La Riviera Ligure di Ponente e il suo grande potenziale vitivinicolo tra Pigato, Ormeasco, Rossese, Granaccia e Vermentino.

C’è una lingua che guarda al mare spesso poco considerata in termini vitivinicoli ma che vanta una concentrazione di unicità propria solo dei grandi territori. Parlo della Liguria e in particolare della Riviera Ligure di Ponente, una fascia collinare affacciata sul Mar Ligure che racchiude in pochi km, tra le province di Savona ed Imperia, vigneti e varietali dal potenziale ancora solo parzialmente esplorato seppur siano carichi di storia.
riviera ligure di ponente

Data la mia grande attenzione nei confronti delle associazioni di vignaioli che stanno nascendo in giro per l’Italia, ho accolto con grande positività e propositività l’invito della rete d’impresa Vite in Riviera che qualche settimana fa mi ha portato a riscoprire questo interessantissimo territorio.

visite in cantine wine blogger liguria
La Riviera Ligure di Ponente gode degli influssi benefici del Mar Mediterraneo e della protezione delle Alpi, con valli strette e ripidi pendii che impongono una viticoltura per lo più virtuosa e in molti casi eroica.
In questo areale così contenuto troviamo una ricchezza di varietali capaci di esprimere il territorio con sfumature e declinazioni fortemente identitarie come: il Pigato, il Vermentino,  la Lumassina, il Moscato (Moscatello di Taggia), la Granaccia e il Rossese di Dolceacqua (al quale si aggiunge l’ormai quasi perduto Rossese di Campochiesa) e il Dolcetto “di montagna” ovvero l’Ormeasco di Pornassio.
E’ proprio girando per vigne e cantine che ho avuto modo di comprendere quanto la generalizzazione in questo areale sia impossibile anche in termini varietali con il Pigato che pur essendo stato avvicinato in termini genetici al Vermentino vanta espressioni completamente differenti, specie se si parla di cloni più antichi. Lo stesso vale per la Granaccia che si distingue fra vecchi biotipi (purtroppo ancora presenti solo in alcuni vigneti) e la più “comune” Grenache che possiamo incontrare negli impianti più recenti. Poi c’è la storia del Rossese che si divide nel più noto Rossese di Dolceacqua (ormai sempre certa la stretta parentela con il Tibouren francese) e nella varietà ormai quasi del tutto perduta denominata Rossese di Campochiesa, più snella e potenzialmente molto interessante nell’epoca odierna ma di certo abbandonata per via delle sue caratteristiche sin troppo “esili e fini” che in altre “ere enoiche” venivano percepite come negative.

L’obiettivo di questo viaggio in Riviera Ligure di Ponente per me non era solo quello di visitare cantine e assaggiare i vini del territorio, bensì scoprire quali potessero essere le reali potenzialità di un territorio che per anni si è “accontentato” di vendere gran parte della propria produzione internamente, usufruendo del turismo costiero e del consumo locale.
L’obiettivo di una rete come quella di Vite in Riviera è proprio quello di valorizzare le peculiarità di un areale circoscritto ma denso di eccellenze fino ad ora poco e mal comunicate e in pochi anni (la rete nasce nel 2015) sono palesi i passi avanti fatti nel veicolare la Riviera Ligure di Ponente come zona dal notevole interesse vitivinicolo.
Vite in Riviera è composta da ben 25 aziende:
Cooperativa Viticoltori Ingauni
Azienda agricola Arnasco – Arnasco (SV)
Azienda A Maccia – Ranzo (IM)
Azienda Anfossi Luigi Blaise – Bastia d’Albenga (SV)
Azienda Biovio – Bastia d’Albenga (SV)
Azienda Bruna – Ranzo (IM)
Cantine Calleri – Albenga (SV)
Cascina Feipu dei Massaretti – Albenga (SV)
Cascina Nirasca – Pieve di Teco (IM)
Cascina Praiè – Andora (SV)
Azienda Vio Claudio – Vendone (SV)
Cooperativa Olivinicola Arnasco – Arnasco (SV)
Azienda Durin – Ortovero (SV)
Azienda Enrico Dario – Bastia d’Albenga (SV)
Azienda Foresti – Camporosso (IM)
Azienda Guglierame – Pornassio (IM)
Innocenzo Turco – Quiliano (SV)
La Vecchia Cantina – Albenga (SV)
Azienda Lombardi – Terzorio (IM)
Podere Grecale – Sanremo (IM)
Poggio dei Gorleri – Diano Marina (IM)
Azienda Ramoino – Sarola (IM)
Azienda Sommariva – Albenga (SV)
Tenuta Maffone – Pieve di Teco (IM)
Torre Pernice – Albenga (SV) 
vigne liguria
Nello specifico le denominazioni rivendicate dalle aziende di Vite in Riviera sono le seguenti:
Riviera Ligure di Ponente Doc: Pigato, Vermentino, Moscato (e/o Moscatello di Taggia), Rossese, Granaccia.
Rossese di Dolceacqua Doc
Pornassio o Ormeasco di Pornassio Doc
Terrazze dell’Imeriese Igt
Colline Savonesi Igt
 
Come di consueto, trattandosi di una forma associativa, nel rispetto di tutti i produttori non vi parlerò in questo pezzo dei singoli vini, ma vi darò qualche impressione generale sulle varie zone visitate e sulla qualità generale degli assaggi fatti.
Vermentino & Pigato
Per quanto concerne la Doc Riviera Ligure di Ponente è evidente il traino del Vermentino in termini di numeri e di richiesta, ma ha rappresentare in maniera nitida il territorio è, senza tema di smentita, il Pigato che vede le quote di mercato allargarsi e la qualità diffusa salire in termini di espressività varietale ma anche e soprattutto in quanto a interpretazione del singolo produttore. Se fino a qualche anno fa il Pigato veniva proposto solo come vino d’annata, da bere fresco, magari durante le vacanze in Riviera, oggi sono numerose le aziende che stanno cercando di spingere questo vino verso la percezione che merita, innalzando la qualità tramite maggior attenzione in vigna, rese più basse, vinificazioni più attente (fondamentale l’affinamento sulle fecce fini) e, in alcuni casi, decidendo di far uscire il proprio vino con un affinamento in bottiglia più lungo in modo da poter dimostrare quanto il Pigato sappia dare tra il secondo e il terzo anno di dalla vendemmia. Complessità varietali votate non più al solo frutto fresco e alle sfumature floreali, ma anche alla mineralità (non è rara la presenza di TDN che avvicina il naso di molti Pigati al Riesling) e ad una più marcata profondità di sorso, non così scontata per un vitigno che non vanta un’altissima acidità di base ma di certo può giocarsi la carta dell’agilità grazie alla grande sapidità che fa da comun denominatore per l’intero territorio. Se il Vermentino può essere un passpartout grazie alla maggior conoscenza del varietale da parte dei consumatori italiani e stranieri, torno dalla Riviera Ligure di Ponente convinto che sia il Pigato la vera scommessa di questo areale, capace di esprimere le singolarità grazie alla sua diffusione in vigneti propri di ogni sottozona. In un’epoca in cui la ricerca delle nicchie d’eccellenza e dei varietali autoctoni è, fortunatamente, cresciuta la mission delle realtà del territorio e di reti come Vite in Riviera deve necessariamente essere far conoscere questo vino e innalzarne la percezione anche in termini commerciali.
Ormeasco di Pornassio
Altra unicità, seppur il vitigno possa sembrare “fuori casa”, è l’Ormeasco di Pornassio, che amo definire “il Dolcetto di montagna”, anche se a rigor di logica dovremmo parlare di alta collina.
Per me che amo la viticoltura d’altura andare a scoprire vigneti che si spingono dai 600 agli oltre 800m slm in Liguria è stata un’esperienza fondamentale per comprendere ancor più approfonditamente quanto siano variegate e sfaccettate le potenzialità di questa regione e di questo specifico areale.
Qui il Dolcetto dal raspo rosso affonda le proprie radici nei depositi alluvionali di ghiaia e sabbia che tanto vocata rendono questa terra. La grande escursione termica giorno-notte fa il resto, regalando all’Ormeasco finezze aromatiche e freschezza impensabili altrove.
Oltra al Rosso e Rosso Superiore, mai troppo carichi di colore, ben bilanciati fra struttura e acidità e dinamici al sorso, con chiusure molto saporite di sale e di ferro, c’è uno dei Rosati più interessanti dell’intera penisola, ovvero l’Ormeasco Sciac-trà (“schiaccia e trai”) che viene prodotto con una brevissima macerazione post-pigiatura, quindi non per salasso. E’ evidente che questo Sciac-trà nulla abbia a che vedere con lo Sciacchetrà delle Cinque Terre.
L’Ormeasco di Pornassio, nonostante i numeri contenuti della sua produzione, può rappresentare un’ulteriore veicolo di interesse nei confronti della viticoltura della Riviera Ligure di Ponente, offrendo contesti suggestivi sia in termini di viticoltura che di espressività organolettica.
Granaccia Ligure
Tra le varie derivazioni della Grenache che possiamo incontrare in tutto il territorio italiano (vedi Tai Rosso, Vernaccia Nera di Serrapetrona, Gamay del Trasimeno, Cannonau ecc…) la Granaccia Ligure è quella che meno ha “nascosto” la sua parentela con il noto vitigno francese (che a sua volta sembra provenire dalla vicina Spagna (probabilmente dalla Catalogna o dall’Aragona). Eppure i vecchi cloni trovati in alcuni vigneti di Quiliano sembrano asserire con forza che la Granaccia “originale” di queste zone, ovvero quella più tipica, è ben distinta dalla Granaccia/Grenache impiantata nel corso degli ultimi anni in molte sottozone della Riviera Ligure di Ponente e non solo.
Ecco perché troveremo: da un lato pochi vini prodotti con questi tradizionali cloni presentarsi più scarichi nel calice, con aromi più votati al fiore che al frutto, un’intrigrante speziatura naturale. maggiori finezze e un’acidità più marcata, con chiose ematiche evidenti; dall’altro una maggior diffusione di vini più carichi, con maggior estratto, ben bilanciati fra corpo e freschezza, con un profilo organolettico più intenso e denso, sicuramente più vicini alle interpretazioni spagnole del vitigno.
Vedo in queste due espressioni di quello che per convenzione è considerato lo stesso vino una possibilità interessante ed intrigante che va ad arricchire ultiormente di varietà la proposta enoica di questo piccolo areale. Inoltre, la presenza dei cloni storici può rappresentare un termine di paragone importante che, attraverso la comparazione, può e deve portare – a mio avviso – a riconsiderare alcune interpretazioni di Granaccia, oggi, forse anacronistiche in quanto troppo ricche e morbide.
Rossese di Dolceacqua
Il mio viaggio alla scoperta e alla ri-scoperta delle sottozone della Riviera Ligure di Ponente e delle sue eccellenze enoiche non poteva che portarmi fino al micro-areale del Rossese di Dolceacqua, storico vino ligure, capace di ritagliarsi nicchie di interesse sempre maggiori negli ultimi anni, grazie all’opera di virtuosi produttori capaci di trarre dagli antichi terrazzamenti sui quali poggiano per lo più vigne per lo più eroiche per la loro pendenza, vini di grande eleganza.
Il Rossese di Dolceacqua è allevato da secoli in provincia d’Imperia, per lo più con il sistema dell’alberello ligure, ancora presente in molte particelle dei vigneti della denominazione, con ceppi che oltrepassano persino i 100 anni di età.
Solo recentemente è stata evidenziata la stretta parentela con il varietale francese Tibouren coltivato in Provenza, ma la diversità di biotipo e il suo adattamento a questo territorio e al tipico terreno scisto-marnoso ha portato il Rossese di Dolceacqua a maturare una sua propria espressività.
Nonostante la particolare sensibilità del vitigno alle principali patologie della vite (specie quelle enfatizzate dall’umidità) il clima sempre più arido ma al contempo la mitigazione del mare e le escursioni termiche date dall’altitudine, stanno offrendo scenari interessanti per gli abili vignaioli del Rossese di Dolceacqua che negli ultimi anni hanno portato in bottiglia vini sempre più interessanti in termini di armonia e potenziale di longevità, specie nelle versioni Superiore.
La delicatezza del vitigno, la difficoltà di gestione dei vigneti impervi e alcune particolarità come la tendenza all’acinellatura del grappolo del Rossese di Dolceacqua avevano fatto quasi scomparire questo vitigno dalle campagne di questa circoscritta area della Riviera di Ponente, ma come per il Pigato anche in questo caso l’obiettivo dei piccolo produttori locali è e deve necessariamente essere la valorizzazione del vino anche in termini economici elevandone la percezione e, quindi, la remunerazione.
cene produttori degustazione
Considerazioni finali
Il problema di fondo delle aree che ho avuto modo di visitare e dell’intera produzione vitivinicola della Riviera Ligure di Ponente è proprio la scarsa redditività delle aziende che hanno consapevolmente assecondato un periodo di stallo dato dalla “facilità” commerciale indotta dalla vendita agli esercizi locali e alle regioni limitrofe (Piemonte e Lombardia fra tutte). Questo non ha permesso uno sviluppo più rapido del territorio che potrebbe aumentare i numeri mantenendo la alta la qualità dei vini prodotti solo avendo una maggior remunerazione in bottiglia.
La mia personale percezione è che la qualità sia cresciuta notevolmente e che, anche grazie ad associazioni come Vite in Riviera e quindi al confronto fra le singole aziende e i singoli produttori, si stia maturando una maggior consapevolezza nei propri mezzi e una visione più ampia del potenziale di questa area della Liguria.
Ho voluto fortemente riunire attorno ad un tavolo in più di un’occasione i rappresentanti delle aziende dell’associazione e ciò che ho potuto scorgere oltre la voglia di presentare la propria identità aziendale e i propri vini è una voglia di uscire da quei confini che per anni hanno fatto da freno alla viticoltura ligure in toto e a quella della Riviera di Ponente nello specifico. La coesione e la volontà di guardare al futuro con rinnovata passione e  maggior consapevolezza sono palesi all’interno di Vite in Riviera e sono certo che questo gruppo di cantine fungerà da traino per l’intero contesto territoriale.
Nei prossimi mesi avrò modo di parlarvi degli assaggi che mi hanno colpito particolarmente, ma nel frattempo, mi sento di consigliarvi di dedicare maggior attenzione ai vini di questo areale in quanto sembra essere il momento giusto per trovarsi nel calice, con buone probabilità, qualcosa in grado di stupire per personalità e contemporaneità.
 
F.S.R.
#WineIsSharing

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