E’ passato un po’ di tempo dal mio ultimo viaggio fra vigne e cantine della suggestiva e vocata Isola di Ischia, ma riassaggiando il vino di una delle più importanti realtà vitivinicole ischitane ho sentito forte il bisogno di raccontarvene la storia.
Parlo delle cantine Antonio Mazzella, fondate da Nicola Mazzella nel 1940, ampliate dal figlio Antonio e oggi arrivate alla terza generazione con Nicola, giovane vignaiolo che porta il nome del nonno.

Siamo sul versante Sud dell’Isola, a circa 150 metri sul livello del mare, con vigneti raggiungibili principalmente a piedi attraverso antichi sentieri, rendendo complesso e dispendioso ogni fase della lavorazione.
E’ il duro lavoro in vigna ad aver temprato le 3 generazioni dei Mazzella che hanno visto avvicendarsi non solo vignaioli, bensì custodi rispettosi e fieri di queste terre e del vino che ne scaturisce.
Eppure, “l’uva di fa in vigna e il vino in cantina” e questo Nicola lo sa, comprendendo che all’esperienza in vigna va sempre abbinata un’adeguata competenza di cantina, perché è solo conoscendo a pieno la tecnica che si possono produrre vini nitidi, eleganti e sinceri nella loro identità varietale e territoriale; è solo sapendo “cosa fare” che si può sapere “cosa non fare” al fine di poter togliere ciò che è superfluo per raggiungere la massima espressività nel calice.

In particolare nel Vigna del Lume, vino simbolo dell’azienda che nasce da e in una vigna a picco sul mare, sulla stupenda isola di Ischia. Vigneti impervi, che io stesso ho voluto raggiungere rigorosamente a piedi con non poca fatica potendo solo immaginare quanta ne faccia chi vi lavora durante l’anno e chi tra qualche settimana sarà coinvolto in un’altra virtuosa vendemmia. Condizioni che rendono impossibile la meccanizzazione e hanno imposto alla famiglia Mazzella decisioni che hanno reso la storia di questo vino qualcosa di epico. La pigiatura e torchiatura delle uve raccolte a piena maturità avvengono in loco, in piccole grotte scavate nel lapillo. Il mosto viene poi trasportato via mare su barchette di legno alla volta della cantina sita nell’antico Borgo di Ischia Ponte dove il vino prosegue il suo percorso fino alla bottiglia.





Veniamo, dunque, al vino che mi ha spinto a scrivere questo pezzo come a voler ribadire l’unicità di una vigna, di un vino e di un approccio a cui sono particolarmente legato: il Vigna del Lume Ischia Biancolella doc 2020.
Riassaggiando quest’annata ho percepito sensazioni che ne hanno fatto la più sorprendente, tra le tante assaggiate di Vigna del Lume. Una Biancolella che convince sin dalla sua luminosità nel calice, per poi ammaliare con un naso aderente al varietale nella sua primaria evoluzione di frutta gialla, fiori bianchi, sensazioni minerali iodate e lievemente solfuree quasi a voler ricordare la natura pedologica dei terreni in cui affondano le loro radici le viti dal quale è prodotta. Un sorso ampio e slanciato, con una sapidità decisa e persistente ma al contempo il calore dell’Isola ad abbracciare il palato di un vino che non ha eguali in termini di genesi e di personalità. Gli equilibri fra forza e agilità, fra materia e acidità, fra frutto e mineralità sono frutto di una precisione artigiana di cui solo chi sa coniugare esperienza, sensibilità e competenza è dotato. Un grande bianco di una straordinaria terra!

Ci sono vini che hanno fatto della loro storia un valore aggiunto ma non sempre hanno atteso le aspettative. Il Vigna del Lume, nonostante la suggestione del racconto della sua nascita, è un vino intriso di umiltà e dedizione al lavoro e molti di coloro che lo assaggiano e lo apprezzano non ne conoscono la storia e, magari, mai la conosceranno. Per quanto mi dispiaccia, questo dimostra quanto oltre al racconto dietro alla bottiglia, ci sia anche un grande vino dentro alla bottiglia!
A parer mio, uno dei bianchi italiani che andrebbero assaggiati almeno una volta nella vita!

Ottimo anche il Villa Campagnano che esprime al 50 e 50 i due vitigni simbolo dell’enologia bianchista ischitana, ovvero Biancolella e Forastera, con un naso ben definito, fresco e spigliato nonostante la fermentazione in tonneau; il sorso è intenso, ampio, fiero e salino.
Interessanti anche i rossi nei quali gioca un ruolo fondamentale il Per’e palummo (nome locale del Piedirosso) che ho apprezzato molto nella sua espressione in purezza, nitida nel varietale, fresca nel frutto e intrigante nella speziatura naturale, con un sorso tonico, dinamico ed ematico.
Nicola e la sua famiglia meritano sicuramente una visita, come Ischia con i suoi vigneti, le sue cantine e i suoi vini merita ancor più attenzione dal punto di vista enoico, in quanto ricca di sorprese dalla vigna al bicchiere.
F.S.R.
#WineIsSharing
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