Che io sia un inguaribile curioso è ormai appurato, ma raramente mi capita di aver così tanta fretta nel voler sapere di più di una realtà, sin dal primo assaggio, cosa che, invece, è sembrata quasi una naturale conseguenza della degustazione di questo Brunello. Non vi nego che la curiosità, in questo caso, era mista a sorpresa e quel pizzico di dubbio, che si ha sempre quando non si conoscere una realtà, soprattutto se di una zona che si bazzica spesso e si crede di conoscere, quanto meno, bene.Dubbi che ho voluto dipanare e lampanti certezze che ho sentito il bisogno di confutare, con fare più che critico, ma con la positività di chi si accinge a scoprire qualcosa di nuovo ed è così che ho preso contatti con la famiglia Vittori ed ho cercato di comprendere le dinamiche legate a questa azienda e la natura di un Vino che mi aveva così colpito nei sensi e nell’animo.Peccherò di poca modestia, ma raramente mi emoziono con Vini che non abbiano alle spalle componenti umane vere e sincere e, guarda caso, a Molino di Sant’Antimo ho trovato 3 dei fattori predominanti nella mia ricerca enoica:– conduzione familiare, ben assortita ed intrisa di passione e fatica;– umiltà e voglia di crescere step by step;– profondo rispetto per il territorio e per il Vino in sé.
Ma come nasce la Cantina Molino di Sant’Antimo?
Nel 1985 Carlo Vittori acquista le
prime terre nella parte sud sud-ovest di Montalcino, in prossimità
di Castelnuovo dell’Abate. Mentre crescevano le prime vigne di
Sangiovese Grosso, Carlo ricevette dal Cavalier Ciacci le
trecentesche rovine del Molino di Sant’Antimo, il cui restauro
terminò nel 1995… un posto davvero suggestivo dove ho avuto modo di passare qualche ora abbracciato dalla natura e cullato dal rumore dell’acqua che un tempo muoveva le pale del molino. Gli impianti più giovani di Sangiovese hanno già oltre 15 anni, in quanto impiantati di conseguenza all’acquisto del Podernuovo dei Campi, sede
dell’azienda e residenza della famiglia, che non poteva che vivere nel bel mezzo dei proprio vigneti. E’ “solo” nel 2001 che Molino di Sant’Antimo esce con la sua prima annata di
Brunello di Montalcino, quindi parliamo di un’azienda molto giovane, ma non di certo inesperta.

Vi parlavo, poco fa, di una conduzione familiare ben assortita, in quanto ad ogni membro spetta un compito ben preciso e la cosa più bella, che ho avuto modo di confutare coi miei occhi, è che ognuno cerca davvero di dare il massimo nel suo comparto senza andare ad inficiare il lavoro altrui e, per esperienza personale, quando si lavora in famiglia questo non è affatto scontato!
Giulia è l’addetta alle vendite,
cura i rapporti con i clienti, si occupa del ricevimento degli ospiti
in azienda ed è foriera di nuove idee creative.
Valeria si occupa della parte pratica e
produttiva; è responsabile di cantina e gestisce il lavoro nei
vigneti insieme a Carlo e a Maurizio Saettini, consulente enologico
ed agronomico aziendale. E’ giovane, ma sa già il fatto suo, ma ciò che è più importante, ha umiltà e dedizione da vendere!
Carlo, fondatore dell’azienda insieme
ai suoi genitori ed al resto della sua famiglia, si vuole definire
oggi un coadiuvante nell’attività, trasferita alle figlie. Un uomo tutto d’un pezzo, dallo sguardo buono e dal cuore grande, è palese.
Susanna si occupa della famiglia, del
ricevimento degli ospiti in azienda, ed è responsabile
amministrativo. Mi dicono che i pranzi preparati per turisti e clienti della Cantina sono tutt’altro che dei semplici “light lunch”.
Un vero team che, con grande sacrificio e dedizione, porta avanti un sogno che si concretizza giorno per giorno, ma che forse è solo all’inizio, tanta è la potenzialità di un’azienda che, a mio parere, ancora non si è ben resa conto di quanto sia speciale.
Io, da par mio, sono corso nei vigneti, per toccare con mano quei terreni in cui il calcare non manca e quelle piante che, da quando l’azienda ha avviato la conversione biologica, anelano a produrre uve sempre più grandi.
Se dovessi trovare un piccolo neo, potrei riferirmi alla frammentazione della produzione, in quanto l’azienda produce anche un cabernet sauvignon ed un chardonnay in purezza, ma in realtà, vedendo le vigne dalle quali provengono le uve che daranno vita a questi Vini, già presenti al momento dell’acquisto delle terre, ne comprendo il senso e, vi dirò, non sono affatto male, in particolare il cabernet sauvignon, intenso, verde e minerale, con una freschezza di quelle che si fanno bere per inerzia!
Il Brunello di Montalcino 2011 Molino di Sant’Antimo

La freschezza… è proprio l’equilibrio fra acidità ed eleganza del tannino, fra mineralità e struttura, che mi ha fatto strabuzzare gli occhi, nonché le papille gustative (si possono strabuzzare sì! Le mie almeno lo fanno!), sin dal primo sorso del Brunello 2011 di Molino Sant’Antimo. Naso elegante, che poi ho potuto confrontare con alcuni dei migliori Brunello di Montalcino della stessa annata, confermando le mie intuizioni, che al sorso diventavano sempre più nitide e sicure. Sapete quando anche alla cieca pensate di riconoscere un Vino in base all’identità e la personalità di chi quel Vino lo ha fatto? In questo caso è capitato e con una facilità disarmante, per un Vino che avevo assaggiato una ed una sola volta. Armonia tesa ad una complessità mai snob, di quelle che arrivano a tutti se pur in forme e dimensioni differenti e che passano per i sensi, prima di stanziarsi là dove tutto inizia e tutto finisce, per poi ricominciare e qui sotto lo vedete raffigurato ben 7 volte. Il motivo è semplice… quando Vino ed emozione si incontrano e dialogano in modo puro e senza doppifini, se il caotico garbuglio viene dipanato a primo naso e trasformato in certezza con un sorso, io sono felice e spero le farfalle che mi sento nello stomaco quando accade, non affoghino nel Vino, anche se sarebbe un bel mar nel quale naufragar! :-p

Non contento ho voluto strafare ed ho cercato nel Brunello riserva 2010 un passo falso o quanto meno un’omologazione che nelle annate più “semplici” è sempre dietro l’angolo, ma ciò non è accaduto, in quanto la cara, giovane, Valeria sembra aver già capito cosa serva ad un Brunello ed al Vino in generale, per far la differenza, quanto meno con me, ovvero quel tocco di personalità e di identità territoriale che non si ottiene in “laboratorio”, bensì grazie a quel giusto connubio, piuttosto che compromesso, fra perfezionismo e libertà, fra tecnica e creatività.
Lo so, raramente mi sbilancio così, ma altrettanto raramente mi capita di emozionarmi a tal punto da voler sputare (non il Vino, sia chiaro!) tutto ciò che ho dentro con tanta enfasi e quella sana componente di rischio che risiede, sempre, nell’espormi e nel consigliarvi un’azienda o un Vino in modo così convinto.
Va beh… se ora vi dicessi che mi è piaciuto anche il Rosso di Montalcino 2014 e che l’ho trovato specchio sincero di un’annata che ha frazionato Montalcino in aree buone, meno buone e non valutabili, e che la loro area rientrasse tra quelle meno inficiate dall’andamento climatico, soprattutto in epoca vendemmiale, pensereste qualcosa del tipo “quanto gli hanno dato questi?!?”, quindi non vi dico nulla… di più! Ah, sì… una cosa posso dirvela, se fossi in voi lo assaggerei!
Sono stati giorni intensi quelli passati tra Val d’Orcia, Montepulciano e Montalcino e devo ammettere che scoprire una realtà nella quale il condizionamento del nome, del marketing, del prestigio fosse pari a 0 è stato qualcosa di tanto interessante quanto emozionante e non vi nego che andarmene dal Molino, dove, se pur ormai non sia più possibile udirli, sembravano riecheggiare i canti gregoriani della meravigliosa Abbazia di Sant’Antimo, sia stato come lasciare uno di quei posti in cui ti senti a casa ancor prima di varcare la soglia.
Un molino che da il nome all’azienda e del quale vi accenno la storia, se pur vi inviti a farvela raccontare dalla famiglia Vittori, magari andando a visitarlo di persona:
“Il Molino
Arrighi, deve il suo nome all’antica famiglia che lo ha edificato nel ‘300.
Prima di diventare proprietà della famiglia Vittori, il Molino fu di Ciacci di Sesta un
uomo molto facoltoso e riluttante ad alienare proprietà immobiliari. Fu quando Carlo accettò questa proprietà, in occasione della chiusura di vecchi conti
relativi a prestazioni professionali per lui svolte, in maniera molto
singolare ed affettuosa, sorseggiando insieme un buon bicchiere di
Brunello, che il Molino divenne parte e simbolo dell’azienda. Sembrava fatta, ma dopo un primo sopraluogo Carlo si rese conto che il Molino non era altro che un
rudere ridotto davvero male e difficilmente recuperabile, seppur dal fascino
straordinario e dalla notevole rilevanza storica. Costeggiato da un torrente scavalcato da un suggestivo ponte
romano ed impreziosito da una roccia scolpita con quattro parole in
un italiano arcaico a testimonianza delle sue antiche origini, il Molino andava restaurato e fu cosa naturale
che l’Azienda prendesse il nome di “ Molino di Sant’Antimo “, una volta terminati i lavori. Così come naturale è stato scegliere come logo dell’azienda e delle
sue etichette il sigillo lasciato all’Abbazia di
Sant’Antimo dal primo vescovo PAOLVS che, percorrendo la via
Francigena alle volte di Roma, qui soggiornò.”

Storia di un territorio, di una famiglia e di un grande Vino, un’azienda, questa, che come poche altre racchiude nella sua essenza tutto ciò per cui scrivo e che non mi stanco mai di cercare, ma la soddisfazione più grande è poter condividere con tutti voi tali “scoperte”, che il mondo per assurdo già conosce da anni, ma che in Italia sono oscurate da un velo di intrigante mistero, che io ho sentito il bisogno di togliere nella speranza di aver stimolato la vostra curiosità e la vostra sete di Vino e di emozioni.
F.S.R.
#WineIsSharing
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.