Diserbanti chimici in vigna? No, grazie! Il “Rosso” lo preferisco nel calice!

“Rosso di sera, diserbante si spara”

Inizio con un’emblematica battuta, che mi è stata ispirata dal
fatto che in questi ultimi giorni mi sia imbattuto in diverse
immagini di campi variopinti e di vigneti “spennellati” di questo
“suggestivo” color rosso/aranciato… nulla a che vedere
con quello dell’
unghia di un barolo lasciato una ventina d’anni in
cantina, purtroppo!

Premetto che non sono un tecnico, quindi sapendo per certo che la
maggior parte di Voi, che seguite il mio umile Wine Blog, è composta
da produttori ed addetti ai lavori, nonché da winelovers di grande
esperienza, do per assunto che ne sappiate ben più di me riguardo
l’argomento che proverò a trattare oggi. Quindi lo farò con la
dovuta cautela e la mia consueta leggerezza, aprendo un potenziale
dialogo a riguardo. Parliamo del diserbo chimico in vigna.  

Innanzi tutto vorrei porre
l’attenzione, in maniera oggettiva, ma opinabile, su alcuni semplici
concetti, ovvero i “contro” relativi all’utilizzo di
diserbanti chimici (ed altri prodotti chimici tossici) in vigna ed i
“pro” di una viticoltura maggiormente sostenibile.



Il Diserbo Chimico:
  • mette a rischio la salute degli operatori, nonostante essi si
    possano proteggere in maniera più o meno consapevole;
  • nuoce all’ignara
    popolazione (chiunque si viva o transiti nelle zone limitrofe alle
    aree diserbate) che entra a contatto con queste sostanze che una
    volta nebulizzate mantengono la propria tossicità a lungo
    termine;
  • produce un appurabile aumento delle frane e degli
    smottamenti che possono finire su strada e provocare incidenti
    stradali in caso di forti piogge;
  • abbassa drasticamente la
    biodiversità vegetale ed animale di un determinato
    micro-ecosistema;
  • provoca un
    imbruttimento in termini paesaggistici delle aree trattare
    chimicamente;
  • i prodotti chimici utilizzati possono
    raggiungere le falde acquifere sotterranee e permanere, come per il
    terreno, per anni ed anni con conseguenti danno su chi usufruirà
    dei prodotti derivati da quelle colture;
  • riduce sensibilmente
    l’assorbimento dell’anidride carbonica e l’abbattimento delle
    sostanze azotate contenute nelle acque superficiali da parte della
    copertura vegetale eliminata.
Va precisato, inoltre, che il principio attivo presente nella
maggior parte dei diserbanti in commercio è il glifosato (gliphosate); una
sostanza che, nonostante rientri nella gamma di prodotti fitosanitari
(fitofarmaci) autorizzati sia a livello nazionale che europeo è
ormai appurato, possa provocare a lungo termine effetti dannosi anche
sull’uomo, come tumori del sangue, alterazioni al sistema endocrino,
disfunzioni ormonali e danni sui meccanismi di neurotrasmissione
cerebrale  



L’assurdo sta nel fatto che Secondo il decreto legislativo
194/1995 un prodotto fitosanitario può essere autorizzato solo se
“non produce effetti nocivi, in maniera diretta o indiretta, sulla
salute dell’uomo o degli animali o sulle acque sotterranee”.

Dato, quindi, che nelle indicazioni tecniche degli stessi diserbanti
a base di glifosate viene riportato che: “Può provocare a lungo
termine effetti negativi per l’ambiente acquatico”, perché
cavolo sono ancora commercializzati?




Questo lo ignoro, o almeno cerco di evitare astruse teorie, potenzialmente realistiche, legate a dinamiche politico-economiche che in paesi come Italia e Francia limitano da anni gli interventi in favore di una viticoltura più “green”.

Cosa accadrebbe, però, se si adottasse ancora di più una viticoltura più sostenibile, non necessariamente “bio”,
ma che escluda, comunque, l’utilizzo di diserbanti chimici in vigna?
Alcuni dei vantaggi sarebbero i seguenti:

  • salvaguardia della fertilità naturale del terreno;
  • riduzione di ogni forma di inquinamento determinato dalle
    tecniche agricole che prevedono l’utilizzo di concimi e diserbanti
    chimici e fitofarmaci;
  • produzione di Vini di elevata qualità e dalle più integre
    caratteristiche organolettiche;
  • produzione quantitativamente oculata e non intensiva ed
    eccessiva;
  • preservazione della biodiversità di un determinato
    ecosistema;
  • riduzione dei danni provocati a breve e lungo termine dai
    prodotti chimici/tossici utilizzati in vigna, nell’uomo.
  • mantenimento di un paesaggio verde e di un equilibrio
    uomo-Natura rispecchiato dalla bellezza delle campagne e delle vigne
    sul territorio.
Ovviamente, ricordo che, proprio per le subdole caratteristiche di
alcuni diserbanti chimici, è pressoché inutile pensare di poter
coltivare in maniera “biologica” confinando con vigneti in
cui si adottano sistemi tutt’altro che sostenibili. Quindi
fondamentale è e sarà sempre l’unità di intenti, sia fra governo
ed amministrazioni locali, che fra amministrazioni e produttori ed
infine fra produttori e produttori stessi.



Detto questo, mi definisco da sempre un
inguaribile sognatore, ma non un co… ops…un ingenuo, quindi so
bene che per alcune realtà “pseudo-industriali” il diserbo
chimico è l'”unico modo” (a loro parere) per produrre con
il massimo ritorno economico ed il minimo dispendio di energie
“umane”, quindi, difficilmente si arriverà mai ad un’Italia
totalmente “green”, ma di certo l’ecosistema ed il consumatore
andrebbero maggiormente tutelati e per fortuna molti produttori si
stanno prodigando da anni per migliorare le tecniche dell’agricoltura
sostenibile, da una parte andando a riprendere vecchie e sagge
tradizioni come l’utilizzo del favino per la concimazione verde
(sovescio)
e dall’altra assumendo ed applicando le nozioni
dell’agricoltura biologica più moderna come la tecnica della
confusione sessuale o la lotta integrata.

Io sono un po’ restio riguardo le soluzioni più
tecnologicamente avanzate, quali l’utilizzo di droni (come sembra
vogliano fare i francesi) che analizzino i grappoli uno per uno (?!?)
ed i bruciatori per il pirodiserbo, che comunque utilizzano
combustibile per funzionare, ma comunque tutto sarebbe più
tollerabile della chimica, non credete?

Concludo dicendo che preferirei che il
Rosso
con tutte le sue meravigliose sfumature, finisse solo nel mio
calice o nelle foglie delle vigne in autunno, e non nei sotto-filari
degli stupendi vigneti che ogni regione italiana vanta e che il mondo
ci invidia, perché alla lunga, i “vantaggi” economici
comportati da questi abusi, non potranno che ritorcersi contro chi
non comprende che i tempi stanno cambiando ed il consumatore sta
diventando sempre più consapevole ed esigente, avendo accesso, con
estrema facilità, ad una sterminata fonte di informazioni (per
quanto a volte da selezionare accuratamente) come il web.

Con questo lungi da me fare proclami nei confronti
dell’agricoltura biologica, in quanto la certificazione attuale ha
molte lacune da colmare, e, come ho avuto già modo di dire in
articoli come questo ->www.wineblogroll.com, per me l’importante è
l’equilibrio rispettoso fra uomo e Natura, e non è di certo una
certificazione a farmi stare più o meno tranquillo. Di certo, però,
mi sento di dare il mio sostegno spassionato, a chi, nonostante i
rischi e la fatica, opta per una viticoltura meno invasiva e più
sostenibile, non necessariamente “bio-qualcosa”, ma
comunque rispettosa dell’ecosistema, del prodotto e di chi come me,
il Vino
non lo fa, ma lo beve!  

Le foto di questo collage sono state scattate nei vigneti sostenibili dell’Azienda Podere di Pomaio che rappresenta un esempio non solo di viticoltura “green”, ma di come si possa portare la sostenibilità in ogni ambito aziendale.
Citando un loro “motto”:
“E’ facile sognar”…ma è difficile realizzare sogni…ma proprio per questo vale la pena continuare a credere di poter cambiare la realtà!




F.S.R.



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