Le opinioni sull’annata 2023, il biologico, l’irrigazione, la vendemmia meccanica (e non solo) in un’intervista tripla a tre grandi agronomi italiani

Affrontare i temi riguardanti il cambiamento climatico e la futuribilità della vitivinicoltura per me è, da anni, un aspetto fondante del mio pensare, del mio scrivere, del mio dire e del mio fare enoici, ma per farlo nella maniera più opportuna è necessario attingere ad accreditate pubblicazioni scientifiche e, soprattutto, confrontarsi costantemente con esperti del settore che guardano al vigneto con obiettività e prospettiva. Per questo, al termine di un’annata di cui si è detto molto (forse troppo) ma in maniera spesso superficiale e fuorviante, ho deciso di condividere con voi le interessanti opinioni di tre professionisti che stimo e che operano sul territorio italiano (e non solo) riguardo alcuni dei temi focali dell’agronomia del presente e del futuro. A seguire troverete, quindi, un’intervista tripla a: Martina Broggio, Stefano Dini e Davide Ferrarese.

Quali sono i tuoi giudizi tecnici riguardo le criticità dell’annata 2023 e quali le considerazioni postume – se ce ne sono – che possono fungere da insegnamento per il futuro?

Dott. Agr. Martina Broggio – Quest’annata secondo me si può riassumere con un concetto: i cambiamenti climatici non significano solo carenza idrica, ma stanno mettendo a dura prova i vigneti, e le nostre strategie agronomiche, sotto molti punti di vista.
I piani agronomici storicamente utilizzati per la gestione dei vigneti andranno completamente rivisti o andranno resi molto più flessibili e capaci di adattarsi ad ogni evenienza, anche se un’unica certezza c’è, quella che in generale i vigneti italiani stanno andando incontro ad un lento ma costante deperimento a causa della riduzione dell’accumulo di sostanze di riserva data da grandinate e temperature della chioma molto alte nel periodo vegetativo.
L’insegnamento che possiamo trarne è che non possiamo più ragionare con una mentalità che tratta la difesa, la nutrizione della vite e la gestione del suolo come tre cose distinte, tutto è collegato e le variabili sono infinite e diventa sempre più difficile complesso riuscire a gestire tutto quanto.
La natura c’ha messo millenni per complessificare il sistema mentre l’uomo sta facendo di tutto per semplificarlo, rendendolo molto più debole. Ripartire quindi dalla fertilità del suolo e dalle radici sarà la chiave per avere piante più resilienti.

gestione suolo vigna

Dott. Agr. Stefano Dini – In questa annata si sono verificati per l’ennesima volta fenomeni straordinari che sicuramente in passato avrebbero provocato delle carestie. È un’annata in cui ha fallito la tecnologia applicata al vigneto e tutti i modelli previsionali non sono stati di aiuto né al produttore, né al tecnico. D’altra parte invece sono state utili le conoscenze tecniche legate ai patogeni da combattere e agli strumenti validi per farlo. Nel panorama dei prodotti fitosanitari di fatto non ci sono così tanti strumenti che funzionano. Credo che sia fondamentale dare maggiore importanza agli operatori aziendali: un operatore che sa fare un buon check-up della botte per i trattamenti, un trattorista che sa entrare in un appezzamento senza arrecare danni alla botte o al vigneto, un’attenta verifica della distribuzione, uniti ad una buona organizzazione aziendale e ad una scrematura di troppe informazioni che arrivano al produttore, permettono all’Azienda di raggiungere i propri obiettivi.

Dott. Agr. Davide Ferrarese – Ogni annata ci dà insegnamenti. Va innanzitutto sottolineato il fatto che sempre di più aumentano le differenze fra le diverse zone viticole anche in reali che non sono così distanti, quindi diventa fondamentale la frequenza e la conoscenza varietale e del territorio in cui si opera.
È stata un’annata complessa, che potrei definire “a montagne russe” per il fatto che siamo passati da condizioni di carenza idrica da quasi 2 anni, a condizioni più umide e bagnate in primavera, poi condizioni di caldo , poi di siccità e caldo estremo, e in alcuni casi di pioggia attorno al perito di vendemmia.
Si necessita di una formazione continua su argomenti tecnici che hanno ancora poca conoscenza e applicazione, sulla fisiologia e sulla rispondenza genetica delle varietà autoctone alle condizioni ambientali.

2023, siccità, barbera, bassa vigoria, bruciature, scottature.

La pressione delle crittogamiche l’entità dei trattamenti approntati dai viticoltori in regime biologico ha riaperto la discussione riguardo l’effettiva sostenibilità ecologica ed economica della gestione agronomica per chi rientra in tale certificazione, tanto da portare alcuni produttori ad abbandonarla. Tu cosa ne pensi?

Dott. Agr. Martina Broggio – Che purtroppo è la realtà. Come dicevo abbiamo sempre considerato difesa e nutrizione come due cose distinte, pretendendo di riuscire a difendere con la stessa strategia sia piante in salute che piante deboli; come molte ricerche stanno dimostrando (e lo stesso vale per noi uomini) il sistema immunitario della pianta dipende principalmente dal suo microbiota, che però purtroppo negli ultimi anni sta diventando sempre più debole a causa delle molecole utilizzate per la difesa. Con la domesticazione la vite ha perso moltissimi caratteri genetici di resistenza e a causa poi dell’indebolimento del suo microbiota interno (gli endofiti) il risultato è stato quello di avere delle piante molto suscettibili e facilmente attaccabile dai patogeni. Il dilagare della flavescenza dorata in alcune aree dimostra come il modello che abbiamo seguito fino ad oggi è probabilmente molto debole. In generale quindi, tra attacchi di peronospora e oidio molto importanti, e vettori difficilmente eliminabili con i metodi biologici, hanno portato le aziende bio a fare un passo indietro e per me questa può essere una scelta ragionata nel caso di zone poco vocate; al contrario vedo zone molto vocate dove le aziende potrebbero tranquillamente optare per una difesa più sostenibile restare invece fermamente legati alla lotta convenzionale perché non vogliono assumersi rischi o non vogliono impegnare risorse nell’aumentare le proprie competenze, perché si, fare bio (in maniera corretta) ne richiede molte di più della norma.

Dott. Agr. Stefano Dini – Penso che quest’anno non solo le aziende bio abbiano perso produzione. In Abruzzo, ad esempio, aver vietato l’utilizzo del Dimetomorf un anno in anticipo rispetto agli accordi nazionali, ha portato gravi perdite anche nelle aziende a conduzione convenzionale e integrata, per poi essere di nuovo autorizzato ormai troppo tardi. Sicuramente per un’azienda biologica i 4 kg di rame ammessi non sono stati sufficienti in un’annata come questa in cui la priorità è il trattamento, in cui è fondamentale trovare manodopera specializzata per palizzare la vegetazione e lavorare nei tempi giusti, in cui si scoprono le criticità dell’intero sistema interno all’azienda. Manca anche la chiarezza da parte dei tecnici controllori della conduzione biologica. Non si comprende, ad esempio, perché il Solfato di Rame Neve debba essere dichiarato come concime o addirittura non venga accettato, pur essendo alla base della produzione della poltiglia bordolese. Penso e spero che annate così non si riverificheranno a breve ma chi veramente ha un’anima biologica accetta la perdita e anzi è contento di aver lottato fino alla fine per aver salvato anche un solo grappolo di uva.

Dott. Agr. Davide Ferrarese – Il biologico non è una mera certificazione ma è un progetto aziendale, che non va visto solo sotto il profilo della difesa ma che deve interagire con tutte le altre attività che vengono svolte nel vigneto; in annate difficili soprattutto con primavere complesse, la professionalità e l’attenzione alle tecniche culturali come la gestione del suolo che consente il passaggio dei mezzi agricoli anche in condizioni difficili, la gestione della chioma che permette una corretta areazione della fascia produttiva e allo stesso tempo ti permettere alle molecole biologiche di arrivare al bersaglio. Non c’è solo quanto anticipato, ma in quelle fasi lì l’attenzione e la professionalità degli operatori è davvero importante per comprendere quelle che sono le priorità nella gestione di un periodo dell’anno molto complesso; in questo ci mettiamo anche la gestione nell’equilibrio della pianta, un’attenta regolazione delle macchine e degli atomizzatori, l’utilizzo dei modelli previsionali e delle stazioni meteo, e non per ultimo la professionalità delle maestranze agricole.

scottature grappolo
2020 – “sun burn” , scottature, Grignolino

In molti riducono la 2023 alle forti piogge di maggio e giugno e all’incidenza delle fitopatologie ad esse correlate, ma i dati parlano dell’ennesima annata dall’estate calda e siccitosa. Il vero tema, valutando ciò che sta accadendo negli ultimi anni, non è forse l’acqua? Cosa pensi dell’irrigazione? Credi sia cambiata l’opinione comune nei riguardi di una pratica che sembra essere destinata a diventare utile, se non indispensabile, al mantenimento degli equilibri della pianta in alcune aree vitivinicole del nostro paese?

Dott. Agr. Martina Broggio – Dagli anni ’70 quando Robert Parker lanciò il dogma della vite che deve soffrire per fare qualità, siamo rimasti fissati con questo principio in testa (in molti casi anche giustamente) in quanto le piante con il clima normale e alle nostre latitudini raggiungevano l’equilibrio solo con una certa carenza idrica. Al giorno d’oggi invece ci rendiamo conto che l’acqua è invece assolutamente essenziale per produrre vini di qualità. Le piante in Italia (parlo in generale da nord a sud) sono sottoposte a temperature estreme che possono raggiungere i 70 °C al suolo, i 50°C su grappolo e i 45°C sulle foglie. Anche se la nostra primavera è stata piovosa bastano in realtà solo due giorni a temperature superiori ai 35°C per ridurre in maniera importante l’efficienza fotosintetica della pianta, e un solo giorno a 45°C per creare danni irreparabili ai tessuti fogliari. Questo a cosa porta? Che la nostra chioma, che dovrebbe sintetizzare aromi, accumulare zuccheri e colore nei grappoli, si ritrova invece a produrre la metà o meno delle sostanze che dovrebbe produrre, come ad esempio anche le sostanze di riserva necessarie al germogliamento per l’anno successivo. Ma il più grande problema (e quello che mi preoccupa di più) non è nemmeno l’acqua. È pur certo che è assolutamente necessaria ad oggi se vogliamo produrre dei vini di qualità, ma purtroppo non sarà sufficiente. Infatti l’acqua è fondamentale per la pianta in quanto senza di essa non riesce a mitigare la temperatura, ma dobbiamo ricordarci che anche avendo l’acqua, quando le temperature superano i 35 °C circa, la pianta chiude comunque gli stomi e smette di fotosintetizzare, e di accumulare quindi tutte le sostanze che noi ricerchiamo nei vini. Altro capitolo invece per le acidità, in quanto l’acido malico che è tanto a noi utile per la freschezza dei vini, è anche quello più suscettibile alle alte temperature.

cambiamenti climatici vigna

Dott. Agr. Stefano Dini – Avendo la fortuna di lavorare in diversi areali, riesco a capire quanto veramente sia importante avere a disposizione un impianto di irrigazione. In molti casi quest’anno i danni sono stati causati da colpi di sole, sia alla fine di luglio che dopo la metà di agosto, due eventi che nel centro e sud Italia hanno portato a importanti riduzioni di produzione. Soprattutto in Sicilia, in alcune zone, senza irrigazione i danni sarebbero stati molto molto più alti. Comunque, a mio avviso, si tratta di più fattori che si sono sommati gli uni agli altri: una stagione difficile dal punto di vista sanitario, alte temperature, bilanci idrici a volte non favorevoli e per i più sfortunati anche la grandine. L’irrigazione è uno strumento valido che in alcuni casi sta diventando indispensabile, come già lo è in altre parti del mondo. Se i miei clienti potessero istallarli, oltre all’impianto di irrigazione, chiederei anche degli impianti ombreggianti. Credo che l’opinione comune stia lentamente cambiando ma persiste sempre la convinzione sbagliata che per fare alta qualità la pianta debba soffrire.

Dott. Agr. Davide Ferrarese – Io opero principalmente in una regione dove l’utilizzo dell’acqua nel vigneto non rientra nella cultura viticola generale, e non vorrei ridurre il “contrasto” alle annate che stiamo vivendo alla sola necessità, anche perché l’acqua vorrei avesse principalmente utilizzi primari alla sopravvivenza . Abbiamo imparato che oggi sono diversi gli stress che la pianta incontra durante la sua stagione come per esempio le gelate tardive, la carenza idrica, la forte intensità luminosa, le alte temperatura e più stress combinati assieme.
In ogni caso bisognerà ragionare con la tecnica dell’irrigazione, soprattutto per gli impianti esistenti e per le condizioni singolari di alcuni vigneti come per esempio quelli maggiormente esposti o in particolari aree con terreni molto magri. D’altro canto non vorrei rendere il vigneto ingegnerizzato, vorrei prima cercare di trovare delle soluzioni sia per i vigneti esistenti sia per quelli che dovranno esser piantati.
Inoltre, ritornando all’uso dell’acqua in vigneto, partirei in ogni caso dall’utilizzo del recupero delle acque piovane o di quelle che vengono utilizzate per altri usi aziendali.

-Vendemmia a macchina. In un’annata come questa, in cui la selezione dei grappoli e degli acini è stata d’obbligo per anelare alla qualità, in molti areali, quali sono stati i riscontri che hai avuto modo di constatare personalmente?

Dott. Agr. Martina Broggio – Tenendo conto della carenza di personale in ambito viticolo, la vendemmia meccanica è ormai necessaria e indispensabile in molte zone. Ad oggi la tecnologia ha fatto passi da gigante e quindi la capacità di selezione degli acini non completamente maturi è stata davvero affinata in maniera eccellente. Sicuramente gli inverni e le primavere molto secche portano a un germogliamento molto disomogeneo, e i continui stress alla quale la pianta è sottoposta non consentono una maturazione omogenea degli acini, i quali molte volte restano verdi oppure al contrario raggrinziscono o si disidratano scottati dal sole. Le nuove tecnologie di mappatura del vigore, come ad esempio i droni, le nuove videocamere da posizionare sui mezzi aziendali, oppure i sistemi di selezione degli acini, saranno sicuramente degli strumenti utili ad agronomi ed enologi per migliorare la parcellizzazione e selezione del prodotto.

Dott. Agr. Stefano Dini – Nelle aziende dove l’attacco di Peronospora è arrivato tardivamente, con Peronospora larvata e quindi disseccamento parziale del rachide e del grappolo, la vendemmia meccanica è stata sicuramene uno strumento utile per ridurre l’ingresso di secco in cantina. Il problema maggiore comunque rimane sempre la minore disponibilità di manodopera, soprattutto di quella specializzata. Far capire ad un operatore cosa deve o non deve raccogliere sta diventando sempre più difficile, un po’ come per tutte le operazioni, quindi in alcune realtà la meccanizzazione è l’unico strumento possibile. D’altra parte la vendemmia a mano rimane il momento conclusivo di un anno di impegno e sacrificio, dove il grappolo viene con la massima cura portato in cantina.

Dott. Agr. Davide Ferrarese – Sì, da diversi anni riscontro positivamente la qualità delle uve che vengono raccolte con la macchina, ma anche in questo caso non si può generalizzare su tutto e su tutte le varietà.
La mia perplessità oggi che va oltre alla qualità delle uve raccolte è come la macchina può ferire o o indurre danni alle piante attraverso lo scuotimento meccanico.

Ringrazio Martina, Stefano e Davide per la loro consueta disponibilità e per gli interessanti spunti di riflessione riguardo tematiche per molti “scomode” ma che dobbiamo affrontare e approfondire con un approccio laico e lungimirante, prendendo atto dei cambiamenti ai quali assistiamo di annata in annata, facendo tesoro degli insegnamenti che ogni stagione ci permette di acquisire. Mi permetto di aggiungere che se per quanto riguarda l’ambito enologico i “trend” sono stati, spesso, giustificati – nel bene e nel male – dalle tendenze di gusto e dai mercati, anche alcuni aspetti legati alla conduzione del vigneto e alle pratiche agronomiche stanno subendo, seppur in maniera meno evidente e tangibile (dal consumatore), l’incidenza di una serie di “mode” che trascendono la reale utilità di alcune dinamiche e di alcune attività in certi contesti e che solo se applicate con cognizione di causa, sensibilità interpretativa dell’annata, del vigneto e del progetto vitivinicolo possono avere una concreta efficacia. Sostenibilità ecologica e rispetto devono necessariamente passare attraverso un percorso pragmatico legato alla sostenibilità economica aziendale e a risposte equilibrate e futuribili alle esigenze di vignaioli e produttori. Solo con una maggior conoscenza scientifica e una rinnovata competenza tecnica si può far fronte alle sfide di oggi e di domani e lo sottraendo il superfluo e con un impatto sempre minore sull’ambiente e sul prodotto finale, esaltando l’identità dei luoghi e l’espressività delle uve.

F.S.R.

#WineIsSharing

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