Il Prosecco che vorrei – Incontro con due virtuosi vignaioli della Docg
Qualche settimana fa mi è successa una cosa di cui vorrei parlarvi nell’incipit di questo articolo.
Come di consueto, pubblicai sui social una serie di foto e di impressioni riguardanti alcuni dei vini assaggiati durante la giornata e tra essi figurava un Prosecco. Giusto il tempo di postarla e mi arriva un messaggio che recitava più o meno così “Da te non me l’aspettavo! Non puoi bere Prosecco!”. A prescindere dal messaggio e dal suo autore che rispetto e ringrazio per lo spunto di riflessione derivato dalla sua – confido – ironica boutade, quelle parole dicono molto sulla percezione generalizzata di quello che è il vino più discusso dei nostri giorni, ma anche quello di più successo, se per successo si intendono i meri numeri economico-commerciali.
Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a un vero e proprio boom del “brand” Prosecco, che per far fronte all’aumento esponenziale di richieste ha visto espandere la propria area di coltivazione in maniera altrettanto rapida e dilagante.
Eppure, se c’è una cosa che il vino ci insegna costantemente è che non si può fare di “tutta l’erba un fascio”, in quanto sta all’appassionato ed ancor più a chi il vino lo comunica scovare quei sottoinsiemi ricchi di qualità, sin troppo spesso oscurati da insiemi più grandi nei quali ricadono anche prodotti e approcci opinabili.
In questo articolo vorrei mettere in evidenza alcune differenze fra la DOC e la DOCG, fermo restando che in ambedue le denominazioni esistano produttori capaci di fare bene indipendentemente dai disciplinari.
La prima tutela dovrebbe venire dalle denominazioni, che hanno il compito di indicare un luogo di produzione ancor prima del vino stesso e nel caso della DOCG ad essere indicata è una zona vitivinicola fortemente legata al territorio e molto più contenuta della DOC. Inoltre, le rese di uva per ettaro sono decisamente minori, sia in termini di disciplinare che in termini di “spinta naturale” delle piante. Ma entrando nello specifico, quali sono le differenze tra Prosecco DOC e DOCG? Il Prosecco DOC può essere prodotto in tutto il Friuli Venezia Giulia e in tutto il Veneto ad esclusione delle province di Verona e Rovigo, mentre il Prosecco DOCG solo nella zona collinare compresa tra le due cittadine di Conegliano e Valdobbiadene e nella zona collinare attorno ad Asolo in provincia di Treviso. Quindi la differenza sostanziale risiede, genericamente, ancora una volta nel territorio e nella sua storica vocazione.
La viticoltura di collina è riconosciuta – con le dovute eccezioni – come quella di riferimento per una produzione di uva atta a divenire vino di qualità in quanto le pendenze consentono un’ottima esposizione al sole e il perfetto drenaggio. La collina, con la sua altitudine permette, sovente, anche maggiori escursioni termiche notte/giorno con i conseguenti benefici sull’equilibrio acido-strutturale del vino e sullo sviluppo dei precursori aromatici. Anche in questo caso possiamo trovare piccoli micro-areali all’interno della DOC in cui si riscontrano escursioni termiche importanti, ma in linea generale questa condizione è più presente nei vigneti collinari della DOCG.
Infine, nella viticoltura di colline, le pendenze impediscono, spesso, la meccanizzazione o almeno la riducono, evitando o diminuendo il compattamento e le operazioni standardizzate, in favore di una lavorazione manuale più accorta e rispettosa.
Detto questo, era inevitabile che tra le due denominazioni Prosecco Superiore Docg e Prosecco Doc, si sviluppasse una qualche forma di concorrenza e di competizione. I punti di contatto ci sono ma anche le differenze: l’uva è, per lo più, la stessa (Glera) e il metodo di spumantizzazione generalmente utilizzato è il Martinotti (più o meno lungo), anche se sono sempre di più i produttori che iniziano a cimentarsi con il Metodo Classico. Quanto al resto si tratta di collina “versus” pianura, rese per ettaro diverse (135 q.li “vs” 180 q.li) e superfici vitate in areali differenti per caratteristiche e dimensioni:
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Prosecco DOC – La zona di produzione del Prosecco DOC ricade nei territori di 5 province del Veneto (Treviso, Venezia, Vicenza, Padova, Belluno) e in 4 del Friuli Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine). Quando la raccolta delle uve, la vinificazione e l’imbottigliamento avvengono completamente nelle province di Treviso e Trieste, si può usare le menzione speciale Treviso o Trieste.
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Prosecco Superiore DOCG – All’interno della zona di produzione del Prosecco Doc, l’area della DOCG Prosecco di Conegliano Valdobbiadene e quella dei Colli Asolani sono invece più limitate e comprendono, da un lato, la fascia collinare che va da Conegliano a Valdobbiadene, in provincia di Treviso, dall’altro la zona che va dalla Pedemontana a Nervesa della Battaglia, incluse le colline di Asolo e del Montello.
Ormai avete imparato a conoscermi e sapete che per me l’equilibrio è tutto e prima di criticare qualcuno o qualcosa devo necessariamente andare a fondo, devo conoscere, devo raccogliere informazioni e dettagli utili a maturare una mia personale impressione a riguardo.
E’ per questo che ho deciso di partire per il Veneto e di visitare alcune delle zone più vocate alla coltivazione del vitigno Glera e più rappresentative delle storicità della viticoltura in terra di Prosecco.
L’areale che ho visitato è quello del Conegliano-Valdobbiadene, con il suo “cru” Cartizze.
Ad accompagnarmi in questo viaggio alla scoperta dei vigneti, dei terreni e dei micro-climi più espressivi della qualità che si può ottenere con il Prosecco sono stati due giovani vignaioli: Marco Rosanda e Pietro De Conti, rispettivamente i proprietari delle aziende agricole Col del Lupo e Cartizze PDC.
Ho potuto, così, vedere con i miei occhi le ripide pendenze dei vecchi e nuovi impianti collinari del Valdobbiadene e toccare con mano i fusti di viti centenarie ancora presenti e, soprattutto, ancora in produzione a Cartizze. Un patrimonio genetico, storico e qualitativo che va preservato e valorizzato, proprio come stanno cercando di fare Marco e Pietro.
Questi due giovani produttori si stanno dando da fare per elevare la percezione del Prosecco dei propri areali di produzione, che rappresentano la storia e le origini del Prosecco. Ecco perché ho deciso di condividere con voi il loro pensiero.
PDC – Pietro De Conti – Cartizze
“Il Cartizze è un’oasi naturale all’interno della quale, si genera un microclima ideale per la coltivazione della vite. Ci sono tre fondamentali proprietà che caratterizzano questa vallata:
Attraverso il canale che collega Alpi alla pianura soffia una brezza costante (da Nord-Est) che mantiene l’apparato fogliare della vite sempre arieggiato ed asciutto, prevenendo la formazione di umidità, principale causa dello sviluppo di malattie fungine (Peronospora, Oidio, botrite, muffe). La pianta cresce molto più forte e sana rispetto ad ambienti non ventilati, anche in annate con eccessiva piovosità. Questa caratteristica permette di seguire una tipologia di coltivazione sostenibile a basso impatto ambientale, limitando il volume di sostanze chimiche utilizzate in vigneto.
– ESPOSIZIONE SOLARE
La vallata del Cartizze forma una catena collinare che si alza di quota da Sud verso Nord (da 200 m fino a 350 m sul livello del mare). Le viti sono sempre esposte al sole, mai ombreggiate dai filari che stanno a monte o a valle dando l’opportunità all’uva di maturare in modo omogeneo e di sviluppare alti contenuti zuccherini all’interno dell’acino.
Il terreno argilloso e marnoso di formazione arenaria è ricco di minerali e garantisce un nutrimento costante alla vite.
L’argilla mantiene una scorta d’acqua che impedisce alla vite di entrare in crisi idrica in annate molto secche e allo stesso tempo ha effetto drenante in annate di elevata piovosità evitando la formazione di ristagni d’acqua e di umidità.
Grazie alla combinazione di questi 3 fattori, nel Cartizze le piante crescono in modo sano ed equilibrato in un ambiente che favorisce la loro durata nel tempo e che garantisce la produzione di mosti ben bilanciati.
Nascono vini con freschezza e sapidità marcate e di maggiore complessità aromatica.
Cartizze è il fiore all’occhiello di una DOCG che rappresenta la storia del Prosecco, vecchi vigneti coltivati a mano, in condizioni spesso difficili, dove le tradizioni hanno mantenuto vivi i principi della coltivazione di collina. Valdobbiadene è un insieme di uomini che da sempre ha dedicato la propria vita ai propri vigneti e con orgoglio continua a testa bassa, Conegliano la sede della scuola enologica più vecchia d’Italia, il Cerletti fondata nel 1876, Asolo zona collinare con simili caratteristiche alle colline di Valdobbiadene e con la possibilità di allargare “non troppo” la zona del Prosecco Superiore.
La confusione è molta, la maggior parte dei turisti/clienti non conosce la differenza tra le varie zone di produzione, fanno di tutta un’erba un fascio ecco che la parola Prosecco diventa sinonimo di: bollicina, aperitivo, vino economico.
L’Italiano inizia ad interessarsi a prodotti di qualità, ricerca e si documenta sulle varie fasce di Prosecco, tuttavia rimane sempre un buco informativo dovuto alla carenza educativa che i produttori ed i vari consorzi non hanno saputo trasmettere in questi anni di crescita del mercato.
Nel mondo per il momento esiste solo la singola parola Prosecco, tranne qualche appassionato di vini o professionista del settore la media non sa distinguere tra DOC, DOCG, CARTIZZE.
Sicuramente non aiuta il fatto che i tre consorzi anziché unirsi e farsi forza, si schierano l’uno contro l’altro inoltre anche la Denominazione stessa crea parecchie difficoltà:
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Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore di CARTIZZE
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Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG RIVE
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Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG
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Asolo Prosecco Superiore DOCG
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Prosecco DOC
Quale tra queste denominazioni crea meno ambiguità, è più semplice, più lineare, più pulita, pertanto più facile da ricordare per la mente umana? Mah… mi faccia un Prosecco!”
Col del Lupo – Marco Rosanda – Valdobbiadene
“La zona di produzione delle uve atte a produrre Conegliano Valdobbiadene DOCG spazia da Conegliano – San Vendemiano – Colle Umberto – Vittorio Veneto – Tarzo – Cison di Valmarino – San Pietro di Feletto – Refrontolo – Susegana – Pieve di Soligo – Farra di Soligo – Follina – Miane – Vidor -Valdobbiadene. Questo ciò che viene sommariamente scritto nel disciplinare. Chiaramente ci sono differenze sostanziali sotto vari aspetti. Partendo dal concetto che la Glera è una pianta vigorosa, essa non ha problemi a produrre se in presenza d’acqua (irrigazione di soccorso permessa da disciplinare) e in presenza di nutrienti, per cui, per ottenere delle uve di qualità è necessario per ovvi motivi limitare la vigoria per contenerne la produzione entro dettami da disciplinare. Le colline della zona di Valdobbiadene e dei paesi limitrofi presentano inclinazioni tali da non permettere l’irrigazione, ma per natura drenano molto le acque gravitazionali, sono per lo più terreni composti da arenarie e marne con alternanza di strati morenici alluvionali e rocce conglomeratiche. Sono, inoltre, terreni poco profondi che obbligano gli apparati radicali a spaziare il più possibile alla ricerca di nutrienti, esplorazione favorita e resa possibile anche dalla scarsa possibilità di meccanizzazione in collina e l’utilizzo di mezzi poco pesanti che non compattano il suolo.
A queste caratteristiche vanno aggiunti i vantaggi climatici. Se è vero che tutta l’area pedemontana garantisce buone escursioni termiche fra giorno e notte, questo fenomeno è particolarmente presente nei paesi più vicini a Valdobbiadene, per la presenza del Monte Cesen (1570 slm) alle loro spalle.
Vigneti posti in un’area più piovosa sì, in quanto pedemontana, ma con terreni ben drenati e caratterizzati da una rapida asciugatura fogliare, vigneti che con le loro inclinazioni permettono gradi zuccherini più elevati di altre zone e un mantenimento di un profilo acidico in particolar modo Malico ottimo: presupposti basilari per la realizzazioni di buoni spumanti.
I vigneti storici della zona del DOCG sono per lo più disetanei, con una percentuale di vecchie piante e con presenza varietale che spazia dalla preponderante percentuale di Glera a cultivar come Verdiso, Bianchetta e Perera che contribuiscono ad arricchire il profilo aromatico ma anche acidico dei mosti che verranno.
I contenuti di quelli che son detti aromi primari delle uve di questi vigneti sono decisamente superiori alla media, non solo come percezione, ma su base di analisi eseguite dal centro di ricerca per la viticoltura di Conegliano Veneto.
A queste caratteristiche che permettono di arrivare a uve di notevole qualità, vanno aggiunte delle conseguenze che mi piace definire inconsapevoli. L’accessibilità in collina come già detto limita la possibilità d’irrigazione e anche il già citato compattamento del terreno ad opera dei mezzi agricoli, ma anche rende impossibile la vendemmia meccanica (concessa a disciplinare) e impossibile l’utilizzo di recipienti come rimorchi di grande quintalaggio. Sono sempre di più infatti le aziende che hanno terreni in alta collina che operano la vendemmia in cassette, bins o quantomeno rimorchi molto piccoli garantendo poi pressature delle uve da manuale.
Le colline nell’area limitrofa a Conegliano sono molto più dolci, ciò favorisce la meccanizzazione dei vigneti e le varie operazioni colturali, gli impianti sono più moderni, mediamente più giovani, la presenza di altre cultivar è più limitata, l’irrigazione e la meccanizzazione più presenti con ottenimento di ottimi prodotti ma che indubbiamente differiscono da quelli precedentemente descritti. Va altresì sottolineato che in queste ultime zone la coltivazione in regime biologico è sicuramente più semplice da attuare, in quanto se pur in presenza di terreni più profondi, in zone meno ventilate e più umide, la meccanizzazione agevola di gran lunga i trattamenti.
Dal mio personale punto di vista il vero limite del biologico in zona di alta collina e quindi nella zona del Prosecco DOCG è l’utilizzo del Piretro: prodotto fotolabile che andrebbe utilizzato nelle ore notturne, ma trattare vigne impervie nell’oscurità è molto difficile da attuare.
Noi vignaioli viviamo questo momento felice di questo vino chiamato genericamente Prosecco con visioni molto diverse.
C’è chi sta investendo anche al di fuori dell’area docg, forte di questi ampliamenti di zona che permettono di acquistare e piantumare anche grandi superfici, ottenendo grandi redditività in poco tempo. C’è chi preferisce investire in terreni e vigneti in docg ma dove la meccanizzazione permette abbattimenti di costi di manodopera: scelta comprensibile per aziende con contratti di mercato in GDO dove il prezzo la fa da padrone. Infine ci sono piccoli vignaioli che si arrampicano coltivando le scoscese e ripide vigne decidendo di investire nella ricerca. A mio avviso questi sono quelli che soffrono di più, non vivono certo di stenti, anzi, ma antepongono la qualità e l’integrità del prodotto al valore economico.
Non è il solo fattore denaro la sola cosa che importa ma la soddisfazione personale, avere lo spazio economico per investire in innovazione in cantina, accoglienza, tutto ciò che concerne la comunicazione del proprio operato. Il maggior ostacolo a tutto ciò è purtroppo la scarsa conoscenza del nostro territorio, l’idealizzazione e la propensione a pensare vi sia un appiattimento di tutto il sistema Prosecco verso un sistema quasi industriale, con poco interesse alla tutela del territorio, dell’ambiente e della salubrità dei vini prodotti. Il Prosecco visto non deve necessariamente essere visto come un vino facile, semplice e low cost! Questa demonizzazione, enfatizzata dai social è molto demoralizzante.
Per combattere questa mala informazione ho sempre creduto nella collaborazione tra aziende, soprattutto comunicativa, ma tra vignaioli spesso è difficile se non in realtà come quella FIVI, associazione meravigliosa, in particolare la delegazione Vignaioli Trevigiani è fantastica, collaborativa, fatta di persone stupende, coordinate da Desirè Pascon Bellese che conosci, riusciamo veramente ad aiutarci a vicenda, a creare momenti didattici e confronti anche commerciali.
Inoltre, già da tempo collaboro come sai con Pietro De Conti, collaborazione sull’accoglienza, su qualche fiera. Confronti su temi burocratici, tecnici. Entrambe le aziende ne hanno indubbiamente giovato, sia sul piano visibilità che su quello dell’organizzazione aziendale. Molte sono ancora le idee ed i progetti comuni, degustazioni associate, passeggiate con percorso tra le vigne con spiegazione del nostro areale con cenni alle coltivazioni ma anche storici e colturali.
In definitiva, anche se non è facile comunicare il nostro operato, facciamo o no il più bel lavoro del mondo?”
Ho voluto riportare i pensieri dei due giovani vignaioli in quanto parafrasarli e/o cercare di sintetizzarli sarebbe stato inopportuno e avrei rischiato di privare le loro considerazioni di passaggi importanti dei quali abbiamo avuto modo di disquisire apertamente durante la mia visita. E’ stato davvero importante, per me, recarmi sul posto e vedere con i miei occhi quanto Marco e Pietro stiano facendo per preservare un patrimonio vitivinicolo che ha un valore che trascende il successo commerciale del Prosecco e va oltre le dinamiche di marketing.
Il loro lavoro deve, necessariamente, fungere da esempio e dar voce alla loro voglia di comunicare la propria terra per la sua reale valenza e per la bellezza di cui ancora dispone è qualcosa che ho sentito di fare perché molto conforme alla linea comunicativa e etica di questo wineblog, ma anche perché è bastato davvero poco per entrare in empatia con due giovani, come me, che cercano di dare il proprio contributo in maniera pulita e responsabile senza mai criticare i vicini, ma cercando di far valere la propria identità territoriale e la qualità dei propri vini, prodotti con estrema attenzione e profondo rispetto.
Non si tratta di un mero paragone fra DOC e DOCG, ma è palese quanto le generalizzazioni in merito al Prosecco danneggino queste piccole realtà che portano avanti un concetto di viticoltura che trascende le mode del momento e, spesso, sono proprio queste piccole aziende a non riuscire ad usufruire del successo commerciale del “brand” come realtà con un approccio diverso in zone più consone ad una produzione con più alta marginalità.
Per non cadere nella generalizzazione inversa, ci tengo a precisare che questo non significa che nella DOC non si può fare qualità o che non si può sostenere una viticoltura rispettosa (ci sono aziende “biologiche” che stanno cercando di elevare la qualità della DOC a prescindere dalle generalizzazioni), ma è altrettanto vero che in molti dei vigneti collinari della DOCG avere un approccio ai limiti della viticoltura eroica non è solo una scelta, bensì è un obbligo dettato dalle condizioni pedoclimatiche e dal dovere morale di preservare un patrimonio raro e prezioso. Questo deve essere valorizzato e deve rappresentare un valore aggiunto.
Mai come in questo caso la ricerca è e sarà fondamentale, quindi sprono ogni appassionato e ogni addetto ai lavori a non approcciarsi al Prosecco con i soli – spesso comprensibili – pregiudizi, ma di andare a visitare questi luoghi di rara suggestione che nulla hanno da invidiare alle più vocate aree vitivinicole italiane.
Il mio viaggio attraverso gli areali storici del Prosecco (la prossima volta cercherò di andare anche ad Asolo) si è tradotto in assaggi di grande piacevolezza, dalla spiccata freschezza e carichi di una minerale sapidità che sono in queste zone può manifestarsi in maniera così nitida. Vi segnalo tra i vini degustati:
Valdobbiadene Superiore di Cartizze Prosecco Brut Docg – PDC: si è distinto sin dal primo naso per una finezza aromatica non comune, che è stata ampiamente confermata dalla bollicina e del sorso capaci di creare un armonico connubio fra beva ed eleganza.
Valdobbiadene Prosecco Docg Col Fondo – Col del Lupo: uno dei rifermentati che di più ho apprezzato negli ultimi anni per pulizia e dinamica. Un naso che integra i lieviti al frutto in maniera equilibrata ed educata, un sorso dritto, asciutto, di grande piacevolezza.
In linea di massima ho apprezzato tutta la produzione delle due piccole realtà in questione, ma non vorrei dilungarmi troppo sugli assaggi in quanto il mio obiettivo, in questo viaggio, era quello di tornare a casa con le idee più chiare sul Prosecco e con una rinnovata fiducia in un vino che ha tanto da raccontare, da mostrare e da dimostrare in termini di bellezza e qualità.
Da sottolineare, inoltre, il fatto di aver assaggiato i vini di entrambe le aziende in un un’unica soluzione alla presenza dei due vignaioli, a testimonianza di una reale voglia di collaborare e di creare sinergie non solo commerciali, ma anche e soprattutto comunicative.
In fine, sapete come la penso riguardo il diserbo chimico e non posso che apprezzare la scelta dei sindaci di 15 comuni dell’area della DOCG di bandire totalmente gli erbicidi contenenti glifosato dai loro vigneti a partire dal 1° gennaio 2019, anche alla luce della candidatura delle colline del
Prosecco Conegliano Valdobbiadene a patrimonio dell’Umanità
UNESCO.Spero che questa piccola svolta funga da esempio e che molti altri areali facciano lo stesso.

La mia speranza è quella che si possa arrivare ad un divieto assoluto in tutti gli areali italiani alla faccia delle discutili e deviate scelte europee in materia.
Intanto, non posso che continuare a chiedere alle singole aziende di adoperarsi nel portare avanti una conduzione agronomica più rispettosa, cercando di creare dei distretti “bio” che nel caso del Prosecco, aiuterebbero molto a “ripulire” l’immagine generica e generalizzata del Prosecco. Qualche azienda della Doc lo sta già facendo e non posso che confidare che la cosa diventi “contagiosa”!
Mi piace pensare che alla lunga la qualità e il rispetto pagheranno anche di fronte alle leggi dei grandi numeri e del commercio e che a farsi strada saranno realtà sempre più rispettose e qualitativamente valide, capaci di puntare su una viticoltura accorta e su una comunicazione virtuosa. Solo in questo modo si potrà arrivare ad avere una massa critica capace di comunicare in Italia e nel mondo un Prosecco basato non solo sulla quantità e sul low cost, ma anche sulla qualità e un approccio in vigna e in cantina meno invasivo. Alcune aziende ci stanno provando, ma siamo solo all’inizio e spero non si debba arrivare a veder “scoppiare la bolla” del Prosecco per renderci conto che c’è bisogno di un cambiamento di rotta.
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