L’eleganza del vino risiede nell’equilibrio e la leggiadria non è esilità

Qualche giorno fa, confrontandomi con alcuni produttori di una nota denominazione italiana in cui mode e tendenze hanno sempre attecchito in maniera marginale, mi sono ritrovato a trattare un tema di cui avevo avuto già modo di scrivere in queste pagine e di dissertare durante alcuni incontri enoici e degustazioni: l’eleganza.

Un termine che rientra nel novero dei descrittori abusati e usati, spesso, in maniera fuorviante nel mondo del vino, eppure uno dei valori più importanti quando e se lo si ritrova nel calice.

Alla domanda “quand’è che possiamo definire un vino elegante?” ognuno di noi, probabilmente, risponderebbe in maniera diversa ma prendendo in esame le risposte avute dai produttori e dagli addetti ai lavori in questi ultimi giorni credo di poter sostenere, senza tema di smentita, che per la maggior parte degli amanti del vino l’eleganza non può prescindere dall’equilibrio.

Equilibrio che rappresenta qualcosa di razionale, di quantificabile e di appurabile analiticamente e sensorialmente per un palato esperto, quindi è proprio il bilanciamento fra le varie componenti dure e morbide di un vino, fra la sua struttura e la sua acidità, ma ancor prima l’armonia fra le sfumature che compongono il suo profilo olfattivo, a poterne determinare l’eleganza, giusto? Bene, dato per assunto che siate più o meno d’accordo con queste affermazioni (che condivido e accetto di buon grado io stesso) vi pongo un ulteriore quesito: – Il concetto di eleganza trascende le mode e i tempi o può essere intaccato nella sua percezione e nella sua determinazione, ergo comunicazione, dagli stilemi di una determinata era enologica?

Probabilmente le variabili sono ben più numerose di quelle relative alle mode, alle tendenze e alle esigenze di determinati mercati (spesso condizionate a loro volta – probabilmente ancor più in passato – da punteggi e riconoscimenti) e allo stadio della curva del gusto di determinati paesi ma è palese che la percezione e la comunicazione dell’eleganza a cavallo fra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio non erano le stesse di quello odierne. Sì, perché eleganza faceva rima con opulenza, si era più disposti a tollerare potenza e legno da un lato, mentre dall’altro il produttore poteva permettersi di vantarsi della gradazione (al rialzo) raggiunta in quella determinata annata o assumere come valore aggiunto il fatto che quel vino non sarebbe stato “pronto” prima di 10 anni (cosa che, tecnicamente parlando, non è direttamente proporzionale al potenziale di longevità e spesso coincide con un’arretratezza tannica e degli squilibri che difficilmente l’affinamento in bottiglia miglioreranno); mentre oggi il legno è diventato il diavolo, se leggiamo 15% vol. alcol dietro a un’etichetta iniziano a scaturire nelle nostre menti pregiudizi e temiamo di trovarci ad affrontare un vino troppo massiccio, privo di agilità e magari troppo morbido per i nostri gusti da bevitori seriali di vini “verticali”. Sì, perché neanche 20 anni fa l’acidità era un problema, oggi è divenuta il parametro più importante come se fossero i grammi per litro di totale a determinare, da soli, la freschezza, la bevibilità e la finezza di un vino. Ecco quindi che l’eleganza non è più opulenza, bensì leggiadria che a leggere le due definizioni della Treccani potrebbe anche aver senso:

elegante agg. [dal lat. elĕgans -antis, der. di eligĕre «scegliere»]. – 1. Che ha insieme grazia e semplicità, rivelando cura e buon gusto senza affettazione o eccessiva ricercatezza, detto degli atti, del comportamento o della persona: andatura, portamento.

leggiadro agg. [tratto da leggiadria]. – 1. Pieno di grazia, di gentilezza e di eleganza insieme; si dice soprattutto dei movimenti della persona, e per estens. della persona stessa o in genere del suo aspetto.

Se non fosse per il fatto che elegante e leggiadro non significano impalpabile o “esile”! E’ proprio sull’esilità e la magrezza che fa la confusione maggiore, in quanto non si può definire elegante un vino che pecca di maturità e che non ha equilibrio.

Con buone probabilità, questa deriva verso i vini più scarichi, scarni, tesi e lievi (sul come alcuni vini/vitigni in determinate annate e territori non potranno mai essere scarichi senza essere immaturi, scarni senza essere “diluiti”, iper-tesi senza essere acidificati e chi più ne ha più ne metta… apriremo un altro capitolo prossimamente) è stata un passaggio fondamentale, un punto di rottura col passato, uno stimolo a una dialettica enoica costruttiva orientata verso la sottrazione e non l’addizione, per quanto questi termini possano non incontrare il favore di molti produttori. Ora, però, sia la critica che l’addetto ai lavori, nonché l’appassionato più esigente sembrano convergere verso un approccio ponderato e meno radicale verso certi vini ricercando in essi un equilibrio capace di esprimere in maniera fedele e nitida il territorio, ancor prima che il varietale, ripudiando sì l’opulenza e gli eccessi occlusivi siano essi dovuti al legno, a maturazioni troppo spinte o ad approcci tendenti all’omologazione o al mero scimmiottamento, piuttosto che alla ricerca della propria intrinseca identità. Per ottenere ciò è, però, fondamentale avere una maturazione fenolica e aromatica completa o almeno avvicinarsi a esse e solo così si potrà intervenire meno in cantina.

L’eleganza, inoltre, non ha necessariamente bisogno di lunghi affinamenti per essere raggiunta o, almeno, vanta stadi primari e intermedi che possono tranquillamente esprimersi in gioventù, grazie anche alla maggior consapevolezza tecnica in vigna e in cantina e alla grande qualità delle uve (al giusto grado di maturità, quindi non possibile da raggiungere in egual modo in ogni annata con quello specifico varietale e/o in quella specifica area). Il tempo più aiutare, sicuramente, a raggiungere una maggior morbidezza tramite l’apporto mannoproteico (es.: nei metodo classico) e una più percettibile finezza tannica (ma diffidate da chi si ostina a dire che tannini immaturi e sgranati possano r-affinarsi in vetro, in quanto un tannino fenolicamente “verde” resterà tale anche a distanza di anni, per quanto alcuni processi chimico-evolutivi possano alleviare la sensazione di astringenza e di amaroticità), ma la variabile in cui il tempo incide maggiormente è la complessità. Fattore che può rappresentare un valore aggiunto all’eleganza ma non congruente a essa.

invaiatura uva

In un’epoca in cui è sempre più complesso avvicinare, in alcune annate, le maturità tecnologiche e fenoliche, c’è chi si fa prendere la mano con raccolte anticipate e chi si spinge oltre pur di avere un tannino adeguatamente maturo, ma è con la gestione della parete fogliare e del suolo (in alcuni casi interviene anche l’irrigazione che non è più appannaggio della sola quantità ma sta sempre più diventando – dove c’è disponibilità di acqua – un toccasana per il mantenimento di uno stato di salute ottimale e di un equilibrio vegetativo delle piante) e magari con raccolte scalari (laddove possibile) che si riescono a portare in cantina uve con valori analitici tali da permettere la produzione di vini equilibrati, capaci di anelare all’eleganza senza necessità di invasivi “ritocchi di make up o chirurgia estetica”. L’equilibrio inizia dalla vigna e deve essere rispettato in cantina, quindi l’eleganza deve essere ricercata anche in campo.

Sono molti i temi agronomici ed enologici che, in base all’evoluzione enoica dei produttori, alla maggior attenzione alla sostenibilità e, ovviamente, ai cambiamenti climatici incidono e incideranno sul raggiungimento di quelli che sono a tutti gli effetti nuovi equilibri o, per meglio dire, equilibri in divenire, mutevoli ma pur sempre basati sull’armonia delle forme e il bilanciamento delle componenti.

Il mio auspicio è che, anche da parte nostra (ovvero di chi opera nel mondo del vino ma non produce vino), si opti per un atteggiamento sempre più ponderato e ragionato, senza estremismi fuorvianti che rischiare di tradurre qualcosa degli errori e delle opere incomplete in lavori da encomiare ed esempi da emulare. Se un vino è esile, “verde” e squilibrato, potrà pur avere maggior beva di un vino più maturo, materico e imponente ma non per questo può essere preso come riferimento. Credo che l’operato di molti vignaioli, produttori, agronomi ed enologi vada rispettato apprezzandone ed esaltandone la competenza e la capacità e non negligenza o la malafede di chi vuole spacciare il non fare o il fare errato per la retta via. Forse, anche in questo caso, l’inghippo è stato ed è tutt’ora semantico in quanto dovremmo tutti dosare meglio alcuni termini come dritto, tagliente, acido e sferzante come aggettivi positivi anche laddove di fianco ad essi, sull’altro piatto della bilancia, non ci siano gli opportuni contrappesi.

Eppure, nell’eleganza, quella più alta, ci sarà sempre un aspetto impalpabile, intangibile e non imbrigliabile analiticamente parlando e per questo concludo con una delle frasi che meno c’entrano con il vino ma che meglio rappresentano l’incontro con i vini più eleganti per me e, confido, anche per molti di voi:

“L’eleganza è l’equilibrio tra proporzioni, emozione e sorpresa.”

Valentino

F.S.R.

#WineIsSharing

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