiglia, constatato attraverso un’interessantissima verticale in cui ci siamo spinti sino alla prima annata prodotta, ovvero la 2015, ancora integra e percettibilmente coerente con l’idea di esaltazione delle identità territoriali e varietali che a Quartomoro si ricercava. Eppure, è sono le versioni più “fresche” e in particolare la 2021 a permettermi di mettere sul piano della comparazione costruttiva, assieme alle versioni ossidative, una Vernaccia che, pur seguendo criteri di vinificazione e obiettivi enologi antitetici a quelli “tradizionali”, permette di sondare e percepire le peculiarità più intime e sincere di terra e uva, areale e varietale. Mettendo in relazione due pensieri enologici che in queste terre, più che in altre, possono e devono coesistere, ovvero interpretazioni che vedono come protagonisti storia, metodo/flor, complessità e tempo e interpretazioni che mirano a portare nel calice un’espressione contemporanea, identitaria e agile di questo versatile e caratteristico vitigno, il tutto con il comun denominatore dell’unicità. Il contributo di questa realtà alla tematica “Vernaccia” è di certo da tenere in considerazione per l’evoluzione delle versioni più “fresche” e “moderne”, ma anche per la valorizzazione del patrimonio “Vernaccia” in toto.
Il futuro del Vernaccia di Oristano
Concludo ribadendo che la Vernaccia di Oristano rappresenta, a mio modo di vedere, un unicum schiavo della sua stessa unicità e dell’impossibilità di fare reali comparazioni anche con altri vini con i quali condivide la tecnica di vinificazione. Eppure, questa unicità può e deve essere manifestata con orgoglio e consapevolezza, senza eccedere nel dare per scontati fattori determinanti per l’aumento della conoscenza di questi particolari vini da parte dei consumatori e degli stessi addetti ai lavori che, in molti casi, sono ignari della complessità e della peculiarità del mondo dei vini florizzati. E’ palese che il lavoro da svolgere è quello della divulgazione del metodo e delle specificità organolettiche attraverso entità fondamentali come l’Ecomuseo e come quello che confido sarà il prossimo Consorzio di Tutela del Vino Vernaccia di Oristano. Il tutto contestualizzandone l’identità e la tipicità all’interno di un areale che può attrarre a sé l’interesse di molti, anche e soprattutto in termini enoturistici, ma che deve al contempo uscire dal proprio seminato, mostrandosi in Italia e all’estero con coraggio e cognizione di causa, ripensando al posizionamento di alcune referenze e facendo fronte comune nel presentare a un target ben più elevato di quello che ha fatto la fortuna del Vernaccia (sfuso) in tempi non sospetti vini di pregio frutto di selezioni di botti capaci (che già esistono nelle cantine di gran parte dei produttori locali) di minare le sicurezze di ogni degustatore, sconvolgendone positivamente il pensiero enoico. Shock e stupore che possono passare anche attraverso il lavoro di lungimiranti e virtuosi sommelier che avranno l’ardire e l’acume di sperimentare abbinamenti fuori dal coro, in contrasto e svincolati da ogni contestualizzazione temporale e concettuale che vorrebbe Vernacce anche vecchissime degustate a fine pasto, con la pasticceria secca o, addirittura, da sole come “vino da meditazione”. La Vernaccia di Oristano ha tutte le caratteristiche per essere apprezzata e bevuta con dinamiche molto più contemporanee e agili di quelle che la consuetudine ha imposto sino ad ora.
Da par mio, continuerò a fare ciò che ho sempre fatto in questi anni, ovvero portare con me una bottiglia di Vernaccia di Oristano Doc in contesti in cui, accanto ai grandi vini d’Italia e del mondo, non ha mai sfigurato, specie se servita alla cieca e raccontata come merita a chi ha la sensibilità per comprenderne la valenza. A voi non posso che chiedere di richiederla in enoteche, wine bar e ristoranti (al calice) per sensibilizzare chi, oggi, non ritiene opportuno proporla ai propri clienti. Solo così preserveremo un vero e proprio tesoro dell’enologia italiana e mondiale.
F.S.R.
#WineIsSharing
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