La mia fissazione per il Rotundone e, quindi, il mio amore spassionato per lo Schioppettino mi ha riportato, dopo più di un anno di assenza, in quel di Prepotto nei Colli Orientali del Friuli, vera e propria culla di una delle varietà alle quali sono più legato.
L’ho fatto “improvvisando” una visita a Vigna Lenuzza, piccola realtà a conduzione rigorosamente familiare della quale avevo avuto modo di assaggiare i vini anni fa ma che mi mancava come tappa del mio girovagar enoico per vigne e cantine.

E’ il giovane ma consapevole Daniele Lenuzza ad accogliermi, titolare e wine maker aziendale, coadiuvato dall’intraprendente e brillante moglie Tanika (export manager) e dall’instancabile e saggio padre Gianpaolo.

Mi basta fare una breve perlustrazione dei vigneti principali dell’azienda per comprendere l’attenzione e il rispetto (l’azienda è biologica dal 2014, cosa non affatto scontata in queste terre) con i quali Daniele e la sua famiglia allevano le viti che daranno origine alle due linee di vini aziendali: la linea classica e la linea “Indigenously“. Quest’ultima dedicata ai soli vini da varietà indigene vinificate con un approccio artigianale in sottrazione ma di grande controllo, con l’utilizzo di botti di cemento non vetrificato e gestendo in maniera accorta l’impatto dei legni, al fine di portare nel calice vini capaci di esprimere con nitidezza la reale e concreta identità varietale e territoriale.

A colpirmi particolarmente sono stati la Ribolla Gialla (2021) armonica, fresca e decisamente sapida nella versione “classica” e materica, sfaccettata e vibrante nell’acidità e nel tannino nella versione “indigenously”; il Sauvignon (2021) che cozza un po’ con alcune interpretazioni friulane che definisco “da concorso”, sovente troppo esuberanti al naso, esprimendo invece uno spettro organolettico più affine ai Sauvignon della Loira per finezza e mineralità; la Malvasia “indigenously” intensa, piena eppure agile e saporita; ovviamente, poi, c’è lo Schioppettino che nella due versioni “classica” (2019 e 2018 con la 2018 sugli scudi) e “indigenously” (2018) mostra l’amore nei confronti di questo vitigno da parte di Daniele ma, ancor più, l’indiscussa vocazione di questo vero e proprio cru dei Colli Orientali del Friuli. Se la “selezione indigenously” è fiera, intrigante e complessa nella speziatura tipica del varietale e manifesta un sorso integro e profondo con sapore e tannino a dare lunghezza al finale, è la versione “classica” a stupire per freschezza, spigliatezza ed ematicità. Vini, quelli di Vigna Lenuzza, capaci di coniugare identità, nitidezza espressiva e grande versatilità con ottimo bilanciamento fra struttura e acidità. Niente estremismi, nessun volo pindarico ma, al contempo, bandita la banalità.

A completare la degustazione arriva anche una sorpresa che chiude il cerchio familiare (Tanika è sudafricana): un Pinot Nero 2020 della Hemel-en-Aarde Valley, un po’ la Borgogna del Sud Africa, in quanto a base ampelografica e a concetto enoico, non a pedoclima ovviamente. Intenso nel frutto, caldo e avvolgente nonostante i sorprendenti 12.5 gradi alcol. Il 50% di grappolo intero rende vivace il naso ma, soprattutto, definisce la texture tattile del sorso sia a livello minerale che tannico. Molto buono!

A giudicare da ciò che sta affinando in cantina (compresa una base metodo classico che definire tagliente sarebbe riduttivo!) e dai lavori di ampiamento dei locali di stoccaggio e affinamento, Vigna Lenuzza è una di quelle piccole realtà destinate a crescere in qualità prima ancora che in quantità, con costanza e consapevolezza.
F.S.R.
#WineIsSharing
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