Chi segue il mio incessante girovagar enoico avrà notato del mio ultimo viaggio in Romagna, terra tanto generosa quanto poco compresa dal punto di vista enoico. Un territorio vasto e complesso che vive di contraddizioni ma è capace di farne, spesso, stimoli a migliorarsi.
La Romagna è ospitalità e calore, spigliatezza e giovialità ma, proprio come accade con i suoi abitanti, sono gli aspetti introspettivi, intimisti e profondi che la rendono molto meno facile da leggere di quel che potrebbe cogliere uno sguardo superficiale.
Per questo vedo la ricerca dei vigneti più vocati, delle zone più ricche di biodiversità e di rispetto, dei vitigni storici e delle realtà più virtuose come un percorso nei meandri del vero animo romagnolo, un animo tanto gentile quanto poco avvezzo a mostrarsi nella sua integrità e nella totalità delle sue virtù. Timidezza? Riservatezza? Non so di cosa si tratti, ma è certo che la Romagna, se vissuta e approfondita, stupisce come solo pochi altri territori sanno fare.
Faccio questa premessa, che potrebbe già bastare a farvi capire quanto io sia legato a questo territorio, perché parlare del vino romagnolo non è mai semplice e il rischio di dare accezioni fuorvianti a considerazioni basate sul basi che si possono acquisire solo in loco è alto.
Per questo cercherò di suddividere in punti questo pezzo, partendo dalle peculiarità del territorio.
IL TERRITORIO, LE DENOMINAZIONI E LE MGA DEL ROMAGNA SANGIOVESE DOC
La zona di produzione dei vini Romagna Doc si estende a sud della Via Emilia e a nord dell’Appennino Tosco-Romagnolo, principalmente nell’area collinare e pedocollinare lungo le ampie vallate con direzione nord-est. Possiamo distinguere, quindi, 5 macroaree principali: Imolese, Faentino, Forlivese, Cesenate e Riminese.
La denominazione di origine controllata Romagna comprende:
Romagna Sangiovese Doc, Romagna Trebbiano DOC, Romagna Pagadebit DOC, Romagna Cagnina DOC, Romagna Albana Spumante DOC, Romagna Spumante DOC, Colli d’Imola DOC, Colli di Faenza DOC, Colli Romagna Centrale DOC, Colli di Rimini DOC oltre al Romagna Albana Docg. Ricadono nel territorio anche alcune IGT come Rubicone Igt, Forlì Igt, Ravenna Igt e Sillaro Igt.
Il Romagna Sangiovese Doc, ricade nello specifico in un territorio si allarga ad ovest all’imolese che giunge fino a Ozzano dell’Emilia e a est al riminese fino a San Giovanni in Marignano.
Per quanto riguarda la zonazione del Romagna Sangiovese Doc, se nella prima istanza di richiesta delle MGA l’area toccava, da nord-ovest a sud-ovest, trenta diversi comuni della provincia di Ravenna (Brisighella, Casola Valsenio, Castel Bolognese, Faenza, Riolo Terme) e Forlì-Cesena (Bertinoro, Borghi, Castrocaro Terme, Terra del Sole, Cesena, Civitella di Romagna, Dovadola, Forlì, Forlimpopoli, Galeata, Longiano, Meldola, Mercato Saraceno, Modigliana, Montiano, Portico San Benedetto, Predappio, Ronco San Casciano, Roncofreddo, Santa Sofia, Savignano sul Rubicone, Sogliano al Rubicone, Sorbano-Sarsina, Tredozio), oggi sono in fase di integrazione la sottozona unica di Imola e le sottozone del riminese di Coriano, Verucchio e San Clemente. Un’integrazione importante che vedrà, finalmente, una Romagna del vino completa e capace di esprimere tutte le proprie peculiarità dell’areale nella sua interezza.
Le sottozone riconosciute sono quindi: Serra, Brisighella, Marzeno, Modigliana, Oriolo, Castrocaro, Predappio, Bertinoro, Meldola, Cesena, San Vicinio e Longiano più le future Imola, Coriano, Verucchio e San Clemente.
Sono queste le menzioni geografiche aggiunte (MGA, ora UGA) che potrete trovare nei vini a denominazione Romagna Sangiovese DOC e Romagna Sangiovese Riserva DOC. Una sorta di zonazione per “cru” che rappresenta un sicuro valore aggiunto in termine di percezione delle potenzialità e delle diversità dell’areale.
Pedologia
Un areale che fa della varietà dei suoi suoli e delle altitudini uno dei punti di forza della propria viticoltura spaziando da suoli più ricchi di argilla, limo e ciottoli a quelli a più alta presenza di calcare attivo, passando per quelli marnosi – arenacei.
Possiamo suddividere l’areale in una zona pre-collinare, che si estende dalle falde delle ultime formazioni collinari degli Appennini fino alla via Emilia, comprende una fascia di terreni tendenzialmente piani appartenenti al Quaternario recente, e una zona nettamente collinare di era Terziaria (i rilievi romagnoli emergono per lo più nel Miocene superiore, Pliocene e Postpliocene). Si depositarono rocce evaporitiche (gesso, anidrite, salgemma) che in Romagna sono ben visibili nella «Vena del gesso».
Seguono poi le deposizioni del Pliocene, a dominante argillosa, che si presentano spesso con la tipica morfologia a «calanchi», riscontrabile nelle valli basse. Da questa successione di rocce è abbastanza naturale che siano derivati, per effetto dell’erosione naturale e dell’intervento dell’uomo, terreni più o meno calcarei, argillosi, misti e, dove sono intervenute azioni di dilavamento ed erosione chimica, terreni residuali di costituzione diversa. In passato si distinguevano «terreni vergini o integrali», di formazione recente e di composizione strettamente connessa alla roccia madre, e «terreni residuali», decalcificati, ferrettizzati, antichi. Tra questi due Estremi si ponevano i «terreni parzialmente ferrettizzati» (mezze savanelle) e le «terre rosse» (savanelle), completamente decalcificate. Partendo dalla s.s. 9, via Emilia, e risalendo verso monte, si incontrano dapprima le «terre parzialmente decarbonatate della pianura pedemontana», a pendenza molto debole (0,2-1%), da scarsamente a moderatamente calcarei. A seguire si incontrano le «terre scarsamente calcaree del margine appenninico», costituite da suoli formatisi in sedimenti argilloso-limosi deposti dai fiumi, profondi, a tessitura moderatamente fine o fine, moderatamente calcarei in superficie e molto calcarei negli orizzonti profondi. Proseguendo verso i calanchi, tipicamente a quote comprese tra 130 e 380 m s.l.m., si trovano le «terre calcaree del basso Appennino, localmente associate a calanchi». Nel basso Appennino molto presenti sono le argille azzurre, mentre passando al Cesenate tendono a prevalere i terreni calcarei riconducibili alla formazione Marnoso-arenacea, che poi tendono a diminuire sul territorio riminese, dove la viticoltura si sviluppa in modo particolare sulle «terre calcaree del basso Appennino riminese», che comprendono suoli formati in rocce prevalentemente argillose con intervalli sabbiosi di età pliocenica (formazione delle argille azzurre e formazione delle arenarie di Borello).
Una formazione degna di nota è la «Vena dello Spungone» che caratterizza in particolare il Forlivese, anche se parte dal Faentino-Brisighellese per arrivare fino a Bertinoro. (Fonte www.gazzettaufficiale.it)
La zona di Imola rappresenta l’estremo occidentale dell’areale e si estende nella parte collinare della valle del Santerno. I suoli sono tendenzialmente fertili e argillosi, tra bruno e grigio. I vigneti sono disposti per lo più nella prima fascia collinare tra i 30 e 150 m slm (per lo più nelle colline sopra ad Imola dotate di argille fertili e brune, e nella zona di Dozza, in cui troviamo argille ocra e aranciate).
Il riminese, invece, è la zona più orientale della denominazione e i suoi suoli sono fertili e argillosi ma con una discreta variabilità in base alle quote dei vigneti e alla matrice delle singole lenti di terreno.

IL CLIMA
Dal punto di vista climatico, anche se un’alta percentuale della superficie dei vigneti di Romagna si estende su un’area non distante dal mare Adriatico, la regione gode di un clima di tipo continentale, con estati calde e inverni lunghi e freddi che, nonostante le difficoltà indotte dai cambiamenti climatici, permettono quasi ogni anno un opportuno “riposo” alle viti e, in alcune zone, persino un accumulo di neve tale da conferire un buon apporto idrico in vista delle stagioni calde.
Precipitazioni medie, generalmente limitate nella fascia collinare iniziale, aumentano man mano che si passa nelle zone più interne. Il distretto può essere diviso in tre macro-aree separate o, più precisamente, procedendo da ovest a est, nel Faentino, il Forlivese, e il Cesenate.
A rafforzare la variabilità territoriale e, quindi, espressiva è la grande biodiversità presente in questo areale e in particolare nella fascia collinare che gode ancora di notevole presenza di bosco e di un contesto naturale integro.
È proprio la congiunzione di terreni, altitudini ed esposizioni a definire matrice dei vini prodotti in quest’area con notevoli differenze. Interessante sarà, quindi, potersi riferire a zone notoriamente più calde e con terreni più pesanti in cui maturità di frutto, dolcezza del tannino e struttura glicerico-alcolica saranno i caratteri predominanti dei mosti che, se trattati con garbo, potranno dare origine a vini più morbidi che si giocheranno tutto sull’equilibrio fra struttura e acidità, fra forza e dinamica di beva.
In aiuto dei vini prodotti dai vigneti nelle zone più calde dell’area potranno venire le escursioni termiche e gli affioramenti rocciosi-calcarei che andranno da un lato ad enfatizzare il profilo aromatico e dall’altro a donare maggior freschezza e agilità al sorso. Fondamentale sarà la sensibilità del singolo produttore nell’interpretare l’annata e questi pedoclimi in termini di contenimento delle rese e di epoca vendemmiale.
Più ci si sposta verso l’alto più terreni e clima favoriranno un maggior equilibrio fra maturazione fenolica e tecnologica, potendo spingere l’epoca di vendemmia fino a qualche settimana più avanti senza rischiare di perdere irrimediabilmente acidità. Avremo, quindi, vini con un perfetto equilibrio fra struttura e acidità nella fascia collinare classica (dai 180 ai 300m slm), capaci di esprimersi al meglio tra i 2 e i 5 anni dalla raccolta e caratterizzati da profili aromatici che passeranno dall’austerità ad una sempre più elegante finezza, senza perdere la suadenza del Sangiovese di queste zone.
Nei picchi più alti (oltre i 300 m slm) sarà la freschezza a farla da padrona, con nasi meno improntati sul frutto, bensì in grado di far emergere sfumature floreali di notevole finezza. Il sorso sarà, inizialmente, più spigoloso ma nella miglior accezione del termine, in quanto il tempo (in legno per le Riserve, ma anche e soprattutto in vetro/bottiglia per i Romagna Sangiovese Superiore) metterà in risalto tensione ed eleganza. Un denominatore comune che è emerso dai vari assaggi è, sicuramente, la componente minerale che dona a tutti i vini assaggiati un finale saporito tra il sapido (nei bianchi) e l’ematico (nei rossi) che invita alla beva.
Fondamentale sarà nei prossimi anni l’integrazione dei vini delle MGA delle zone di Imola e della provincia di Rimini per quanto concerne il Sangiovese.
Nel caso di Imola, ovvero l’apice occidentale della denominazione, il clima è tendenzialmente continentale. I vini ivi prodotti godono di grande equilibrio e di una tessitura strutturale e minerale molto riconoscibile.
Per quanto concerne Rimini, l’estremo orientale dell’areale, il clima è fortemente influenzato dal mare Adriatico sia nella sua azione mitigatrice durante l’anno che nelle forti escursioni termiche a ridosso della vendemmia. I vini che vengono prodotti in questa zona hanno grande intensità di frutto e buona struttura, senza però lesinare agilità di beva.
Biodiversità e rispetto
Un territorio che vanta cultivar tipiche antiche di frutta (albicocche e pesche fra tutte), di grano (Dieti, Gentilrosso, Inallettabile, Frassineto, Verna, Margotto, Abbondanza, Mec, Centauro, Belvedere ecc…) e ovviamente anche e soprattutto a livello ampelografico contemplando all’interno dei propri autoctoni, oltre ai più noti Sangiovese, Trebbiano Romagnolo, Albana, Pignoletto e Pagadebit, varietali salvati dall’oblio come il Famoso, il Centesimino, la Cagnina, l’Ancellotta, la Ruggine, la Lanzesa, il Tundè, il Verruccese, la Vercaccina e l’uva Longanesi solo per citarne alcuni.
Un patrimonio di cloni e biotipi che danno solo un’idea parziale della biodiversità di cui la Romagna è ricca, in quanto l’accezione che a me sta più al cuore di questo termine tanto in vigna negli ultimi anni è quella che va a valutare il contesto in cui queste coltivazioni vengono inserite. Contesti che, specie nell’entroterra, in Romagna godono ancora di una notevole presenza boschiva e di un’alternanza tradizionale ben presente fra vigne, frutteti, seminativo e qualche (questi più rari) allevamenti. Inoltre, il contesto pedologico, così vario e così influenzato dalla conformazione unica delle sue valli e dall’influsso del mare da un lato e degli Appennini dall’altro rende il panorama vitivinicolo romagnolo ricco di sfumature e sfaccettature che, se ben interpretate, possono regalare nitidi elementi di distinzione nel calice.
Da ricordare che la Romagna e più in generale l’Emilia-Romagna rappresentano una delle 4 aree vitivinicole regionali con la più alta densità di superficie vitata in biologico in Italia e che la Romagna stessa è stata pioniera della lotta integrata prima e del bio poi partendo da un comparto cooperativo molto attento ai temi della sostenibilità e vedendo sempre più realtà medio-piccole convertirsi ad una conduzione agronomica più accorta e rispettosa.
Focus sul Sangiovese
Il Sangiovese è il vitigno a bacca rossa più coltivato d’Italia, eppure è anche uno dei varietali capaci dei più grandi exploit enoici e di manifestare l’identità del suo territorio ospite in modo netto e, a volte, inaspettato.
In un’Italia che vanta oltre 600 varietali autoctoni, spesso, radicati in areali dai confini di demarcazione invalicabili, non è semplice trovare un vitigno capace di poter offrire una panoramica più ampia di quelle che sono le peculiarità di zone e sottozone differenti di diverse regioni del Bel Paese. Tolti i vitigni alloctoni, infatti, è proprio il Sangiovese a poter fungere da interprete del numero più importante di “lingue” e di territori, proprio come ha dimostrato di poter fare con l’areale romagnolo e le sue sottozone.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una fase di vero e proprio “Rinascimento” della Romagna del vino, con un territorio che ha preso coscienza delle potenzialità delle proprie macro e micro aree, analizzandone dapprima le peculiarità e assecondandone poi le la specifica vocazionalità, vedendo nel Sangiovese il veicolo più fedele e virtuoso per trasmettere questa nuova fase della viticoltura e dell’enologia locale.
Una conduzione agronomica più accorta, rese più basse e un approccio enologico più rispettoso del varietale e proteso all’equilibrio e all’eleganza hanno portato nel mio calice, e in quello di molti amanti del vino, dei Romagna Sangiovese DOC sempre più in linea con ciò che ci si può e ci si deve aspettare da un areale vocato come quello romagnolo, specie in alcune delle sue sottozone.
Come sempre, ci vogliono anni per far percepire il cambiamento, ancor più se si tratta di far rivedere generiche ma diffuse opinioni riguardo un prodotto particolare come il vino. Oggi, la massa critica è stata raggiunta e questo grazie al lavoro di squadra delle aziende appartenenti al Consorzio Vini di Romagna che dal 1962 tutela le produzioni di questa regione e in particolare il Romagna Sangiovese DOC.

Il Romagna Sangiovese
Per quanto concerne il disciplinare di produzione il vino a denominazione di origine controllata “Romagna Sangiovese DOC” deve essere ottenuto da uve provenienti da vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica: Sangiovese dall’85% al 100%; possono concorrere, da soli o congiuntamente fino ad un massimo del 15%, altri vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione per la regione Emilia- Romagna.
L’areale comprende comuni nella provincia di Bologna, di quella di Forlì/Cesena, di Ravenna, e di Rimini.
I vini che è possibile produrre sono il Romagna Sangiovese DOC, Romagna Sangiovese “Superiore”, il Romagna Sangiovese “Riserva” DOC e il Romagna Sangiovese Superiore Riserva DOC ai quali si aggiungono i vini con diritto di menzione geografica aggiunta (MGA).
Se vi state chiedendo come mai stia scrivendo Romagna Sangiovese DOC e non Sangiovese di Romagna come gergale consuetudine è perché dal 2011 è stato adottato questa nuova denominazione, in concomitanza con il riconoscimento di dodici sottozone di produzione alle quali si uniranno quelle, sopracitate, di Imola e del riminese. La scelta del cambio di nome della denominazione dice molto sulla volontà di dare un taglio netto col passato e di scrollarsi di dosso una reputazione che nulla ha a che fare con lo stato attuale della produzione locale. Il territorio prima di tutto! Un dogma che accomuna le più grandi denominazioni al mondo e che, anche in Romagna, è stato recepito e, sono certo, porterà beneficio alla percezione del valore reale dei vini ivi prodotti.
Il Romagna Sangiovese oggi…
Alla luce delle visite in vigna e in cantina effettuate e degli assaggi fatti negli ultimi anni posso asserire, senza tema di smentita, che la crescita qualitativa dei Sangiovese è notevole e questo non solo grazie al lavoro delle realtà storiche che mai hanno smesso di credere in questo vitigno e in queste terre, bensì anche per merito di giovani aziende vitivinicole che hanno portato, step by step, una maggior consapevolezza dalla vigna al bicchiere, immettendo sul mercato vini sempre più identitari ed eleganti.
E’ palese che la voglia di togliersi di dosso il peso del passato e questa sottesa sudditanza psicologica nei confronti dei Sangiovesi toscani ormai sia passata al livello superiore e che un numero sempre maggiore di cantine stia portando avanti il proprio progetto enoico con grande personalità e una visione prospettica che permette maggior libertà espressiva ma orientata sempre all’apice qualitativo.
Questi fattori, unitamente alla sempre più importante presenza di aziende agronomicamente ed enologicamente rispettose del territorio e sostenibili, devono necessariamente fungere da stimolo per tutti coloro che, come me, bramano assaggi identitari nella loro espressione del territorio e del varietale.
C’è fermento nella Romagna del vino e mai come in questo momento storico vigneti, cantine, vignaioli e vini sembrano vibrare all’unisono e le vibrazioni sono molto positive.
Focus sull’Albana
L’Albana è un vitigno complesso, definito da molti un “rosso travestito di bianco” in virtù della sua particolare e ben presente componente tannica. Eppure, è proprio grazie alla sua complessità che questo varietale rappresenta, più di ogni altro, lo spettro potenziale di una terra intera dando origine ad interpretazioni che abbracciano praticamente tutte le tipologie di vino: secco fermo (d’annata o affinato), “macerato”, spumante (sia dolce che secco) e passito (anche con muffa nobile).
L’areale di produzione del Romagna Albana Docg comprende:
– Provincia di Bologna: 7 comuni.
– Provincia di Forlì/Cesena: 10 comuni.
– Provincia di Ravenna: 5 comuni.
Un territorio vasto che offre un range di espressioni che permettono di comprendere quali siano le possibilità di quest’uva ma che, al contempo, fanno riflettere su quali siano quelle più idonee a rappresentare la Romagna bianchista con picchi qualitativi importanti. A mio modo di vedere, se sul Sangiovese è la tradizione tradotta con consapevolezza tecnica odierna a garantire i migliori risultati, l’Albana sta vivendo una fase molto interessante di recondita sperimentazione con due “armi” molto interessanti da giocarsi da qui in avanti: la macerazione (utilizzata anche in piccole quote per arricchire le basi vinificate in bianco) e la spumantizzazione “secca” che, seppur non contemplata dalla Doc, avrebbe potuto affiancare gli spumanti base Pignoletto e il “Novebolle” marchio che rappresenta i Romagna Bianco Spumante DOC e Romagna Rosato Spumante DOC che, dal 2019, è possibile produrre da uve Trebbiano Romagnolo (minimo 70%) e Sangiovese (minimo 70%) da brut natura a “secco”.
Ovviamente non va trascurata la grande attitudine alla produzione di vini passiti botritizzati che questo vitigno ha dimostrato per merito di alcune realtà capaci di produrre alcuni dei migliori “muffati” italiani e non solo.
Queste le denominazioni che contemplano almeno il 95% di uve Albana (più un eventuale 5% di vitigni a bacca bianca autorizzati alla coltivazione in regione): Romagna Albana Docg Secco, Romagna Albana Docg Amabile, Romagna Albana Docg Dolce, Romagna Albana Docg Passito, Romagna Albana Docg Passito Riserva.
Altri vitigni
Tra le varietà che stanno riscuotendo più interesse ci sono, sicuramente, il Centesimino che stupisce con il suo corredo aromatico tra fiore e spezia e con la sua beva dinamica e mai scontata, e l’uva Longanesi che con il suo Bursôn, dopo anni di assestamento, sta trovando una coerenza espressiva in più realtà. Interessante anche la Cagnina (nome locale del Terrano) che da origine a vini verticali e dal buon grip tannico.
Tra le bianche il Famoso (Rambèla il vino che se ne ricava) può rappresentare una scommessa sulla quale puntare per la sua duttilità e piacevolezza. Interessante il potenziale del Rebola (nome che assume il Pignoletto in terra riminese), vitigno presente in zona da almeno 600 anni, che esprime grande coerenza con quella che è la sua terra di riferimento in termini di dinamicità e prospettive di abbinamento.
Una nota a margine va fatta sul Trebbiano Romagnolo, tanto bistrattato in quanto largamente coltivato per produzioni massive ma altrettanto interessante quando allevato e vinificato con mire qualitative importanti, portando nel calice vini molto contemporanei in cui freschezza, dinamica di beva e sapidità si susseguono senza alcuna forzatura.
E’ fondamentale che la Romagna tuteli il suo patrimonio ampelografico (bassissima la presenza di vitigni alloctoni) e si distingua anche attraverso le espressioni di questi vitigni “reliquia” ma, al contempo, trovi piena consapevolezza di sé a prescindere dal varietale. Sì, perché è solo dando maggiore centralità al territorio e slegandosi dall’eccessiva attenzione al singolo vitigno che si può uscire dall’impasse in cui per anni ha vissuto questo territorio. Un territorio grande nelle dimensioni e, ancor più, nel potenziale che dimostra vocazione e dedizione grazie e soprattutto al tessuto di piccole e medie aziende agricole virtuose che, di annata in annata, cercano di portare in bottiglia le proprie unicità nel rispetto della propria identità romagnola.
Considerazioni generali
La Romagna, come detto più volte nello sviluppo di questo pezzo, vanta un patrimonio solo parzialmente esplorato ma ha iniziato un percorso di valorizzazione delle proprie unicità che la porterà, a mio parere, a stupire per concretezza e continuità nei prossimi anni. Se esistono dei limiti, oggi, non sono più quelli legati allo strapotere delle cooperative e dei grandi gruppi che – per quanto distanti dalle mie attenzioni particolari – hanno sostenuto il tessuto economico locale e danno, tutt’ora, lavoro a migliaia di persone, bensì sono da ritrovarsi nella mancanza di fiducia nei propri mezzi che vede operare con il freno a mano tirato le generazioni addietro. Ho riscontrato, altresì, nei giovani una visione più ampia e distaccata, forse meno consapevole ma allo stesso tempo meno imbrigliata da stereotipi, paradigmi anacronistici o errati metri di valutazione/comparazione. E’ proprio questo che mi fa ben sperare nel futuro di questo areale che già è stato in grado di presentarmi oltre 100 vini in degustazione, in rappresentanza di quasi tutte le denominazioni e le zone, con una qualità media molto alta e un raro connubio fra classicità e contemporaneità.
Penso che sia proprio questa la chiave che la Romagna debba giocarsi: quella di produrre vini dalla forte identità e dal piglio contemporaneo che nulla ha a che vedere con “la modernità scevra di tradizione” ma che punta all’elevazione di quelle caratteristiche territoriali e varietali che rispecchiano che i mercati più evoluti e i degustatori più esigenti vogliono trovare nel calice. Doti che i vini romagnoli possono avere e che i Sangiovese, in particolare, stanno già ottenendo. Bisogna solo crederci maggiormente e uno dei segnali più importanti può essere quello del posizionamento, da considerare al rialzo per vini che possono “osare” di più.
Per scelta non vi indicherò in questo articolo i migliori assaggi emersi dalla mia sessione di assaggio svoltasi qualche settimana fa, ma vi invito a tenere d’occhio le mie selezioni nell’arco dell’anno per comprendere quali sono stati i vini che di più mi hanno convinto, ribadendo che non mi sarei mai aspettato una qualità media così trasversale.
Nei prossimi mesi cercherò di completare il mio tour le prossime zone e sottozone e produrrò un report più approfondito in merito alle sottozone, che meritano un focus dedicato, comprese quelle delle province di Rimini e la zona imolese, destinate a rientrare nella nuova “zonazione”
Il mio invito, intanto, è quello di segnare in cartina l’areale romagnolo nella sua interessa per i vostri futuri tour enoici.
F.S.R.
#WineIsSharing