Da quando gravito attorno al mondo del vino ho sempre cercato di atterrare al centro delle “cose”, il più vicino possibile alla vigna e ai vignaioli che fanno del rispetto del territorio, dell’uva e, quindi, di sé stessi e di chi berrà i loro vini i loro valori fondamentali e imprescindibili. Ho scelto di raccontare storie vere di persone vere che nulla hanno a che fare con dinamiche che già dobbiamo sopportare attraverso questioni politiche in un paese che non sembra mai trovare un suo equilibrio. Nel mondo del vino l’equilibrio è possibile e in molti casi esiste nella coesione fra produttori, nella bellezza e nel rispetto profuso in alcuni territori e in un sempre più garbato approccio agronomico ed enologico.
Forse è proprio per questo che l’enosfera non annoia mai con le sue infinite sfaccettature, ognuna di esse osservabile ed interpretabile a sua volta da punti di vista differenti.
Eppure, c’è una cosa che in questi anni mi ha sempre tenuto lontano da certi contesti e alterato per certi versi: le continue diatribe.
Sembra quasi che il mondo del vino non possa e non sappia sopravvivere senza continui scossoni critici e dialettici e forse è davvero un po’ così… o forse è la comunicazione enoica a non saper più dove andare a parare per fare un po’ di facile audience!
Non sarebbe poi così strano, dato che i quotidiani nazionali cercano ogni giorno di propinarci nel più breve tempo possibile notizie scarne e deviate, spesso volutamente fuorvianti, al fine di ottenere più click, più like, più sharing e, quindi, più introiti della pubblicità online o più notorietà indotta dall’ormai sdoganatissimo teorema del Dio Social “basta che se ne parli”.
Chi ha avuto modo di conoscermi, in questi anni in giro per l’Italia e per il mondo, sa quanto le sterili diatribe, la forzosafaziosità e la mera critica non facciano per me ma, come mi ha detto qualche giorno fa un uomo molto più saggio di me, “il silenzio è d’oro quando bisogna ascolta, ma la parola è di platino quando è ora di parlare”!
Ecco perché a ridosso dell’ennesima vendemmia, mi ritrovo qui a scrivere del “conclamato nulla” che diventa “ineluttabile tutto”, della volontà di pochi che sposta masse che tanti non muoverebbero di un sol centimetro. Prendiamo in considerazione l’ormai annosa diatriba fra vignaioli convenzionali e vignaioli naturali: voi credete davvero che siano i vignaioli ad alimentarla? Per chi fa vino i problemi sono altri e sono per lo più legati alla propria attività, nel pieno rispetto delle filosofie enoiche di chi fa vino in maniera differente. Alla maggior parte dei vignaioli che incontro – forse sono fortunato, forse sono bravo a scegliere, ma la legge dei grandi numeri mi dice che la verità non è molto lontana da ciò che ho vissuto in prima persona! – non interessa altro che fare vino a modo proprio, secondo la propria concezione e secondo i propri principi in vigna e in cantina. Ecco perché demonizzare la figura dell’enologo è tanto sbagliato quanto affidarsi alla chimica di sintesi in vigna e in cantina se si vuole produrre vino di qualità con una forte identità varietale e/o territoriale; ecco perché pensare che si possa fare biologico ovunque, specie in annate non propriamente semplici, è davvero difficile e ciò che andrebbe fatto dovrebbe essere stimolare un dibattito più costruttivo e non esclusivo, distruttivo e limitante. Inutile, quindi, cercare a tutti i costi di dividere il vino in vini verticali e orizzontali, in una sorta di cruciverba in cui qualcuno vorrebbe farci credere ci siano solo 2 parole, monotone e omologanti, mentre di parole ce ne sono infinite e le più interessanti, “divertenti” e difficili da scovare sono quelle scritte in obliquo.
Potrei andare avanti per ore, ma il mio intento non è scoperchiare il vaso di Pandora, ma stappare bottiglie di vino e, ancor più, riportare l’attenzione sulla vigna e sui vignaioli perché a chi fa vino – e lo fa davvero! – queste diatribe ledono, e fanno solo perdere tempo! Qualcuno sarà bravo a cavalcarle per un po’, qualcuno ne farà la propria personale crociata, ma nel mezzo c’è una miriade di donne e di uomini che lavorano per produrre, ogni anno, ciò che ci da qualcosa di cui parlare, di cui scrivere, di cui riempirci bocca, mente e cuore.
Sono quelli i vignaioli che sanno che non si parte con l’idea di fare un vino più magro, esile e acido o, viceversa, più strutturato, grasso e alcolico se si vuole rispettare il prodotto di una determinata annata. Qualsiasi enologo o qualsiasi agronomo con un minimo di competenza e di sensibilità si è accorto di quanto sia sempre più difficile gestire le vendemmie in maniera mirata, avendo anche solo una vaga idea di ciò che sarà, perché se “non ci sono più le mezze stagioni”, fidatevi, non ci son più neanche i PH di un tempo e questo perché – che lo vogliamo o no! – il clima è cambiato e la congruenza anche solo accennata che poteva esserci in passato fra maturazione tecnologica e fenolica è, spesso, più complessa che in passato. Lo dimostrano annate come la 2003 e la 2017 in cui, in molti casi, il rapporto fra zuccheri e acidi negli acini dava risultati che inducevano alla raccolta con molte settimane di anticipo rispetto alla consuetudine (anche per un’annata calda e siccitosa), ma bucce e vinaccioli erano ancora immaturi e questo ha portato a difficoltà notevoli per molti. Molte delle pratiche consuete fino a pochi lustri fa, si stanno adattando o stanno cambiando, con non poche ansie per chi fa vino da anni ma anche per chi ha iniziato da poco e ha già vissuto annate “eccezionali” – in negativo – per le loro peculiarità. Ma queste sono storie che non interessano a nessuno… meglio sparare a zero su questo o quel vino e limitare tutto al “buono e cattivo”. Il vino non può essere ridotto a quella soluzione idroalcolica formata da sostanze contenute negli acini d’uva e da quelle prodotte dalla fermentazione del mosto e delle vinacce e non può essere solo un’etichetta, una certificazione, uno stile! Perché è questo e tanto altro e se il cliente finale, l’avventore occasionale, l’appassionato disinteressato non sono tenuti necessariamente a comprendere ciò che c’è dietro ad una bottiglia chi comunica dovrebbe essere obbligato a tenerne conto, perché troppe volte ci si dimentica di quanta fatica, incertezza e investimento ci sia dietro quelle meravigliose vigne in cui noi camminiamo per diletto, ma qualcuno macina km, sulle proprie gambe o sul trattore, per far portare a casa la “pagnotta” di annata in annata.
Eppure si alimentano le diatribe, quando ciò che andrebbe portato alla luce di tutti gli appassionati e gli addetti ai lavori è quanto sia cresciuta in maniera esponenziale la sostenibilità delle nostre vigne e delle nostre cantine e quanto in molti si stiano adoperando per eliminare tutto ciò che è superfluo barattando la chimica con l’esperienza e la competenza tecnica. E quando si parla di sottrazione (almeno per il sottoscritto) si deve partire dalla vigna con un rinnovato rispetto e la sincera volontà di lasciare a chi verrà una terra ancora sana, viva e capace di infondere la propria identità in quel meraviglioso tramite tra terra e uomo che è la vite e non dalla cantina cercando di scarnificare e alleggerire vini che rischierebbero di divenire un assurdo, una contraddizione in termini dati i cambiamenti climatici che di certo non agevolano la produzione di vini esili, ma tutt’altro! Ecco perché il problema non sono i vini “verticali”, i vini acidi e minerali (per quanto possano essere abusati questi termini) laddove si dimostrino in grado di rispecchiare un varietale, un territorio e una maggior identità, ma dovrebbero essere i “vini del controsenso”: quelli prodotti forzatamente che prescindono dall’annata come lo erano negli anni ’80 e ’90 i “marmellatoni”, “ciccioni”, “barricconi” e come rischiano di esserlo oggi da un lato i vini che mi piace definire “abbandonati” in quanto frutto di incuria e negligenza propinate come scelte. Ma ci sono anche i vini “esili-ati”, ovvero vini così esili da sembrare non essere passati per il palato ma esser stati esiliati direttamente al “gargarozzo”. Non vi nego che tra i due, comunque preferisco questo momento storico alla precedente era-enoica, ma che il vino che vorrei sempre ritrovarmi nel calice è frutto dell’armonia di ogni sua componente e in particolare del bilanciamento fra struttura e acidità, se poi vanta anche slancio e una buona agilità di beva, un bel finale minerale pur mantenendo forza, lunghezza e tenacia nel tempo ben venga! Ma non si può avere tutto dalla vita! Eppure non è né facendo di “tutti i vini un fascio” né criticando o cercando di screditare questi estremi che si fa del bene al vino in Italia, bensì è cercando di far comprendere quanto sia difficile, oggi, trovare equilibri acido-strutturali, con gradazioni ottimali, nonché eleganza, finezza, per non parlare del rischio di portarsi a casa tannini strappati, sabbiosi, verdi anche in annate calde che indurrebbero a pensare che l’unica cosa “facile” da ottenere possa essere la maturazione. Il focus, oggi, dovrebbe essere proprio su quanto siano cambianti i vini e quanto sia più complesso oggi produrre vini in linea con un palato globale che – per fortuna! – ha visto evolvere la propria curva gustativa verso spettri organolettici più equilibrati, capaci di esprimere una maggior identità varietale e territoriale senza un’incidenza troppo marcata di affinamento e uomo. Trovare equilibri, armonie con annate così differenti e estreme che si ripercuotono anche sulle successive, non è di certo come prendere uve surmature e farne un mosto da dimenticare per anni in barrique nuove nella speranza che il legno amalgamasse, ammorbidisse ed omologasse il tutto! Anche nei legni oggi c’è ancor più necessità di ricercare, di informarsi e di fare quello che i cugini d’Oltralpe hanno sempre fatto e che, probabilmente, ha permesso loro di essere sempre un passo avanti in termini di affinamento ed incidenza dello stesso sul vino. Lo stesso vale per i tappi, con chiusure naturali o alternative sempre più efficaci e rispettose di ciò che andranno a preservare. Il tutto con l’esigenza di fare vini più puliti in maniera meno “interventista”, preferibilmente privi di difetti sin dal primo naso e senza residuo zuccherino. “Ve pare facile?!?” Battute a parte, tutto deve partire dalla consapevolezza del lavoro in vigna e dal rispetto da parte di chi fa vino nei riguardi del proprio habitat e dell’habitat delle proprie viti-operaie, e da parte nostra – che godiamo del prodotto di quelle vigne bevendolo, assaggiandolo, scrivendone o semplicemente pubblicandone una foto su un social – nei confronti di chi quel vino lo fa. Non guasterebbe neanche un po’ più di rispetto intestino alle varie categorie (vignaioli, comunicatori, addetti ai lavori e appassionati), ma un po’ di pepe fa parte del gioco e lo capisco. Proprio per questo, lungi da me criticare chi vuole perorare la propria idea comunicativa e chi da anni ha valutato solo il vino, vedendolo come quello che effettivamente può essere per il mercato e per la maggior parte di chi ne usufruisce, ovvero un mero prodotto enologico con caratteristiche organolettiche più o meno adeguate al proprio gusto e peculiarità tecniche più o meno obiettivamente azzeccate… ma per me è impossibile prescindere da tutto ciò di cui sopra e sempre lo sarà, perché relegare tutto a numeri, prezzi, filosofie, fazioni e descrittori sarebbe come valutare un taglio di Fontana senza sapere cosa “c’è dietro” o un monocromo di Manzoni per quello che è fisicamente e non per quello che rappresenta nella sua essenza.
Poi, sapete cosa? I vignaioli – quelli che se ne fottono delle diatribe – lavorano per produrre ciò che può dar loro da vivere e, nella maggior parte dei casi, per far ottenere questo devono lavorare per produrre il meglio, in ogni annata!
I vignaioli – quelli sinceri – sanno che in un’annata come questa chi fa bio o chi è biodinamico è dovuto entrare in vigna con quantitativi di rame e zolfo importanti, tanto da far rimpiangere a qualcuno i sistemici ma soprattutto sanno che quest’anno non è stata un’annata difficile solo per le piogge primaverili e per gli acquazzoni e le grandinate estive (in molti areali italiani), bensì lo è stata perché la pianta non dimentica la sofferenza e lo squilibrio dell’anno scorso, non dimentica le “ferite” inferte dalle gelata di aprile, non dimentica lo stress idrico e non dimentica gli errori di chi ha male interpretato il decorso di certe dinamiche difficilmente già affrontate in passato.
I vignaioli devono affrontare questo e molto altro e lo fanno (il più delle volte!) con cognizione di causa e (ancor più spesso) con coraggio e dedizione e non hanno bisogno di diatribe, non hanno bisogno di faziosità. Perché?! Perché i vignaioli non sono politici! Le fazioni non esistono per loro volere, ma per il volere di chi comunica e di qualche leone da tastiera che per anni ha seminato vento senza raccogliere la tempesta che avrebbe meritato, mentre quella tempesta, magari, si abbatteva sui vigneti e sul lavoro di alcuni vignaioli come una scure.
Io sono stanco di ritrovarmi a leggere file e file di articoli, post e commenti in cui l’equilibrio è bannato, bandito, escluso a priori perché non fa audience! Voi no?! Tutto per far godere quei pochi che in questo marasma deviato e fuorviante ci sguazzano! Gli stessi che creano gruppi ad hoc sui social per poter massacrare il lavoro altrui senza il minimo rispetto perché, ormai, tutti si sentono autorizzati a sputare sentenze e a fare male… tanto sono solo parole su di uno schermo, scritte da dietro ad un schermo, ma che da quello stesso schermo possono raggiungere un’infinità di persone e creare scompensi, illusioni e far passare mezze verità per assunti assoluti e menzogne per dogmi. Certe persone parlano per i produttori, si arrogano il diritto di citare vignaioli ed episodi di vita e di vino tirando in ballo (spesso) persone che non hanno nulla a che fare con quelle diatribe e che si guarderebbero bene dal manifestare pensieri tanto taglienti e ficcanti quanto superficiali e lacunosi. Perché chi fa vino… chi fa vino per davvero… preferisce versarti il vino nel calice e parlarti guardandoti negli occhi della propria idea di vino senza dover coinvolgere altri “colleghi” utilizzando futili paragoni tesi a screditarne l’operato o il pensiero e ancor meno cercherà di inculcare il diktat del vino perfetto, perché fondamentalmente lui/lei fa solo il proprio lavoro e cerca di farlo nel migliore dei modi possibile… quello che per lui/lei è il migliore dei modi possibile! Ciò che di bello c’è oggi nel mondo del vino è proprio l’assenza di omologazione (per quanto qualcuno sostenga il contrario e per quanto in certi ambiti di certo l’andazzo possa sembrare proprio quello) e la facilità di accesso a vini radicalmente differenti. In parole povere “ce n’è abbondantemente per tutti i gusti!” quindi che ognuno faccia il vino che sente più nelle proprie corde e che ognuno scelga di bere, di comunicare e di apprezzare ciò che vuole senza automaticamente fare opposizione a tutto il resto. Perché non ha senso! Avrebbe molto più senso opporsi a certe pratiche agronomiche superate e dannose e a qualche operazione commerciale poco chiara, ma non a vini di una “razza” e vini di un’altra “razza”.
Il vignaiolo/produttore rispettoso, al massimo, indurrà in voi qualche dubbio – com’è lecito che sia! -, perché è dal dubbio che si può iniziare ad incamminarsi in un percorso di scoperta, di crescita e di miglioramento! Ma non getterà mai merda su un altro produttore (per quanto siamo umani e possa nutrire remore o addirittura provare astio nei confronti di qualcuno) perché sa che dietro alle sue bottiglie tanto quanto alle proprie c’è un lavoro in cui la conoscenza, l’attenzione, la pazienza e gli investimenti non bastano (aiutano, questo è certo, ma non bastano!) perché basta che il cielo si incazzi e “tutto” può essere vanificato e rimandato di 12 mesi.
Io giro l’Italia costantemente e, da anni, ormai organizzo incontri e confronti fra vignaioli e produttori di quelle che per molti sono fazioni differenti, ma che per me sono solo espressioni diverse dello stesso lavoro. Sì, il LAVORO! Sin troppo spesso ci dimentichiamo che fare vino è un lavoro e non un gioco, non un modo per aizzare le masse o per dettare mode.
Chi fa vino sa che il cambiamento verso una maggior sostenibilità è inevitabile e non è più solo una speranza; chi fa vino sa che i problemi veri non sono le lotte fra produttori “naturali” e convenzionali, ma è raggiungere un equilibrio sostenibile che permetta ad ognuno di lavorare nella maniera più rispettosa possibile ovunque, almeno in Italia, partendo (ad esempio) dall’eliminazione del diserbo ed evitando di annullare la biodiversità con li disboscamento e l’impianto selvaggio che sono stati effettuati in un passato non troppo distante; chi fa vino sa che ognuno oggi può avere il suo spazio, può far parlare il proprio vino e la propria realtà portando avanti il proprio approccio e la propria personalità.
Il mio timore è che noi italiani, tanto abili a vestire i panni degli allenatori quando gioca la nazionale, dei cuochi quando guardiamo una puntata di MasterChef o c’è da criticare un piatto al ristorante e, soprattutto, tutti politici quando c’è da avercela con qualcuno al governo (come direbbe A. Albanese:- Spessamente, qualunquemente!) a causa del web e ai social stiamo riducendo anche il vino a semplice argomento generico sul quale sparare a zero senza remore e dire la propria senza cognizione di causa e questo è un peccato! Perché i social potevano e possono ancora essere uno strumento per rendere il mondo del vino meno elitario e più “democratico” ma facendolo conoscere, attraverso una maggior facilità di accesso alle informazioni e un contatto diretto con quello che è il lavoro dei produttori e dei vignaioli. Ma, dopotutto, ormai ci curiamo fidandoci più di Google che del nostro medico e crediamo più alle Bufale che alle notizie verificate perché “troppo vere per essere vere” e perdiamo tempo a condividere catene e stronzate di ogni genere – scusate il francesismo – dopo terremoti, alluvioni e ponti che crollano, quindi il vino è l’ultimo dei nostri problemi! Purtroppo a vacillare e crollare sono ormai anche i nostri valori e di questo sembriamo non volercene accorgere.
Potrei andare ancora avanti all’infinito ma non voglio tediarvi oltre! Concludo solo suggerendo a chi ama davvero il vino di distaccarsi da certe diatribe e di andare a conoscere “certe” realtà senza pregiudizi, né da un lato né dall’altro, valutando con la propria capacità di discernere e secondo la propria esperienza i “perché” e i “per come” di ogni scelta, cercando poi di ritrovare quelle scelte nel vino da esse prodotto. Fotografate mentalmente le difficoltà, gli acini distrutti dalla grandine, il volto di un vignaiolo seduto a tavola di fronte a voi, apparentemente in pieno relax conviviale, mentre un tuono interrompe la vostra chiacchierata e lo sguardo si volge al cielo, mentre le mani si congiungono in segno di preghiera; ricordate quei grappoli turgidi, pieni, quasi pronti per la raccolta visti poco prima del tramonto, non esserci più la mattina seguente, decimati dai cinghiali; tenete bene a mente le parole di chi vi racconterà che non è tutto rose e fiori e che fare vino rende ricca economicamente solo una piccolissima percentuale di produttori in Italia, ma nonostante questo è l’unica cosa che, chi vi dirà queste parole, può, sa e vuole fare nella sua vita e della sua vita! Poi fate vobis… questo è solo un piccolo sfogo di un piccolo uomo che nel suo piccolissimo background di esperienza enoica ha avuto tanto più di quanto ha dato al vino ma al contempo vorrebbe continuare a dare facendo appassionare e riflettere voi che leggete, viaggiate, guardate, assaggiate e… bevete il prodotto di questo meraviglioso mondo giorno dopo giorno, con rispetto e positività.
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