Essere sommelier – Intervista a Giovanni Sinesi del Ristorante Reale

Oggi, come spesso accade, ho lasciato la porta della mia umile dimora socchiusa ed ho visto passare un caro amico, un professionista che ammiro e stimo da quando abbiamo avuto modo di condividere il primo assaggio. Per mia fortuna, non c’è voluto molto per farlo entrare: ho stappato una buona bottiglia ed ancor prima di iniziare a mescere il primo bicchiere il suo abile naso e la sua curiosità enoica lo hanno portato qui.

Parlo di Giovanni Sinesi – Gianni per gli amici -, sommelier del ristorante Reale di Cristiana e Niko Romito (3 stelle Michelin), al quale sono stato più che lieto di porre qualche domanda riguardo la sua figura professionale.

Cosa significa essere sommelier e cosa esserlo in un grande ristorante come il Reale?

Essere sommelier è prima di tutto una scelta di vita dettata da una grande passione. Può succedere che ci si innamori di un vino in particolare, o che qualcuno, consapevolmente o meno, ci porti sulla strada della professione. Il mio mentore, in questo caso, è stato Maurizio Menichetti del ristorante Caino a Montemerano, in Toscana: lo stage che feci con lui nel 2006 ha avuto un ruolo decisivo nella mia carriera. Essere sommelier al Reale è una responsabilità enorme: le aspettative dei clienti sono altissime, il beverage deve accompagnare la cucina senza coprirla ma valorizzandola ed esaltandola e al contempo avere un suo carattere distintivo, una sua autonomia. Io sono partito giovanissimo, l’esperienza l’ho fatta sul campo e non è stato facile capire il mio ruolo e costruire una cantina come quella che abbiamo oggi, composta da circa 8.000 bottiglie di vino con oltre 500 etichette provenienti da tutto il mondo.

Sommelier si nasce o si diventa?

Sommelier si diventa, indubbiamente, sebbene avere un buon naso in partenza non guasti! È un lavoro fatto di studio continuo, senza sosta: non basta il diploma, non basta assaggiare una sola volta un vino per poterlo capire. Col passare del tempo mi rendo conto di quanto io stesso ritorni sui miei passi, di come il vino vada capito e interpretato, oltre che conosciuto e studiato. Inoltre, ciò che davvero fa la differenza è la volontà di fare, di crescere, di viaggiare ed esplorare.

L’essere sommelier ti “obbliga” a vedere il vino come un lavoro, ma riesci a far combaciare con l’aspetto professionale anche la passione per questo meraviglioso mondo?

Qualcuno ha detto che se fai il lavoro che ami allora non lavorerei mai neppure un giorno della tua vita. Io amo il mio lavoro, per cui riesco bene a far combaciare l’aspetto professionale e quello ludico. Le mie vacanze sono spesso nei grandi territori del vino; viaggio spessissimo per andare a conoscere personalmente produttori e aziende che ritengo interessanti o territori dei quali vorrei approfondire la mia conoscenza geomorfologica, agricola, paesaggistica. Chi consuma un vino non sta bevendo solo il liquido che ha nel bicchiere: sta assaporando il profumo della vigna, gli effetti che il vento, il sole e la pioggia hanno avuto sull’uva, la filosofia e le scelte dell’agronomo e dell’enologo, la visione e il progetto di chi lo ha prodotto. Quando viaggio alla scoperta di aziende vitivinicole o quando partecipo a qualche degustazione io vado alla scoperta del mondo del vino. Il mio compito è capire come questo mondo si abbina e si interseca con la cucina di Niko Romito e, nondimeno, come la mia conoscenza può essere messa al servizio dei clienti. Ognuno ha un suo palato, un suo vissuto gastronomico, una sua idea sul vino. Come sommelier mi occupo di creare armonia e generare piacere da tutte queste componenti.

Cosa non dovrebbe mai mancare nella carta dei vini di un ristorante in Italia?

Credo che in ogni carta dei vini che si rispetti debbano essere rappresentate le più importanti regioni enologiche italiane, con un focus particolare sulla regione di appartenenza del ristorante. Il legame col territorio è importante ed è fondamentale. Poi è interessante anche “allontanarsi” ed esplorare altre regioni, d’Europa ma anche del mondo, perché no, ma questo presuppone anche una certa disponibilità e curiosità da parte della clientela, e non sempre è fattibile perché dipende dal tipo di ristorante in cui ci si trova e anche dal budget che si ha a disposizione. Una cantina importante richiede investimenti corposi, ma in realtà è possibile costruire carte dei vini interessanti anche senza spendere un patrimonio e facendo scelte mirate.

Mentre in quella di uno stellato?

In un ristorante stellato l’esperienza e la personalità del sommelier sono fondamentali, perché si traducono in una filosofia di pensiero che deve essere coerente con quella della cucina, accompagnando e valorizzando la proposta gastronomica del ristorante. In molti seguono le mode, ma io credo che il mio lavoro sia molto più profondo e difficile di una semplice conoscenza delle tendenze del momento. Il mondo del vino è sterminato, e poi, in realtà, non esiste un unico modo di degustare: ogni palato percepisce il vino a modo suo, per questo è così difficile capire e soddisfare i gusti dei clienti. Tutti noi abbiamo dei “pattern” di percezione di cui spesso siamo inconsapevoli, ma che condizionano la nostra esperienza gustativa; per questo motivo non a tutti piacciono gli stessi vini, e non tutti sono in grado di apprezzare certi sapori piuttosto che altri.

Come selezioni un vino da mettere in carta? Valuti l’assaggio in sé o ti lasci trasportare anche dalla sua storia, dalla personalità del produttore ed ovviamente dalla bellezza del territorio in cui nasce?

La prima cosa che valuto è sicuramente l’assaggio, da cui percepisco immediatamente la qualità di un vino. In generale in un vino cerco pulizia, piacevolezza e bevibilità, ma anche il legame con il territorio e quindi la sua riconoscibilità nei sentori e sapori che percepisco. Gli altri sono aspetti secondari che entrano in gioco solo dopo l’esame gustativo, e che hanno sicuramente una loro importanza se consideriamo che ogni vino è figlio di chi lo produce: rappresenta cioè i valori del produttore, che si esprimono dal modo di curare la vigna alle procedure di vinificazione, fino all’etichetta e alla presentazione della bottiglia.

Quanto reputi importante l’abbinamento vino-cibo e quanto si può osare ancora?

Nei menù degustazione del Reale (Essenza e Ideale) a ogni portata è abbinato un vino. Lavoro ogni giorno per trovare i migliori abbinamenti, quel sentore particolare che valorizza un ingrediente, quell’acidità necessaria a stimolare il palato nel modo giusto durante la consumazione di un piatto. L’abbinamento cibo-vino è importantissimo, e con il tempo ho imparato anche ad abbandonare le “strade sicure” e a lanciarmi in sentieri incerti ma che possono regalare grandi soddisfazioni, al di fuori degli insegnamenti scolastici. Ad esempio, ho imparato ad abbinare acido con acido, amaro con amaro, dando vita a combinazioni inedite e assolutamente inaspettate. Noi siamo fatti di cuore, cervello e personalità: un buon abbinamento cibo-vino dovrebbe colpire e soddisfare tutte queste componenti.

In un’era in cui alcuni valori cardine dell’educazione sembrano venir meno, quanto pensi siano importanti le doti dell’eleganza, del savoir faire e l’educazione stessa? La sala può essere un veicolo per questi valori?

Se ci pensate la sala è come un palcoscenico, sul quale si svolge lo spettacolo dell’esperienza gastronomica. In inglese si usa l’espressione “front service” proprio a indicare il fatto che chi sta in sala ha un rapporto diretto e frontale con i clienti. Il lavoro di sala richiede una grandissima preparazione, una discrezione incredibile e al tempo stesso un’attenzione maniacale. L’eleganza in sala è tutto, ma parliamo di un’eleganza silenziosa, mai strillata. Noi dobbiamo essere presenze rassicuranti: apparire quando il cliente ha bisogno di qualcosa e, anzi, capirlo ancora prima che l’esigenza si manifesti. Inoltre, ci vuole una grande cultura: dobbiamo essere in grado di fare conversazione sugli argomenti più disparati, e questo ci consente di apprendere tantissimo, di osservare le persone di capirne molti aspetti. Credo che la sala sia un mondo affascinantissimo, per me magico, serio ma divertente.

Oltre alla tua caparbietà ed al tuo impegno, senti di dover ringraziare qualcuno per la persona ed il professionista che sei oggi?

Niko e Cristiana hanno investito tantissimo su di me. Solo oggi, che è passato tutto questo tempo (sono con loro dal 2004) e che ho acquisito esperienza mi rendo conto di quanto abbiano rischiato nel darmi carta bianca e lasciarmi crescere “sul campo”. Quando ho ricevuto il premio “Sommelier dell’anno” dalla guida Identità golose, nella sezione Giovani stelle, ho capito che sono cresciuto, e che tutte le persone che in questi anni ho avuto la fortuna di conoscere e di frequentare mi hanno insegnato tanto: Maurizio Menichetti, Fabio Rango, ma anche produttori, amici, clienti. Solo se condivisa la conoscenza genera altra conoscenza.

I tre assaggi che ti hanno riempito il cuore e che ricordi ancora nitidamente?

Il primo è sicuramente il vino del contadino servito freddo con la gassosa, sulla tavola di famiglia. È un gusto che mi riempie il cuore, da sempre, perché mi ricorda il calore familiare, quella semplicità di gesti e di sapori tipica della tradizione contadina e che in un certo senso rappresenta per me le origini. Il secondo è un Musigny del 1971 bevuto in tua compagnia (ricordi?): in tutta la mia esperienza non ho mai trovato così tanta eleganza ed equilibrio in un vino così invecchiato. Il terzo è legato ad ogni momento che viviamo quando abbiamo un calice di vino in mano, quando lo assaporiamo sulla spiaggia o davanti al camino, nell’intimità di uno sguardo. Sono attimi di vita che dimorano dentro di noi riempiendo il cuore di emozioni. In fondo, come diceva Ovidio, “il vino prepara i cuori rendendoli pronti. Nel molto vino ogni penar si stempra.”

Quanto contano il contesto, la compagnia ed il proprio stato d’animo nel percepire… nel sentire un vino?

Secondo me molto nel senso che possono influenzare, positivamente o negativamente, l’esperienza gustativa. Quando ho bisogno di capire un vino mi raccolgo in solitudine e procedo all’assaggio, perché per essere veramente presenti bisogna avere la mente libera.

Quando assaggi un vino devi essere concentrato, come quando sei a cena con la tua donna.

Chiudiamo con la domanda che tutti avrebbero voluto leggere sin dal principio di questa intervista: e se il vino sa di tappo?

Si cambia!

Concludo ringraziando Gianni per aver condiviso con me e con voi i suoi pensieri e le sue emozioni in modo nitido e dinamico. Credo che le sue parole possano fungere da esempio per molti giovani in procinto di avvicinarsi al mondo della sommelierie e che, più in generale, possano rappresentare un riferimento per chiunque abbia a che fare con il vino, dal gourmet al ristoratore, al semplice appassionato.

F.S.R.

#WineIsSharing

Lascia un commento

Blog at WordPress.com.

Up ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: