Ischia – Un’isola di vigne eroiche, vini identitari e vignaioli virtuosi

Il “mio” mondo del vino è fatto di grandi incontri, assaggi indimenticabili e, soprattutto, di luoghi incantevoli che solo grazie a questa passione sono riuscito a visitare.
Durante il mio ultimo viaggio in Campania ho avuto modo di vivere un’esperienza intrisa di suggestione e meraviglia, di quelle in cui sei sempre a bocca aperta per il fiatone dovuto alle pendenze dei vigneti, per lo stupore causato dalla bellezza dei paesaggi e per la possibilità di assaporare ottimi vini.
Parlo, ovviamente, del mio breve ma intensissimo tour per le vigne e le cantine di Ischia, un’isola dal magnetismo così potente da attrarmi anche in un momento in cui pensavo non avrei avuto modo di dedicarmi al vino.
viticoltura ischia
Il mio interesse per la viticoltura isolana e, in particolare, per quella ischitana è, da sempre, indotto dalla capacità di questi territori cinti dal mare di rappresentare delle vere e proprie enclave, dei piccoli continenti che vivono dinamiche storico-culturali e, in questo caso, colturali differenti da quelle della terraferma.
La vocazione dell’Isola alla viticoltura è nota sin dall’antichità, lo testimonia la coppa di Nestore, ritrovata nel comune di Lacco Ameno, sulla quale è incisa la frase “Di Nestore… la coppa buona a bersi. Ma chi beva da questa coppa, subito quello sarà preso dal desiderio d’amore per Afrodite dalla bella corona” che sembra inneggiare al buon vino locale.

Sembra, altresì, che la coltivazione della vite sia stata introdotta dagli Antichi Euberi e per questo il sistema di allevamento richiama la tradizione greca e non quella etrusca adoperata nel centro Italia e in molte zone della Campania.
Il vero e proprio boom della produzione vitivinicola ischitana, però, si ha nel 1500, grazie al commercio del vino bianco sfuso, esportato via mare verso i più importanti mercati italiani e stranieri.
Migliaia di carrati venivano caricati sui velieri da trasporto (vinacciere) che per secoli hanno solcato i mari rappresentando l’unico veicolo commerciale dall’isola alla terraferma.
Oggi, Ischia è sicuramente più famosa per il turismo, per le terme e per la bellezza dei contesti paesaggistici e solo marginalmente per i suoi vini di territorio, eppure la storia di cui sopra e quella più recente ne attestano una qualità indiscutibile. Una vocazione così forte da portarla ad essere ricoperta di vigneti, fino ad arrivare a ca. 2400ha vitati attorno agli anni ’40. Con l’avvento del boom economico e del turismo, a causa di speculazioni edilizie e di una visione poco accorta della gestione del patrimonio naturale e paesaggistico ischitano, gli ettari diminuirono scendendo sotto ai 1000ha (ca. 900) negli anni ’90 per poi stabilizzarsi sui ca. 300ha odierni.
Un patrimonio vitivinicolo ed ampelografico dilapidato ad una velocità inaudita che è stato salvaguardato solo ed esclusivamente da pochi virtuosi vignaioli.
Basti pensare che, un tempo, si annoveravano fra i vitigni coltivati uve quali Agrilla (o Arilla), Biancolella, Catalanesca, Codacavallo, Coglionara, Fragola, Lentisco, Lugliese, Malvasia, Moscatella, Nocella, Pane, Sanfilippo, Sorbisgno, Zibibbo, Verdesca, Uvanta, Campotese, Montonico e altre che assumevano nomi differenti in base all’area di coltivazione, tanto erano connaturate alle singole parcelle e legate alle singole famiglie di vignaioli.
Oggi, i varietali maggiormente coltivati sono molti meno e, seppur permanga la presenza di alcuni resilienti ceppi delle uve autoctone sopracitate, sono Biancolella e Forastera – fra le bianche – e Pèr’e Pallummo (Piedirosso) e Guarnaccia – tra le rosse – a rappresentare il fulcro della viticoltura isolana.
Mi piace pensare che Ischia venisse chiamata “Isola Verde” non solo per il particolare colore delle pareti di tufo del Monte Epomeo, ma anche per le sfumate tonalità di verde che avevano i muretti a secco (parracine) fatti con quella stessa pietra vulcanica per anni a contatto col mare e, ovviamente, per l’impatto visivo che poteva dare la superficie vitata di un tempo, unitamente alla grande presenza di boschi e vegetazione in cui dominano specie endemiche.
Una biodiversità che, per nostra fortuna, resta pressoché invariata nonostante l’edilizia si sia messa d’impegno per ridurre la quantità di verde presente sull’isola.
E’ proprio questo fattore ad avermi spinto fino ad Ischia, curioso di scoprire le particolarità della viticoltura locale e le varie espressioni di un’identità territoriale che vanta una miriade di sfaccettature dovute al grande frazionamento dei vigneti e, di conseguenza, alle caratteristiche di ogni singola parcella in base alle condizioni pedoclimatiche e alle scelte del vignaiolo.
Sì, perché ad Ischia molti dei vignaioli storici sono e restano solo produttori di uva, allevatori di viti fedeli e gelosi del proprio piccolo fazzoletto di terra che mai venderanno ma dal quale saranno lieti di ricavare i grappoli che contribuiranno alla produzione di vini delle più importanti cantine ischitane.
Questo lavoro di squadra fra produttori – che a loro volta conducono i propri vigneti – e viticoltori – che operano, spesso, con la supervisione dei produttori ai quali conferiscono le uve da anni e secondo le loro indicazioni – rappresenta la forza di una viticoltura che, altrimenti, sarebbe impossibile da gestire in quanto oltre al frazionamento e alla distanza tra ogni parcella di vigneto l’aspetto più complesso da gestire sono le operazioni agronomiche in un contesto in cui la meccanizzazione è quasi ovunque impossibile.
Molti si aspetterebbero una viticoltura costiera, ma la realtà è che quella di Ischia è una viticoltura eroica, che pur guardando al mare ha più aspetti in comune con quella di alta collina o, addirittura, di montagna. Vigneti che partono da 200m slm e arrivano fino a oltre 600m slm con pendenze che definire proibitive sarebbe un eufemismo, tanto che non è raro imbattersi in monorotaie, unico ausilio meccanico per il trasporto delle cassette in vendemmia.
Vendemmie che impongono accorgimenti come quello di legarsi con delle funi per calarsi nei meandri di vigneti impervi, racchiusi tra rocce e scarpate, dove al solo trovare quei ripidi terrazzamenti quale folle abbia pensato di impiantare un vigneto lì?! Ma la risposta che ti daranno i vecchi saggi è sempre e solo una: “Lì l’uva viene meglio!”.
Sono quegli stessi viticoltori che hanno hanno permesso alle nuove generazioni di produttori di vino ischitane di poter contare su una tradizione radicata e una qualità delle uve eccelsa.
Io, da par mio, ho voluto fare una vera e propria full immersion visitante le 6 principali realtà locali partendo dai vigneti e dedicandomi successivamente alle cantine e alla degustazione dei vini prodotti dalle singole aziende. Ho voluto visitare i vari versanti dell’isola e vedere coi miei occhi la grande fertilità dei terreni (molto ricchi di umidità nel sottosuolo e di potassio) e l’eroicità dei vigneti che, in particolare nel versante settentrionale dell’isola (da ovest a est) arrivano a pendenze del 50-60%.
Doti territoriali e virtù umane che devono essere percepite con orgoglio e consapevolezza dagli stessi produttori che non possono e non vogliono più vivere l’insularità come una clausura, un confinamento geografico che impedisca loro di aprirsi al mondo.
Alla condizione di segregazione che rischia l’isola si aggiunge l’arma a doppio taglio del turismo che da un lato permette a tutti i produttori di vendere i loro vini per gran parte in loco ma dall’altro impone dinamiche di concorrenza che non possono basarsi sulla sola qualità, bensì devono tener conto dell’aspetto economico. Spesso, nelle località in cui il turismo permette di vendere molto del vino prodotto da piccole e medie cantine si soffre una condizione di stallo in termini di elevazione generale del vino locale. Questo perché con le vendite più o meno assicurate si teme di incappare in errori di valutazione o di perdere questo trend positivo cambiando, seppur in meglio, il proprio approccio in bottiglia e a scaffale.
Un discorso che ho avuto modo di affrontare con i virtuosi produttori che ho incontrato ad Ischia e ho riscontrato in loro la volontà di mostrare e dimostrare quanto i vini ischitani possano parlare al resto d’Italia e al mondo in modo nitido e identitario ma al contempo molto contemporaneo.
Ecco le realtà che ho avuto modo di visitare e di conoscere:
casa d'ambra
D’Ambra Vini: senza tema di smentita la realtà più rappresentativa dell’Isola, con una storia che affonda le radici nel lontano 1888, anno in cui la cantina viene fondata da Francesco D’Ambra, pioniere della vitivinicoltura ischitana e ancor più del commercio di vino sfuso verso il continente. E’ stato proprio “Don Ciccio” a trasformare un popolo di vignaioli in una vera e propria realtà imprenditoriale basata sulla conduzione dei propri vigneti e sulla valorizzazione dei singoli fazzoletti di terra gestiti dai vignaioli locali che conferivano le proprie uva all’azienda. Ma è, dapprima, grazie all’istrionico Mario e,poi, con il figlio Andrea D’Ambra, lungimirante enologo della famiglia, che dobbiamo il vero salto di qualità di questa cantina che oggi è guidata dalle figlie Marina e Sara. E’ proprio Sara, giovane enologa con all’attivo varie esperienze all’estero, a mostrarmi li nuovo corso aziendale che per quanto guardi al futuro non può prescindere dalla storicità del suo vigneto più rappresentativo: il Frassitelli. Vero e proprio cru dell’isola che da anni volevo visitare, inerpicandomi sui ripidi pendii in cui spicca il verde il tufo verde dell’Eponeo. E’ qui che trovo la prima monorotaia, forse la più tortuosa e lunga di Ischia, senza la quale sarebbe a dir poco proibitivo anche solo pensare alla raccolta. La Biancolella è il vitigno che rappresenta di più Ischia e questa realtà che ne ha fatto un vero baluardo della propria produzione. Ottimo il Frassitelli nella sua finezza e visione prospettica di un varietale che può e sa evolvere bene; molto piacevole e dinamica la Biancolella classica, tanto classica da conservare nel suo uvaggio un saldo di uve autoctone come Forastera, San Lunardo e Uva Rilla (per non più del 15% in totale). Vini dotati di impeccabile pulizia e precisione.
Importantissimo il progetto di ripristino della famosa “vigna dei mille anni” della quale si hanno testimonianze storiche datate 1036. Un lavoro portato avanti insieme al proprietario del vigneto, che ha permesso alla famiglia d’Ambra di produrre un rosso base Aglianico in un appezzamento tanto vocato da aver meritato riconoscimenti, per i vini ivi prodotti, sin dall’800. Un progetto virtuoso che fa onore a Casa d’Ambra.
pietratorcia
Pietratorcia: tre storiche famiglie contadine ischitane Iacono, Regine e Verde si uniscono per dar vita a questa realtà che prende il nome dalla grossa e pesante pietra (pietra torcia appunto) che serviva alla pressatura delle vinacce dalle quali otteneva, dopo fermentazione, un vinello (saccapane) utilizzato come bevanda dai vignaioli in campo.
7 sono gli ettari vitati nei quali si è scelto di reimpiantare varietà locali come la Biancolella, Forastera, Uva Rilla, la Guarnaccia, il Piedirosso, ma anche varietà più rare sull’isola come il Viognier, la Malvasia di Candia aromatica, il Fiano, il Greco, l’Aglianico e la Syrah. Anche in questo caso non mancano i vigneti dalle pendenze eroiche e i vini che ho avuto modo di assaggiare si sono dimostrati frutto di un’enologia contemporanea che non teme di attingere con rispetto e consapevolezza dalla tradizione. Interessanti le nuove sperimentazioni con macerazione sulle bucce della Biancolella e senza solfiti aggiunti. Molto piacevole anche il Tifeo Rosso (Guarnaccia e Piedirosso) capace di coniugare una buona intensità aromatica e cromatica ad una beva dinamica e saporita.
Davvero equilibrato e piacevole la vendemmia tardiva Meditandum (Biancolella 40%, Forastera 20%, Uva Rilla 10%, San Leonardo 10%, Malvasia di Candia Aromatica 20%), con un naso tutto giocato sulle tonalità mediterranee di macchia e di agrume con un sorso per nulla stucchevole grazie alla buona acidità e al moderato residuo.
Una realtà fatta di persone che credono nel vino ischitano e nella viticoltura tradizionale con un approccio enologico accorto e ponderato, di grande lungimiranza.
vigna del lume mazzella

Cantine Antonio Mazzella: era la cantina… o meglio… erano i vigneti che ci tenevo di più a visitare, in quanto la storia di Nicola Mazzella e della sua eroica viticoltura era già giunta a me tramite la cara Malinda Sassu coordinatrice di questo tour. Vigna del Lume è uno spettacolo per gli occhi ma è un attimo e una sensazione di ansia mista a incredulità mi assale pensando a chi dovrà lavorare in quel contesto. Eppure, non è solo il cru più noto dell’azienda a spaventare, in quanto la maggior parte degli appezzamenti che Nicola coltiva ha pendenze che raggiungono il 50%, molte a picco sul mare.

Per arrivare a vederne alcuni l’unico modo è stato percorrere antichi sentieri in cui già solo non scivolare in un dirupo è rappresenta una grande conquista.
E’ proprio camminando per questi sentieri e scorgendo i suoi vigneti che Nicola mi racconta della raccolta, la pigiatura e la torchiatura che vengono fatte rigorosamente a mano in loco,  per poi lasciar maturare il mosto in antiche cantine scavate nel tufo.
La difficoltà si fa necessità e la necessità diviene virtù quando il vino viene trasportato via mare con appositi contenitori posti su barchette di legno, dalla baia di San Pancrazio verso l’antico Borgo di Ischia Ponte, dove viene trasferito a Campagnano, dov’è situata la cantina Antonio Mazzella e, quindi, la sede di imbottigliamento.
E’ il duro lavoro in vigna ad aver temprato le 3 generazioni dei Mazzella che si sono avvicendate come custodi rispettosi e fieri di queste terre e del vino che ne scaturisce ma, nonostante la grande umiltà e l’animo gentile, è stato proprio Nicola a far fare il salto di qualità a questa azienda. Lo ha fatto comprendendo che all’esperienza in vigna andava abbinata una rinnovata competenza in cantina, perché è solo conoscendo a pieno la tecnica enologica che si possono produrre vini puliti, eleganti e sinceri nella loro identità varietale e territoriale. E’ solo sapendo “cosa fare” che si può sapere “cosa non fare”, lavorando così in sottrazione per raggiungere la purezza degli aromi e dei sapori. E’ questo che trovo nei vini di Nicola Mazzella: Ischia in purezza!
In particolare Vigna del Lume esprime la personalità fine e delicata della Biancolella, ancora fresca nel frutto e nel fiore, dritta ma non esile (grazie alla permanenza sulle fecce fini) al sorso. La chiosa è minerale, sapida, di vulcano e di mare. Un vino luminoso di nome e di fatto. Ottimo anche il Villa Campagnano che esprime al 50 e 50 i due vitigni simbolo dell’enologia bianchista ischitana, ovvero Biancolella e Forastera, con un naso ben definito e spigliato e un sorso intenso, fiero e salato.
tommasone vini ischia
Tommasone: la storia della cantina Tommasone vanta un trascorso di oltre 250 anni.
La cantina nasce nel ‘700, in località Fango nel piccolo Comune di Lacco Ameno, ad opera della famiglia Tommasone.
Dal momento della fondazione ad oggi sono state 5 le generazioni della famiglia che si sono avvicendate alla guida di questa piccola e virtuosa realtà.
E’ nel 1870 con Bisnonno Pietro, figlio di contadini, che l’azienda inizia a produrre vino sfuso , dando il là a quella che sarebbe diventata l’odierna Azienda Agricola Pietra Di Tommasone.
Dopo Pietro, fu il figlio Tommaso a prendere le redini dell’azienda finché non gli successe suo figlio, Antonio Monti.
Nel 1980 dopo la perdita del papà Tommaso, Antonio emigrò in Germania dove aprì un ristorante e conobbe sua moglie Birgit, dalla quale avrà due figlie: Lucia e Barbara.
Il richiamo dell’Isola e della terra, però, era troppo forte tanto che a metà degli anni ’90 Antonio decise di produrre vino ad Ischia, nella vecchia cantina dei suoi avi, opportunamente restaurata, con accorgimenti tecnologici nuovi per l’isola.
Anche i vigneti vengono ripristinati, reimpiantando vitigni tipici dell’isola come Biancolella, Forastera, Per’e Palummo e Guarnaccia ma anche altri varietali quali l’Aglianico, il Montepulciano e qualche filare di Cabernet Sauvignon. Ad accogliermi in azienda sono stati Lucia (figlia di Antonio) e il suo compagno di vita e di cantina, grazie ai quali ho avuto modo di scoprire il nuovo corso dell’azienda e comprenderne a pieno le potenzialità. Lucia ha studiato viticoltura ed enologia e la sua preparazione è seconda solo all’amore che prova per queste terre e vi basterà assaggiare i loro vini nella terrazza panoramica di poco sopra alla cantina per rendervi conto di quanto sia privilegiata quella posizione.
I vini di Tommasone sono intensi, integri nel frutto e nella loro vena acida. Se la Biancolella è, senza ombra di dubbio, la punta di diamante dei vini di Lucia a colpirmi particolarmente è stato il Per’e Palummo in un’interpretazione molto coerente del varietale per frutto e speziatura naturale. Il sorso è spensierato ma non scontato, disteso e dalla mineralità vulcanica. Interessanti anche le prime spumantizzazioni metodo classico sia in bianco (Biancolella e Forastera) che Rosè (Aglianico). Una piccola realtà con una visione internazionale che sta dando lustro alla viticoltura ischitana.

crateca vini
Crateca: una realtà familiare che vede i 3 fratelli Castagna Arnaldo, Giampaolo e Piergiovanni dedicarsi alla vigna e alla cantina con encomiabile dedizione e passione. Una passione così sviscerata e contagiosa da aver attirato nelle dinamiche aziendali anche le nuove generazioni che cercano, a loro modo, di dare un contributo positivo e propositivo.
Scalare, uno ad uno, i terrazzamenti dei circa 2 ettari di vigna di Crateca che dominano la cantina toglie il fiato per un bilanciato mix di fatica e bellezza.
Il lavoro di ripristino di questi antichi terrazzamenti è stato imponente, là dove c’erano ormai bosco e sterpaglie oggi sono le parracine a disegnare i profili di veri e propri giardini in cui le viti seguono le curve della collina a 250m slm, abbracciate da altre colture e protetti dal bosco.
La conduzione agronomica e quella enologica sono più che rispettose e ad impressionare sono le dotazioni di cantina che questa piccolissima cantina ha messo a disposizione dell’enologo Marco Esti per la produzione di vini dall’impeccabile pulizia aromatica al naso e dalla  grande precisione varietale e minerale al sorso. Mare e vulcano, vento e terra si incontrano in vini intensi, forti di una personalità molto riconoscibile che mostra una volontà chiara di stupire con espressività mai scontate ma, al contempo, fedeli alla tipicità dei varietali ischitani e di queste terre.
I bianchi lavorati in completa assenza di ossigeno, con grande controllo del freddo e riduzione drastica della solforosa, sono netti, taglienti e la Biancolella rappresenta, a mio parere, già un riferimento per la vinificazione del varietale sull’isola. A colpirmi particolarmente, però, è il Rosato che pur essendo prodotto da uve Aglianico (più tipico della terraferma che dell’isola) dimostra quanto l’isola possa esprimere anche nella vinificazione in “rosa”, portando nel calice un vino dal frutto integro e invitante, fine nell’abbraccio floreale e nelle tonalità minerali e balsamiche. Un sorso denso ma slanciato, piacevole nel contrasto fra la succosità del frutto e la sapidità del finale.

cenatiempo
Cenatiempo: last but not least eccomi arrivato a casa di Pasquale Cenatiempo autoctono vignaiolo schivo ma dal cuore buono e di sua moglie Federica luminosa e estroversa bolognese trasferitasi sull’isola per amore. Una realtà che mantiene in vita il ricordo dell’Ischia del vino sfuso commerciato via mare, grazie alla cantina situata ancora sul porto di Casamicciola, ma che ha il suo cuore pulsante nella proprietà sulla collina Kalimera in cui Pasquale e Federica mi accolgono. Una cantina del ‘600 scavata nella roccia ospita ancora lo storico aziendale e regala una fotografia unica di quello che erano il vino e l’enologia dell’isola anno addietro. Impossibile non restare affascinati dal tour nei cunicoli di una cantina così intrisa di storia e di empirica saggezza.
E’ dal 2005 che Pasquale inizia a condurre vigneti di proprietà e in gestione per la produzione dei propri vini, cercando sin dal subito di convertirli ad una conduzione più accorta e rispettosa in regime biologico e secondo alcuni principi dell’agricoltura biodinamica. Il vigneto che ho modo di visitare è proprio quello adagiato sulla sommità della collina Kalimera, a 450m slm, dove nasce l’omonimo cru di Biancolella, luminoso e sferzante nella sua tipicità con una vena artigianale che non trascende la pulizia, anzi conferisce al vino una personalità integra e riconoscibile. Lo stesso vale per tutti i vini assaggiati e, in particolare, per la Forastera che tra quelle assaggiate durante il mio girovagar enoico sull’isola è stata la più convincente per fedeltà al varietale e completezza dello spettro organolettico naso-bocca. Al frutto e al fiore tipici della Forastera si aggiungono note balsamiche mediterranee e la bocca è molto coerente con una chiosa salina che da inerzia al sorso. Anche il Rossi mostrano un’attitudine sincera nell’esprimere al meglio varietale e identità territoriale coniugando un fare artigiano ad un sapere consapevole e attento che tiene alla larga difetti di sorta.
Una cantina fatta di persone dalla grande umiltà che produce vini garbati e profondamente armonici che stupiscono per la coerenza lungo tutta la linea.
wine blogger francesco savrerio russo
Ischia è un luogo che cattura l’anima e portando il corpo in luogo dalla suggestione, a tratti, sconvolgente. Sono anni che coltivo la mia passione per la viticoltura eroica e per le rare e caleidoscopiche micro identità territoriali di cui l’Italia è costellata ma mai come questa volta mi sono stupito, meravigliato e, a volte, persino arrabbiato per cotanta bellezza e vocazione. Rabbia positiva, la mia, indotta da un potenziale solo parzialmente sfruttato che sono certo verrà sempre più compreso e sempre meglio interpretato ed espresso da questo manipolo di realtà virtuose votate alla qualità dalla vigna al bicchiere, capaci di far tornare grande la viticoltura ischitana e di portarla ancor più in alto, verso vette che guardino al mare e alla terraferma con l’orgoglio di chi sa di avere fra le mani qualcosa che nessuno al mondo potrà mai mettere in bottiglia: Ischia.

F.S.R.
#WineIsSharing

P.S.: Ringrazio di cuore Malinda Sassu per l’organizzazione e i vignaioli ischitani per la grande attenzione dedicatami.

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