Sono arrivato ad Urbino per partecipare ad un evento che, non per essere snob, ma per semplice praticità (io amo dedicarmi al Vino in maniera più intima e profonda e visitare cantine con la dovuta calma ed una maggior attenzione), nella maggior parte dei casi avrei evitato, ovvero l’inaugurazione di una nuova cantina. La cantina in questione è quella dell’Azienda Agricola Bruscoli Marianna, nella Tenuta dei Santi Giacomo e Filippo, attiva già da diversi anni, ma solo oggi pronta a vinificare autonomamente le proprie uve. Una scelta particolare, che rappresenta, probabilmente, l’iter migliore per arrivare al proprio Vino, vale a dire l’aver costruito una cantina, non come obiettivo primario al quale far succedere le vigne, bensì creandola su misura per quello che è il potenziale aziendale (14ha vitati), dotandola della strumentazione più consona a vinificare ed affinare il prodotto di una sperimentazione durata anni e che mai smetterà di proseguire. Sì, perché questa cantina, definita dalla titolare Marianna un’officina vinaria, è nata con lo scopo di perseverare nella ricerca di un approccio sempre più rispettoso e meno invasivo, ma ponderato, al Vino. Fidatevi, sarebbe stato semplice compiere scelte opposte, come edificare una cantina ex novo ancor prima di aver impiantato la prima barbatella, con il solo obiettivo di produrre Vino, con il “come” a rappresentare un quesito secondario, ma è stato altrettanto semplice per me comprendere quanto ogni passo venga ponderato senza fretta e con grande coscienza in questa realtà.
Un’azienda agricola biologica, nella quale si alternano seminativo, boschivo, oliveti e vigneti, nell’armonia tipica delle fattorie di un tempo, ma con la consapevolezza di un approccio più contemporaneo e ragionato, a testimoniare un’evoluzione conservativa e propositiva e non di certo distruttiva. La cosa che mi ha colpito di più è la sostanziale differenza fra i vigneti biologici di questa azienda e quelli di molte altre realtà, in quanto, sin troppo spesso, si mettono a dimora ettari ed ettari di barbatelle su terreni che per anni hanno ospitato colture gestite in maniera quanto meno opinabile in termini di salubrità, mentre in questo caso parliamo di una terra che già ospitava un’agricoltura totalmente rispettosa da 20 anni, garantendo alle viti impiantate fra il 2007 ed il 2009 terreni esuli dalla presenza di qualsiasi forma di residuo chimico dovuto a diserbo, concimi o fitofarmaci.
Un aspetto che mi ha incuriosito a tal punto da voler vedere coi miei occhi queste terre, ancor più della struttura in sé, anche se non nego di esser stato piacevolmente colpito da una forma di rispetto profusa in ogni scelta aziendale, compresa quella di recuperare un vecchio edificio per la costruzione di una cantina minimalista e perfettamente integrata nel contesto, con il plus di essere interrata, con tutti i vantaggi relativi al mantenimento della temperatura in maniera naturale.
Una famiglia, quella della proprietaria Marianna Bruscoli, che è andata controcorrente nella realizzazione di una realtà polivalente, che doveva essere un campo da golf da 18 buche, ma che oggi è un albergo diffuso nato dal recupero ed il ripristino di vecchie strutture, intorno alla ristrutturata abbazia dei Santi Giacomo e Filippo (dalla quale prende il nome la Tenuta), un ristorante ospitato da una ex capanna per pescatori, un maneggio ed ovviamente l’azienda agricola che comprende altre colture ed altre produzioni oltre a quella vitivinicola, ma che vede nel Vino un obiettivo in termini di qualità e di espressione di un territorio al quale questa famiglia è palesemente legata e del quale Marianna e tutto il suo staff sono profondamente innamorati.
Come vi dicevo, solitamente evito inaugurazioni o happening di questo genere, perché so, a priori, di non potermi dedicare al Vino quanto e come vorrei, ma qualcosa mi suggeriva di dismettere i panni del nerd enoico e di provare a godermi la giornata. In realtà è bastato incontrare Giorgia, responsabile della comunicazione aziendale (e molto altro a giudicare dalla sua irrefrenabile, valida, attività all’interno dell’azienda), per comprendere che avrei potuto dedicarmi al Vino alla mia maniera, pur essendo nel bel mezzo di un’inaugurazione, e così è stato. Una piacevolissima degustazione, estemporanea, delle attuali 6 etichette prodotte dall’azienda, con la possibilità di fare due chiacchiere con enologo, cantiniere ed il caro Raffaele Papi, sommelier che in queste terre vive e che questi vini conosce bene.
Ad aprire le danze organolettiche, in maniera vitale e dinamica, sono stati i due charmat IsaBecta, uno base Verdicchio molto fresco e piacevole, di grande duttilità ed un Rosé da uve Sangiovese molto varietale e dal tocco vellutato ed elegante atipico per un Martinotti. Per quanto riguarda le bollicine, sembra essere in cantiere un metodo classico, che sarà mia premura raccontarvi a tempo debito.
In seconda battuta arrivano nei calici i due Vini, La Fogliola Bianco 2015 e La Fogliola Rosso 2014 che, a mio parere, rappresentano il vero punto “0” aziendale, quello dal quale ripartire per il futuro, in quanto massime espressioni di una concezione di rispetto dei vitigni più rappresentativi della zona, ovvero Biancame (o Bianchello, ma essendo fuori denominazione troverete Trebbiano in etichetta) e Sangiovese. Il primo concreto, varietale, minerale quanto basti per renderlo inerziale e dotato di quel raro equilibrio, a me tanto gradito, che gli permetta di essere apprezzabile oggi, ma al contempo di buona prospettiva di cantina; il secondo invece, nonostante l’annata non felicissima per i rossi, ha il grande merito, non così comune, di saper di Sangiovese, nel senso più stretto del termine. Vini senza artifizi, puri e semplici, ma eleganti nei loro equilibri naturali, vinificati con l’arte del togliere tutti gli orpelli cercando di salvaguardare e preservare ciò che di buono sia stato fatto in vigna. Un cantiniere, Marco, che è arrivato solo da due anni e che sta già facendo la differenza in vigna ed in cantina, tanto da aver dato più di un input nel futuro delle due etichette che ho avuto modo di assaggiare nel finale di degustazione, ovvero le due “riserve”, che non vi racconto proprio perché destinate a cambiare radicalmente, ma di una cosa sono certo… l’Incrocio Bruni 54 ha trovato un altro terroir di grande vocazione, fatto di grandi terreni, di una viticoltura oculata e rispettosa e di mani e menti capaci di lasciare che esprima la sua identità in maniera sincera.
Acciaio, anfore di terracotta e botti grandi accoglieranno i mosti da questa vendemmia in avanti, a confermare la volontà di non imbrigliare ed offuscare i varietali, bensì lasciarli liberi di parlare di sé e del territorio. Inoltre, come suggerito a “chi di dovere”, mai in questo caso ho scorto nell’essere fuori da ogni denominazione/disciplinare un’opportunità da cogliere e sulla quale sviluppare un concetto di terroir ancora più forte ed identificativo, che mira ad anteporre territorio, personalità ed interpretazione a qualsiasi dinamica burocratica.
Ciò che ho appreso ieri, grazie al discorso di Marianna Bruscoli e dopo aver chiacchierato con buona parte dello staff, è che il Vino in questa azienda agricola è “solo” il frutto di un percorso che parte da lontano ed affonda le radici nel passato di una famiglia che per generazioni ha sentito forte l’appartenenza a questo territorio ed alla terra che lo rende forte e vivo, nonché meravigliosamente suggestivo. Un percorso che ho intenzione di seguire, nell’ottica di un’attenzione maggior da parte mia, e spero da parte di tutti voi, per una zona delle Marche che in pochi conoscono enoicamente parlando, ma che ha tanto da dare e da raccontare, in maniera sincera e sempre più consapevole.
Si respira aria nuovamente antica nella Tenuta Santi Giacomo e Filippo, dove si cammina fra storia e futuro, senza sentirsi spaesati, in armonia e serenità… dove la Terra torna al centro di tutto, in senso stretto ed in senso lato.
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